Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14689 - pubb. 08/04/2016

Presupposti per il fallimento dell'holder, responsabilità per attività di direzione e coordinamento di un gruppo societario e spendita del nome

Tribunale Milano, 04 Febbraio 2016. Est. D'Aquino.


Fallimento - Assoggettabilità a fallimento dell'holder - Presupposti

Fallimento - Assoggettabilità a fallimento dell'holder - Presupposti - Attività di direzione e coordinamento di un gruppo societario quale fonte di responsabilità ex art. 2497 c.c. - Irrilevanza

Fallimento - Assoggettabilità a fallimento dell'holder - Coinvolgimento dell'holder quale soggetto fallibile senza espressa spendita del nome - Socio occulto - Accertamento della qualità di imprenditore - Necessità



Perché possa parlarsi di un holder assoggettabile fallimento occorre che l'holder, ancorché persona fisica:
a) eserciti una attività imprenditoriale in nome proprio e, quindi, un'attività, anche negoziale, con spendita del nome, in cui l'holder si avvalga organizzativamente e finanziariamente di vari soggetti imprenditoriali (es. società commerciali), procacciando clienti, negoziando con i creditori, impartendo direttive, influendo sulle scelte gestionali, concedendo incarichi, procurando finanziamenti alle società "del gruppo", rilasciando fideiussioni personali e recuperando liquidità dalle società distribuendola all'interno del "gruppo", etc.;
b) svolga questa attività con economicità e con perseguimento dell'utile, volto quest'ultimo sia all'incremento del valore delle proprie partecipazioni nelle società, sia all'incremento della capitalizzazione del gruppo, nonché del patrimonio personale;
c) eserciti questa attività con professionalità e organizzazione imprenditoriale, avvalendosi stabilmente di una struttura, composta eventualmente anche di personale dipendente.
(Questi criteri, già preconizzati da Cass., Sez, I, 26 febbraio 1990, n. 1439, sono oramai richiamati in tutti i precedenti di legittimità, tanto da costituire giurisprudenza consolidata, declinata sotto le diverse fattispecie della holding pura, intesa come gestione del gruppo e della holding operativa, quale gestione di attività di natura ausiliaria o finanziaria (Cass., Sez. I, 18 novembre 2010, n. 23344; Cass., Sez. Un., 29 novembre 2006, n. 25275; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113).
L'assoggettamento a dichiarazione di fallimento dell'holder richiede, pertanto —pur in caso di accertamento della sussistenza di una attività di direzione strategica delle società del "gruppo"- l'accertamento di profili paradigmatici dello status di imprenditore individuale (arg. ex art. 2082 c.c.), quali la spendita del nome (atti anche negoziali, nei quali la direzione del gruppo si esplica, posti in essere dal capogruppo in nome proprio), l'attitudine a produrre un incremento di risultati economici del gruppo nel suo insieme e nelle sue componenti e che appaiano diretta derivazione dell'attività di governo (in termini Cass. n. 1439/90, cit.), anche avvalendosi di una struttura organizzativa stabile. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Appare, quindi, evidente come non basti, di per sé, al fine dell'assoggettamento a dichiarazione di fallimento, l'esercizio anche abusivo da parte dell'holder di attività di direzione e coordinamento di un gruppo societario, fonte di responsabilità ex art. 2497 c.c. per l'holder. Lo status di holder fallibile, ossia di titolare di holding unipersonale assoggettabile a fallimento, non coincide di per sé con l'esercizio abusivo (in violazione di quanto previsto dall'ad. 2497 c.c.) di una attività di coordinamento del gruppo. Chi esercita una attività di coordinamento di altre società e agisce in violazione dei principi di corretta gestione delle società (sia societaria sia imprenditoriale), assume una responsabilità risarcitoria diretta "per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società" (art. 2497 c.c.), azione risarcitoria che in caso di fallimento della società affidata all'altrui coordinamento spetta al curatore del fallimento. Pertanto, ancorché venga allegato l'esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento da parte di una persona fisica (arg. ex art. 2497-sexies c.c.), come nel caso di abusiva ingerenza del socio titolare di partecipazioni quasi totalitarie (il cd. socio "quasi unico"), tale circostanza non comporta di per sé lo status di imprenditore fallibile dell'holder o socio tiranno.

Invero, la responsabilità risarcitoria è causa di mera aggressione patrimoniale nei confronti del responsabile (e non di assoggettamento a fallimento, con conseguente spossessamento e cristallizzazione delle masse passive), laddove l'assoggettamento a fallimento richiede comunque l'individuazione di un centro di imputazione di interessi che eserciti una attività imprenditoriale come tale considerata (e, quindi, assuma debiti in proprio quale imprenditore), il cui esercizio è postulato necessario per qualsiasi dichiarazione di fallimento a termini dell'art. 1, comma 1, legge fall. Solo in caso di prova che l'eterodirezione societaria si sia tradotta in esercizio di attività imprenditoriale, può dedursi che l'esercizio abusivo di attività di direzione comporti l'assoggettabilità a dichiarazione di fallimento (assunzione di attività imprenditoriale in nome proprio con spendita del nome, perseguimento di un risultato economico, utilizzazione di una attività svolta professionalmente e con stabile organizzazione, autonoma rispetto a quella delle singole società eterodirette, volta a determinare l'indirizzo, il controllo e il coordinamento di altre società). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il coinvolgimento dell'holder quale soggetto fallibile senza espressa spendita del nome può avvenire principalmente nel caso in cui il centro di imputazione del soggetto insolvente sia già stato individuato altrove e l'holder entri in gioco quale socio occulto (e, quindi, non come imprenditore) di cui si chieda il fallimento in estensione ex art. 147 legge fall., non anche laddove si predichi ex abrupto la qualità di imprenditore del medesimo, che non può prescindere dallo svolgimento ex professo di una attività imprenditoriale propriamente intesa, perché diversamente dovrebbe accedersi alla non condivisa (in giurisprudenza) opinione dell'imprenditore occulto che svolga indirettamente attività imprenditoriale tramite terzi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Segnalazione del Dott. Michele Rossi


Il testo integrale


 


Testo Integrale