Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1221 - pubb. 11/05/2008

Revoca del fallimento e compenso del curatore: questione di costituzionalità

Tribunale Roma, 30 Gennaio 2008. Est. Ruggiero.


Fallimento – Revoca della dichiarazione di fallimento – Mancata dichiarazione di responsabilità in capo al creditore o al fallito – Individuazione del soggetto onerato del compenso del curatore – Spese anticipate dall’Erario ex art. 146 dpr 115/2002 – Questione di legittimità costituzionale – Non manifesta infondatezza.



E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, d.P.R. n. 115/2002, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui non include, tra le spese anticipate dall’Erario, in caso di revoca del fallimento, le spese e gli onorari del Curatore. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)



 omissis 

ORDINANZA

Visto il ricorso del Curatore del Fallimento della Società di fatto V. F., S.P., S.P. **, depositato il 16.07.2007, con il quale chiedeva la liquidazione del proprio compenso, ponendo l’onere economico a carico dell’Erario, ai sensi dell’art. 146 T.U. spese di giustizia (d. P. R. n. 115/2002), a seguito della intervenuta revoca della dichiarazione di fallimento, pronunciata dal Tribunale di Roma in data 22.11.2006, ai sensi degli artt. 18-19-21 R. D. 16 marzo 1942, n. 267;

vista la sentenza richiamata da ultimo del Tribunale di Roma, la quale, in sede di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 18 R. D. 16 marzo 1942, n. 267, statuiva la revoca della dichiarazione di fallimento, respingendo la domanda di risarcimento dei danni proposta dai falliti avverso i creditori ricorrenti, ritenendola, sotto il profilo probatorio, sfornita di ogni riscontro;

rilevato che la questione afferente l’onere della liquidazione del compenso del curatore nell’ipotesi di revoca del fallimento (la cui competenza è demandata al tribunale ai sensi dell’art. 21 del R. D. 16 marzo 1942, n. 267, ed è rimasta inalterata anche nella riforma della legge fallimentare, per come disciplinato dall’art. 18 novellato dal d. lgs. N. 5/2006 e dal d. lgs. N. 169/2007), in assenza di colpa del creditore ricorrente ovvero di responsabilità della dichiarazione di fallimento in capo al fallito, non ha trovato una soluzione puntuale né dal legislatore della legge fallimentare del 1942 (dopo l’abrogazione dell’art. 21, comma terzo, del r. d. 16 marzo 1942, n. 267) né da quello della riforma (vds. D. lgs. N. 5/2006 e d. lgs. N. 169/2007);

rilevato che detta materia è già stata oggetto di pronunce della Corte Cost. che hanno escluso l’onere economico a carico del fallito in assenza di una sua responsabilità (“ … dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, comma terzo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui, nel caso di sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, pone a carico di chi l'abbia subita senza che ne ricorressero i presupposti e senza che vi avesse dato causa col suo comportamento le spese della procedura ed il compenso al curatore…” vds. Corte Cost. n. 46/1975; “ … dichiara non fondata la questione di illegittimità costituzionale a) dell'art. 91, comma secondo, del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, sollevata, in riferimento agli artt. 23 e 36 comma primo della Costituzione, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con ord. 28 febbraio 1978 (n. 263/1978) nella parte in cui non prevede che il compenso del curatore, in caso di mancanza o insufficienza di attivo, sia posto a carico dell'Erario e b) degli artt. 21 e 91 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, sollevata in riferimento agli artt. 3, comma primo, 23 e 36, comma primo, della Costituzione, dal Tribunale di Orvieto con ord. 10 maggio 1984 (n. 903/1984), nella parte in cui non prevedono che il compenso del curatore, in caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento ed in caso di assenza di una pronuncia di responsabilità per colpa del creditore o del curatore, sia posto a carico dell'Erario…” vds. Corte Cost. n. 302/1985);

rilevato che, quindi, appare tuttora irrisolta la questione relativa all’individuazione del soggetto onerato del pagamento del compenso del curatore fallimentare, liquidato dal tribunale ai sensi dell’art. 21 l. f. del 1942 ovvero ai sensi dell’art. 18 della legge fallimentare riformata 2006-2007, in caso di revoca della dichiarazione di fallimento, senza alcuna declaratoria di responsabilità in capo al creditore ovvero all’ex-fallito;

rilevato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 174/2006, ha dichiarato “… l'illegittimità costituzionale dell'art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall'Erario «le spese ed onorari» al curatore…”, consentendo così di risolvere la vexata quaestio del compenso del curatore nelle procedure fallimentari prive di fondi, ritenendo “ … manifestamente irragionevole che l’esclusione dell’anticipazione da parte dell’Erario delle spese e degli onorari riguardi, ormai, il solo curatore…” (vds. Corte Cost. richiamata da ultimo), definendolo un ausiliare della procedura (e non del giudice) che ha diritto al compenso attraverso un ampliamento del concetto di spesa, che comprende gli onorari, e richiamando la norma specifica (art. 39 l. f.) che definisce il compenso del curatore;

ritenuto che l’applicabilità dell’art. 146 T. U. delle spese di giustizia, nella sua formulazione vigente, presuppone la pendenza di una procedura fallimentare, individuata, sotto il profilo temporale, dalla sentenza dichiarativa di fallimento sino al provvedimento di chiusura, senza nulla statuire in ordine alla fattispecie della intervenuta revoca della stessa sentenza, che pone nel nulla la stessa procedura facendo comunque “… salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento…” (vds. art. 21 l. f. del 1942 ed art. 18 l. f. della riforma del 2006-2007, che ha lasciato invariata detta disciplina degli effetti per le procedure revocate);

ritenuto che appare necessario sollevare di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A) in riferimento all’art. 3 della Costituzione ed in relazione anche agli artt. 21-39 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) nonché all’art. 18 del D. lgs. N. 5/2006, successivamente riformato dal d. lgs. N. 169/2007, nella parte in cui non prevedono l’applicabilità della medesima disciplina dell’art. 146, comma 3, anche in caso di revoca del fallimento, per il pagamento dei compensi al curatore ove non venga posto l’onere né a carico del creditore né a carico dell’ex-fallito;

ritenuto che la questione appare rilevante nella misura in cui la eventuale dichiarazione di illegittimità della norma comporterebbe l’accoglimento del ricorso proposto dal Curatore fallimentare, il cui compenso sarebbe corrisposto dall’Erario, ai sensi dell’art. 146 T. U. delle spese di giustizia, non avendo il Tribunale di Roma, nel pronunciare la revoca del fallimento, pronunciato alcuna condanna a carico dei creditori ovvero degli ex - falliti;

rilevato che il ricorso del Curatore sottende implicitamente, chiedendo la liquidazione a carico dell’Erario ai sensi dell’ultimo menzionato articolo, che, in caso di revoca della procedura senza accertamento di alcuna responsabilità nella dichiarazione di fallimento, il compenso del curatore dovrebbe essere posto a carico dell'Erario, risultando assimilabili le due fattispecie della procedura senza fondi e della procedura revocata, atteso che, in caso contrario, la norma sarebbe in contrasto con i principi costituzionali sanciti dall’art. 3 della Costituzione in relazione anche agli artt. 21- 39 del regio decreto n. 267 del 1942 nonché all’art. 18 del D. lgs. N. 5/2006, successivamente riformato dal d. lgs. N. 169/2007, che affermano il principio della remuneratività-onerosità dell'incarico in oggetto e che prescindono dalla revoca o meno della sentenza dichiarativa di fallimento, ponendo il curatore in essere una attività tipica identica sia nel caso di fallimento senza fondi che revocato (almeno sino alla revoca, tanto è vero che il legislatore ha avvertito la necessità di specificare che sono fatti salvi gli atti legalmente posti in essere dal curatore, dove il termine “ legalmente” richiama la suddetta attività tipica del curatore);

ritenuto che la questione non appare manifestamente infondata atteso che le pregresse pronunce di codesta Corte non potevano tenere in considerazione la disciplina introdotta dal T. U. delle spese di giustizia, n. 115/2002, considerata anche la recente pronuncia n. 174/2006 sopra richiamata, che ha mutato un precedente orientamento della stessa Corte Costituzionale consolidatosi prima della entrata in vigore di detto testo unico, per cui occorre investire della questione la Corte stessa;

ritenuto, altresì, che la non manifesta infondatezza deve essere valutata tenendo in considerazione anche la disciplina abrogata di cui alla legge 10 luglio 1930, n. 995 (Disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e sui piccoli fallimenti) che aveva istituito presso ogni tribunale il ruolo degli amministratori giudiziari, tra i quali dovevano essere scelti i curatori fallimentari, ed un "fondo speciale" per assegnare ai curatori medesimi il compenso nel caso in cui costoro non avevano potuto ricevere una adeguata retribuzione (non distinguendo tra fallimenti incapienti e fallimenti revocati), ponendosi già allora il problema (risolto) del necessario pagamento del corrispettivo al curatore per l’attività svolta (il fondo era costituito ed alimentato da ritenute operate sui compensi dei curatori che superavano le 2000 lire, in forza di una aliquota non superiore ad un quinto; costituiva, quindi, una sorta di prelievo coattivo per fini di solidarietà a favore dei curatori che non avevano potuto conseguire il giusto compenso per l'opera prestata nell'interesse della collettività);

rilevato che il fondo speciale e la seconda parte dell'art. 21 legge fallimentare erano stati soppressi con la legge 23 agosto 1946, n. 153, per cui da detto momento temporale si è manifestato, tra gli altri, il problema della sorte del compenso del curatore nel caso di revoca del fallimento ed in assenza di responsabilità del creditore procedente ovvero dell’ex- fallito;

ritenuto che non sussistono interpretazioni della disciplina in oggetto costituzionalmente orientate e che l’unica possibilità è quella di addivenire ad una pronuncia di incostituzionalità della norma in argomento, per come comprovato da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che ha ritenuto di decidere nel senso che il curatore, per ottenere il proprio pagamento dovesse evocare in giudizio lo Stato ai fini della necessaria integrazione del contraddittorio verso il soggetto individuato come colui contro il quale avrebbe dovuto gravare il compenso in via definitiva (“… In caso di revoca della dichiarazione di fallimento, mentre la liquidazione del compenso dovuto al curatore spetta al tribunale già preposto alla procedura, il quale, ai sensi dell'art. 21 l. fall., vi provvede con decreto non soggetto a reclamo, l'istanza con cui il curatore chiede porsi il predetto compenso a carico dell'Erario non può essere proposta al medesimo giudice mediante l'instaurazione di un procedimento camerale non contenzioso, ma, essendo stato indicato un soggetto controinteressato perché individuato come soggetto tenuto definitivamente al pagamento di tale compenso, dev'essere proposta instaurando un giudizio contenzioso, nel rispetto del principio del contraddittorio, trattandosi di procedura fallimentare non più in corso e non essendovi alcuna possibilità di recuperare le spese anticipate dall'Erario, ai sensi dell'art. 146, comma 4, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, sulle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo…” vds. Cassazione civile , sez. I, 25 maggio 2006, n. 12411);

ritenuto che la statuizione riportata da ultimo non appare condivisibile, atteso che si colloca nell’ambito di un orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte che non teneva in considerazione l’entrata in vigore del T. U. delle spese di giustizia (vds. Cass. N. 12349/1999 che, tuttavia, presupponendo il carattere di ufficiosità della procedura fallimentare, statuiva il principio di “… porre a carico dell’Amministrazione dello Stato, quale titolare delle situazioni onerose connesse all’esplicazione di una attività pubblicistica di organizzazione alla stessa obbligatoriamente incombente… il costo economico e, quindi, l’obbligo giuridico della corresponsione del compenso dovuto per legge e ritualmente determinato dagli organi competenti al soggetto che ha prestato un munus publicum da lui non declinabile se non nelle ipotesi rigorosamente previste dalla legge, quale organo della procedura svincolato da qualsivoglia rapporto di parte … e senza che ciò precluda astrattamente una eventuale pretesa risarcitoria della pubblica amministrazione, che anzi vi trova il necessario presupposto, nei confronti del fallito che con particolari specifiche manifestazioni comportamentali abbia dato causa alla erronea dichiarazione di fallimento…”) ovvero che, pur tenendo in considerazione il detto testo unico, afferma il principio di una necessaria instaurazione di un contraddittorio tra lo Stato ed il curatore che ha prestato la propria opera, per l’inapplicabilità dell’art. 146 T. U. n. 115/2002, trattandosi di una spesa definitiva a carico dello Stato stesso (vds. Cass. N. 12411/2006);

ritenuto, pertanto, che la nuova disciplina delle spese di giustizia, sia con la previsione del patrocinio gratuito ai sensi dell’art. 144 T. U. n. 115/2002 sia con quella della prenotazione a debito e della anticipazione a carico dello Stato ai sensi dell’art. 146 T. U. già richiamato, ha introdotto un principio di onerosità della prestazione resa a favore della procedura fallimentare (che, peraltro, già vigeva secondo la disciplina abrogata della legge 10 luglio 1930, n. 995), risultando ormai superato il principio di rotazione degli incarichi posto a base della possibilità della richiesta di prestazioni gratuite a favore dello Stato, che implicitamente ed indirettamente, consentiva di gravare su altre procedure gli oneri connesse a quelle senza fondi (applicando di fatto un principio invece normativamente fissato nella disciplina del 1930 con la creazione di un fondo, derivante da una percentuale di prelievo sui compensi maturati dai curatori delle procedure con fondi);

rilevato, altresì, che il principio di onerosità risulta confermato dalla necessità che il curatore presenti, in ogni caso (anche nell’ipotesi di fallimento revocato), il rendiconto della propria gestione ai sensi dell’art. 116 l. f., il quale può essere approvato o meno e può dare luogo ad una eventuale azione di responsabilità a carico dello stesso, secondo i parametri di cui all’art. 38 l. f. che evoca, tra l’altro, nella nuova formulazione della riforma, l’art. 1176, comma 2, l. f., quale riferimento tipico dei professionisti nello svolgimento di ogni incarico;

ritenuto che il suddetto principio risulta avallato dalla professionalità richiesta ai fini della nomina a curatore in una procedura fallimentare (vds. art. 28 l. f. riformato), il quale rende una prestazioni intellettuale, rientrante nell’art. 2229 c. c.;

ritenuto che la naturale onerosità della prestazione risulta ancora confermata dalla previsione espressa di un compenso a favore del curatore, ai sensi dell’art. 39 l. f., la cui mancata corresponsione determina non solo una disparità di trattamento tra curatore ed altri ausiliari ai sensi dell’art. 3 Cost., ma anche tra gli stessi curatori con procedura dotate di fondi e non revocate rispetto a quelli con procedure revocate, pur avendo posto in essere la stessa attività tipicamente prevista dalla legge fallimentare e pur dovendo rendere il conto della stessa attività con la eventuale connessa responsabilità, di cui, in ogni caso, sono fatti salvi gli effetti;

ritenuto che la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento (i cui effetti procedimentali, attesa la immediata esecuzione, vengono fatti salvi con una norma espressa contenuta nell’art. 22 l. f. della legge del 1942 e nell’art. 18 della riforma fallimentare 2006-2007), in presenza di identica attività di individuazione della massa dei creditori nonché della liquidazione della massa attiva, con gli stessi obblighi ed oneri, non giustifica, nemmeno sotto il profilo della azionabilità processuale della pretesa (a cui deve essere collegata necessariamente sia l’approvazione del rendiconto sia la eventuale azione di responsabilità in caso di mancata approvazione), un differente trattamento tra i curatori, ai sensi dell’art. 3 della Cost.;

ritenuto, infatti, che, anche accedendo alle interpretazioni della Suprema Corte sopra riportate, la disparità di trattamento tra il curatore di un fallimento revocato ed uno privo di fondi non verrebbe meno per l’aggravio processuale derivante dalla necessità di promuovere a carico del primo un giudizio di cognizione ordinaria contro lo Stato, dopo, peraltro, essersi fatto liquidare il compenso dal Tribunale;

ritenuto, peraltro, che la disparità di trattamento, proprio alla luce di quanto da ultimo riportato, non viene meno sulla erronea supposta considerazione che, nel caso di revoca di fallimento, non si tratterebbe di una anticipazione, ma di una liquidazione definitiva a carico dell’Erario, non tenendo in considerazione eventuali responsabilità che lo Stato stesso potrebbe fare valere in separata sede sia contro gli organi giudicanti che contro l’ex-fallito che contro gli organi della procedura e che, anche nelle procedure prive di fondi, indipendentemente dalla terminologia adottata, la anticipazione potrebbe del pari essere definitiva e non recuperabile dallo Stato stesso, il cui fine essenziale non è tanto quello del recupero, ma quello di assicurare un regolare svolgimento della procedura con tutti gli adempimenti connessi, assumendosene l’onere anche in via definitiva;

ritenuto, quindi, che il testo unico delle spese di giustizia, oltre ad assicurare il tempestivo pagamento al professionista nominato curatore, evitando al curatore di attivare un giudizio contenzioso contro lo Stato (per come statuito da Cass. N. 12411/2006) al solo fine del pagamento del compenso atteso che la liquidazione è demandata al Tribunale fallimentare, tutela comunque le esigenze dello Stato ed è impugnabile dal pubblico ministero;

ritenuto, inoltre, che non presenta aspetti contrastanti con la possibilità della applicazione della richiamata disciplina (anticipazione a carico dell’Erario), l’eventuale rivalsa dello Stato nei confronti a favore del quale ha anticipato le spese del procedimento, atteso che, in assenza di fondi, comunque lo Stato rimane pregiudicato e non può procedere al recupero;

ritenuto che, quanto da ultimo espresso, trova conferma nell’art. 147 T. U. delle spese di giustizia, che prevede espressamente il recupero (per cui implicitamente, quale elemento presupposto, è ammissibile la prenotazione a debito e l’anticipazione a carico dell’Erario) delle spese e del compenso del curatore, in caso di revoca del fallimento, a carico del creditore istante se è stato condannato per avere chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa ovvero a carico del fallito (persona fisica) se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento), rimanendo, quindi, in caso contrario, a carico dello Stato in via definitiva, risultando precluso ogni recupero in assenza delle condizioni sopra espresse;

ritenuto, pertanto, che occorre investire della questione la Suprema Corte Costituzionale, atteso che l’art. 146 del d. P. R. n. 115/2002 deve essere dichiarato incostituzionale sotto i richiamati profili della violazione dell’art. 3 Cost. nonché sotto il profilo degli artt. 21-39 L. F. 1942 e degli artt. 18-39 l. f. della riforma 2006-2007 della legge fallimentare  in relazione allo stesso art. 3 Cost.;

P. Q. M.

Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, d. P. R. n. 115/2002, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui non include, tra le spese anticipate dall’Erario, in caso di revoca del fallimento, le spese e gli onorari del Curatore.

Sospende il giudizio.

Manda alla cancelleria per la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, per la notificazione della presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato.

Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Roma, sezione fallimentare, il 30.01.2008.


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