Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20911 - pubb. 08/12/2018

Appalto di opere pubbliche, recesso dell’amministrazione e presupposti per la risoluzione del contratto per inadempimento (Ponte sullo Stretto di Messina)

Tribunale Roma, 21 Novembre 2018. Est. Cecilia Bernardo.


Contratto di appalto di opere pubbliche – Recesso dell’amministrazione – Irrilevanza dei motivi

Contratto di appalto di opere pubbliche – Recesso dell’amministrazione in presenza di presupposti per risoluzione del contratto per inadempimento – Ammissibilità

Contratto di appalto di opere pubbliche – Recesso dell’amministrazione e sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto per inadempimento – Conseguenze

Contratto di appalto di opere pubbliche – Recesso dell’amministrazione – Manifestazione mediante atto normativo – Liceità

Contratto di appalto di opere pubbliche – Recesso dell’amministrazione – Manifestazione mediante atto normativo – Conformità alla Costituzione



Poiché nel contratto di appalto di opere pubbliche il recesso per volontà unilaterale dell’Amministrazione (art. 134 D.Lgs. 163 del 2006 e in precedenza art. 345 L.gen. Lavori Pubblici del 1865) trae origine da una determinazione dell’Amministrazione sorretta da un qualsiasi motivo che l’Amministrazione non è tenuta né a dichiarare né a giustificare, nessun interesse concreto può avere l’appaltatore a dimostrare il motivo concreto che ha determinato il recesso, atteso che da tale dimostrazione non potrebbe trarre nessuna utile conseguenza in suo favore, né la ragione potrebbe essere oggetto di sindacato o di censura da parte dell’autorità giudiziaria. (Giustino Di Cecco) (riproduzione riservata)

L’Amministrazione può avvalersi del diritto potestativo di recedere dal contratto di appalto di opere pubbliche anche quando l’appaltatore abbia acquisito il diritto ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della stessa Stazione appaltante e tale inadempienza abbia fatto valere. In tal caso, sono diverse le conseguenze economiche, in quanto rimarrebbe integro il diritto dell’appaltatore a conseguire il completo risarcimento dei danni come resterebbe integro il diritto dell’amministrazione per i danni da inadempienze dell’appaltatore anteriormente al recesso. (Giustino Di Cecco) (riproduzione riservata)

Nessun elemento di diritto positivo consente di ritenere che il diritto di recesso, esercitabile ad nutum dal committente in qualsiasi momento dell'esecuzione del contratto di appalto, sia circoscritto alla sola ipotesi che il rapporto si svolga regolarmente, (cfr., in particolare, Cass. 28 maggio 1980, n. 2055; Cass., 30 marzo 1985, n. 2236). Anzi, l'ampiezza della formulazione della norma posta dall'art. 1671 cod. civ. e dalla normativa speciale è tale da autorizzare ad affermare che il recesso possa essere dal committente esercitato per qualsiasi ragione che lo induca a porre fine al rapporto, poiché, da un canto, non è configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera, avendo, egli, diritto solo all'indennizzo previsto da detta norma, dall'altro il compimento dell'opera risponde esclusivamente all'interesse del committente. Pertanto, il recesso potrà essere motivato anche dalla sfiducia del committente verso l'appaltatore per fatti d'inadempimento, con la conseguenza che, in tal caso, poiché il contratto si scioglie esclusivamente per effetto dell'unilaterale iniziativa del recedente, non sarà necessaria alcuna indagine sull'importanza dell'inadempimento, che sarebbe stata, invece, necessaria in caso di esercizio dell'azione di risoluzione del contratto per inadempimento. L'indagine sull'inadempimento sarà, invece, rilevante solo se il committente abbia chiesto anche il risarcimento del danno per l'inadempimento verificatosi già al momento del recesso (cfr. Cass., sent. n. 2236/1985 citata). In tal caso, ovviamente, il risarcimento eventualmente spettante al committente a motivo dell'inadempimento dell'appaltatore potrà vanificare l'obbligo del recedente di indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (cfr. Cass., sent. n. 2055/1980 citata). (Giustino Di Cecco) (riproduzione riservata)

Il fatto che l’Amministrazione abbia manifestato la propria volontà di recedere dal contratto mediante un atto normativo, anziché con un atto amministrativo, non configura una violazione della buona fede contrattuale. (Giustino Di Cecco) (riproduzione riservata)

La sola circostanza che la decisione di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale sia stata presa con uno strumento legislativo, anziché amministrativo, non rende di per sé la norma incostituzionale, né solleva dubbi di disparità di trattamento, atteso che non introduce una disciplina derogatoria rispetto a quella generale, posto che sia la disciplina generale del codice civile, sia quella speciale in materia di appalti pubblici riconoscono al committente la facoltà di recedere dal contratto in ogni tempo e per qualsivoglia motivo, potendo sempre decidere di non portare a compimento l’opera appaltata. (Giustino Di Cecco) (riproduzione riservata)


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