Deontologia


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23100 - pubb. 30/01/2020

Idoneità del comportamento a compromettere la credibilità del magistrato e il prestigio dell’ordine giudiziario

Cassazione Sez. Un. Civili, 02 Agosto 2019, n. 20819. Pres. Schirò. Est. Scaldaferri.


Diciplina della magistratura - Violazione di legge nell’esercizio delle funzioni - Responsabilità disciplinare - Condizioni - Idoneità del comportamento a compromettere la credibilità del magistrato e il prestigio dell’ordine giudiziario - Fattispecie in tema di indagini preliminari per omicidio a carico di ignoti



In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, la grave violazione di legge rileva non in sé, bensì in relazione alla condotta deontologicamente deviante posta in essere nell'esercizio della funzione, ed impone, pertanto, una valutazione complessiva della vicenda e dell'atteggiamento in essa tenuto dal magistrato, al fine di verificare se il comportamento sia idoneo, siccome dovuto "quantomeno" ad inescusabile negligenza, a compromettere sia la considerazione di cui il singolo magistrato deve godere, sia il prestigio dell'ordine giudiziario. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto integrato l'illecito disciplinare di cui all'art.2, lett. a) e g), del d.lgs. n.109 del 2006, valutando rilevanti e significative, nel loro complesso, le seguenti omissioni e trascuratezze poste in essere da un pubblico ministero assegnatario di un procedimento per omicidio a carico di ignoti: - l'aver lasciato aperto il procedimento per circa venticinque anni senza la richiesta al giudice competente di alcuna proroga dopo la prima concessa dal Gip; - l'aver provveduto in modo carente alla gestione ed al controllo dei reperti acquisiti; - il non aver dato riscontro per lungo tempo a reiterate istanze della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, nelle quali, si manifestava la necessità di rivisitare la scena del crimine). (massima ufficiale)


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO' Stefano -  Primo Presidente f.f.  -

Dott. MANNA Felice -  Presidente di sez.  -

Dott. DI VIRGILIO Rosa -  Consigliere  -

Dott. GRECO Antonio -  Consigliere  -

Dott. SCALDAFERRI Andrea -  rel. Consigliere  -

Dott. BERRINO Umberto -  Consigliere  -

Dott. DE STEFANO Franco -  Consigliere  -

Dott. SCARANO Luigi Alessandro  -  Consigliere  -

Dott. GIUSTI Alberto -  Consigliere  -

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


FATTI DI CAUSA

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione promuoveva, tra l'ottobre 2014 ed il luglio 2016, diverse azioni disciplinari, poi riunite, nei confronti del Dott. A.A. per molteplici violazioni ai doveri inerenti alle funzioni da lui svolte quale sostituto procuratore della Repubblica di X..

La Sezione disciplinare del C.S.M., disposto con ordinanza in via cautelare il trasferimento del Dott. A. al Tribunale di X. con funzioni di giudice, successivamente con sentenza n. 125 del 31 agosto 2018 ha dichiarato il medesimo responsabile di due degli illeciti disciplinari a lui ascritti e gli ha inflitto la sanzione della perdita di anzianità di mesi otto, confermando il trasferimento ad altro Ufficio; lo ha invece assolto, con distinte formule, dalle altre incolpazioni.

Ha ritenuto, in sintesi, la sezione disciplinare la responsabilità del Dott. A. per: a)gli illeciti disciplinari di cui D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) e g) per avere omesso o ritardato ingiustificatamente il compimento di atti e l'adozione delle determinazioni che gli incombevano quale assegnatario del procedimento penale a carico di ignoti relativo all'omicidio delle giovane Y. avvenuto il (*); b) l'illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. d) per avere, mancando di correttezza e di equilibrio, tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del Procuratore della Repubblica del suo Ufficio in merito al provvedimento in tema di godimento di ferie del 9 febbraio 2015.

La Sezione disciplinare ha invece ritenuto la mancanza di elementi per la configurabilità di altri due illeciti disciplinari, relativi rispettivamente alla installazione nell'ufficio del Dott. A., senza autorizzazione del Procuratore, di una rete ADSL, wi-fi privata collegata ad Access Point wireless, ed alla collocazione presso la segreteria del medesimo di un televisore a led oggetto di sequestro eseguito nell'ambito di un procedimento penale. Ha infine ravvisato gli elementi per la esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis in relazione ad altre molteplici incolpazioni, contestate al Dott. A. negli originari procedimenti nn. 152/2014, 158/2014 e 49/2015.

Ricorre per cassazione il Dott. A. con due articolati motivi.

Il Ministro della Giustizia, a sua volta, propone ricorso nei riguardi di alcune delle statuizioni assolutorie.

Il Dott. A. ha depositato memoria illustrativa.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. RICORSO DEL DR. A. AVVERSO LA IRROGAZIONE DI SANZIONE DISCIPLINARE NEI SUOI CONFRONTI.

1.1. Con il primo articolato motivo il ricorrente, lamentando travisamento dei fatti ed omessa valutazione delle prove a difesa, censura le statuizioni della sentenza impugnata concernenti la sussistenza degli illeciti contestati relativamente alla condotta da lui tenuta quale assegnatario del procedimento penale a carico di ignoti relativo all'omicidio della giovane Y., dalla sua iscrizione nel gennaio 1987 e (salvo un intervallo di istruttoria formale dal luglio 1987 al gennaio 1990) fino alla avocazione disposta dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Milano il 22.11.2013.

1.1.2. La sentenza, ravvisando la violazione dei doveri di diligenza e laboriosità nonchè di norme processuali, ha ritenuto accertata una serie di omissioni e trascuratezze del ricorrente, che ha considerato nel complesso rilevanti e significative, in particolare: - aver lasciato aperto il procedimento per circa venticinque anni a carico di ignoti senza la richiesta al giudice competente di alcuna proroga dopo quella concessa dal G.I.P. nel gennaio 1991; - aver provveduto in modo carente alla gestione e controllo dei reperti acquisiti, risultati custoditi in diversi luoghi (alcuni presso l'Ufficio del P.M., altri presso l'Ufficio del G.I.P. per molti anni, sino a che ne era stata disposta la distruzione previa istanza dell'Ufficio corpi di reato presso il Tribunale) senza che fosse possibile individuare i criteri in base ai quali i reperti venivano destinati ai diversi luoghi di conservazione; - non aver dato alcun riscontro per lungo tempo alle istanze della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato-Unità delitti insoluti, formalizzate nell'agosto del 2009 e reiterate nel 2010 e 2011, nelle quali, prospettando al magistrato inquirente una ipotesi di lavoro mirata ad approfondimenti tecnico-scientifici di nuova tecnologia resi possibili ed agevoli dai nuovi metodi lo materia di DNA, si manifestava anche la necessità di rivisitare la scena del crimine: infatti, solo il 22 ottobre 2013, quando già era stata avanzata richiesta di avocazione delle indagini, il ricorrente aveva formulato una delega di indagine, peraltro irrituale.

1.1.3. A questo quadro coerente il ricorrente oppone considerazioni in gran parte inammissibili, comunque inidonee a scalfire la fondatezza dell'accertamento dell'illecito disciplinare.

1.1.4. Inammissibili devono invero ritenersi le doglianze del ricorrente là dove basate su valutazioni di merito (evidentemente non prospettabili in sede di legittimità) o su una divergente ricostruzione dei fatti basata su una loro mera enunciazione, senza il corredo delle specifiche indicazioni che, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) - da applicarsi nella specie in ragione del puntuale richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, comma 1 -, condizionano la configurabilità del vizio di motivazione contemplato dalla norma stessa (cfr.ex multis: Cass., Sez.3 pen., n. 43322/14; Sez.2 n. 20677/17; Sez.1 n. 16706/08).

Si intende far riferimento, in particolare, alla indicazione da parte del ricorrente, ai fogli 2 e 3 del ricorso, sub "Capo A originario proc. 74/2015 1- Travisamento dei fatti ed omessa valutazione delle prove a difesa", di una serie di prove documentali, asseritamente attestanti lo svolgimento di una copiosa attività istruttoria e asseritamente pretermesse dal giudice disciplinare, indicazione tuttavia non accompagnata dalla necessaria specificazione degli atti del giudizio disciplinare in cui dette prove sarebbero state acquisite.

1.1.5. Deve altresì ritenersi che il travisamento dei fatti, ulteriormente dedotto dal ricorrente a fondamento della complessiva doglianza, ricorre, per consolidata giurisprudenza, quando la censura "contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un'evidenza - pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante - di per sè dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati" (Cass., Sez. 1 pen. 54281/17), oppure "quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di "evidente incontestabilità" (Cass., Sez. 1, n. 51171/18), atteso che nel giudizio di cassazione "sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito" (Cass., Sez. 6, 47204/15; conf. Cass., Sez. 6, 25255/12).

1.1.6. Nel caso di specie, la differente lettura, rispetto a quella operata dal giudice di merito, delle risultanze in fatto dettagliatamente e minuziosamente rappresentata dal ricorrente, non scalfisce e non inficia la unitaria ricostruzione dei fatti contestati all'incolpato compiuta dalla Sezione disciplinare e il connesso giudizio di gravità delle violazioni riscontrate, in quanto non fa emergere, a prescindere da singoli episodi di dettaglio (come quello relativo al mancato rinvenimento del reperto n. 1, o quello concernente l'avvenuto stralcio di posizioni di indiziati, con formazione di autonomo fascicolo processuale inviato al g.i.p. con richiesta di archiviazione), un quadro probatorio diverso, in termini di "evidente incontestabilità", da quello valutato dalla Sezione disciplinare e posto a base della decisione impugnata, nè la pretermissione o la infedele rappresentazione di fatti decisivi, da parte del giudicante, dotate di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa e tali da disarticolare l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato per la intrinseca e insuperabile contraddittorietà dei rispettivi enunciati, non essendo state smentite, neppure sulla base della argomentazioni difensive del ricorrente, le complessive anomalie investigative che hanno compromesso la ricerca del responsabile dell'omicidio, accertate dalla Sezione disciplinare e meglio specificate al precedente par. 1.1.2., ed apparendo, al contrario, evidente l'inammissibile tentativo del ricorrente di prospettare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili e convincenti rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

1.1.7. Evidente esempio di tale inammissibile tentativo è la contrapposizione tra l'accertamento compiuto dalla Sezione disciplinare in ordine alla circostanza che l'omicidio M. non era ricompreso nell'elenco dei casi di omicidio irrisolti da affidarsi, secondo una direttiva impartita dal Procuratore della Repubblica, Dott. G., nel corso di una riunione del 22 gennaio 2007, a un gruppo di magistrati, non risultando dal verbale della riunione che l'omicidio M. fosse ricompreso tra i c.d. casi freddi, e la deduzione difensiva sul punto da parte del ricorrente, che fa riferimento alla deposizione del Dott. G., il quale, sentito nel corso dell'udienza disciplinare, ha confermato che l'omicidio M. era ricompreso tra i casi irrisolti sui quali continuare a indagare, ma non ha smentito la diversa circostanza, valorizzata dalla Sezione disciplinare, che detto omicidio non era indicato nel verbale della riunione del 22 gennaio 2007.

1.1.8. Inammissibile, in quanto estranea al decisum della sentenza impugnata, è infine la doglianza del ricorrente in ordine all'"anomalia di una forte campagna mediatica che ha ritenuto di condizionare l'operato dei magistrati" e il riferimento all'accusa, successivamente archiviata, rivolta a tale P.G. di essere l'autore dell'omicidio di Y.. A tale vicenda, infatti, non si fa riferimento nella motivazione della sentenza della Sezione disciplinare e il richiamo ad essa operato dal ricorrente costituisce un ulteriore tentativo di contrapporre inammissibilmente agli elementi di fatto accertati e valutati dal giudice del merito differenti circostanze ritenute più favorevoli e convincenti.

1.1.9. Nè colgono nel segno le censure in diritto alle quali il ricorrente affida la critica avverso la ritenuta responsabilità disciplinare a suo carico per aver lasciato aperto per lungo tempo il procedimento senza investire il giudice competente di alcuna richiesta di proroga. Invero, la tesi, che il ricorrente sostiene, della piena legittimità della propria condotta è basata sul richiamo di due pronunce di questa Corte che hanno affermato la illegittimità dell'apposizione di un termine nel decreto di proroga delle indagini preliminari nei procedimenti contro ignoti, secondo un orientamento però contrastato dalla prevalente giurisprudenza, secondo la quale (Cass. pen., Sez. 5, n. 28700/05; Sez. U, n. 13040/06; Sez.5 n. 40343/06; Sez. 6, n. 22509/11; Sez.1, n. 33283/13) la determinazione di un termine massimo di sei mesi o di un anno (in relazione alla gravità dei reati) per la proroga delle indagini -quale previsto dall'art. 406 c.p.p., comma 2 bis e dall'art. 405 c.p.p., comma 2, secondo periodo - è applicabile, alla luce della nuova formulazione dell'art. 415 c.p.p., anche al provvedimento autorizzativo di prosecuzione delle indagini nei confronti di ignoti, considerato che esso è preordinato a rafforzare la garanzia del rispetto dei tempi investigativi e la funzione di controllo del G.i.p. sull'attività del P.M., la quale non può esplicarsi senza limiti di tempo (Cass., Sez. 6, n. 36886/05).

1.1.10. Del resto, è noto che, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, la grave violazione di legge rileva non in sè, bensì in relazione al comportamento deontologicamente deviante posto in essere nell'esercizio della funzione, ed impone quindi una valutazione complessiva della vicenda e dell'atteggiamento in essa tenuto dal magistrato al fine di verificare se il comportamento sia idoneo, siccome dovuto "quantomeno" ad inescusabile negligenza, a compromettere sia la considerazione di cui il singolo magistrato deve godere, sia il prestigio dell'ordine giudiziario (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 11069/12; n. 20159/10; n. 16626/07). Valutazione alla quale la sentenza impugnata non si è sottratta, evidenziando una serie di elementi di fatto significativi (cfr. sopra) dai quali emerge, per l'appunto in una analisi complessiva, il quadro coerente di una condotta del ricorrente negligente e non collaborativa, di una conduzione tutta individuale delle indagini per lunghissimo tempo, senza peraltro il compimento di attività significativa. In tale contesto ben si colloca anche - pur senza assumere valore decisivo in sè - la trascuratezza nella custodia dei reperti, che, anche a prescindere dalle vicende relative al reperto n. 1, trova esemplare riscontro nella omessa formulazione, certamente spettante al magistrato inquirente, di indicazioni e prescrizioni in ordine ai criteri in base ai quali i reperti sono stati distribuiti in diversi luoghi di custodia, nonchè successivamente nell'omesso controllo dei reperti stessi.

1.1.11. Il primo motivo di ricorso non merita dunque accoglimento 1.2. Il secondo motivo, con il quale il ricorrente censura la ritenuta responsabilità disciplinare a suo carico per comportamento gravemente scorretto nei confronti del Procuratore della Repubblica del suo Ufficio in merito al provvedimento in tema di godimento di ferie del 9 febbraio 2015, si palesa inammissibile, per le medesime ragioni già esposte in ordine al primo motivo (cfr.supra, punti 1.1.4 e segg.).

Invero, a fronte dell'accertamento compiuto dalla Sezione disciplinare della "totale assenza di volontà da parte dell'incolpato di collaborare per la risoluzione dei problemi determinati dall'abnorme accumulo di ferie... in termini di assoluto ed insanabile contrasto con il dirigente dell'Ufficio", nel motivo di ricorso la censura di travisamento dei fatti risulta interamente affidata alla prospettazione di valutazioni di merito inapprezzabili in questa sede di legittimità e ad una divergente ricostruzione dei fatti, priva peraltro delle specifiche indicazioni necessarie per la stessa configurabilità del vizio di motivazione.

1.3 In conclusione, il rigetto del ricorso proposto dal Dott. A. si impone.


2. RICORSO DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA.

2.1. Con unico, articolato, motivo di ricorso, il Ministro si duole di due delle statuizioni assolutorie emesse con la sentenza in esame.

2.1.2. Da un lato, con riguardo alla incolpazione espressa nel procedimento disciplinare n. 49/2015 (cui afferiscono gli originari procedimenti nn. 45/15, 47/15 e 3/16) in relazione alla condotta omissiva tenuta dal Dott. A. in 15 procedimenti penali con conseguente maturazione del termine prescrizionale, il Ministro censura la ritenuta applicazione della esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis denunciando la violazione di tale norma e dell'art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a, g, q nonchè la illogicità e contraddittorietà della motivazione, sostenendo che la sentenza fa derivare apoditticamente dalla sola entrata in vigore della legge c.d. ex Cirielli (che ha, nel corso dei suddetti procedimenti, inciso sui termini prescrizionali) la assenza di danno o disdoro all'immagine del Magistrato e della Magistratura per effetto della prolungata assenza di attività investigativa.

2.1.3. Va tuttavia osservato sul punto che alla ratto censurata dal Ministro la sentenza ha aggiunto altra ratto, avendo considerato come d'altro lato, dal confronto tra la condotta tenuta dal Dott. A. e gli altri magistrati nel periodo in esame, la percentuale di procedimenti prescritti risulti inferiore a quella dei colleghi. Poichè tale considerazione - in sè e per il rilievo conferitole nella motivazione della sentenza - deve considerarsi idonea a sorreggere autonomamente la statuizione impugnata, la mancanza di censure specifiche sul punto in ricorso rende inammissibile, per difetto di interesse, la doglianza riguardante la ratio censurata, la cui eventuale fondatezza non potrebbe condurre alla riforma della statuizione.

2.1.4. Lamenta inoltre il ricorso la erroneità della decisione nella parte in cui ha ritenuto insussistente l'addebito in relazione alla incolpazione inerente alla violazione degli artt. 259,260 e 261 c.p.p. per avere il Dott. A., nell'ambito di un procedimento penale a lui assegnato, disposto che un televisore sequestrato fosse collocato presso la propria segreteria, anzichè presso l'Ufficio corpi di reato del Tribunale. Sostiene il ricorrente che la motivazione della decisione sul punto sarebbe meramente apparente.

2.1.5. Va tuttavia osservato che la sentenza, precisate le circostanze di fatto dalle quali evincere che doveva escludersi una utilizzazione del televisore in questione, ha in sostanza rilevato come non possa ritenersi che fossero stati violati i sigilli apposti sul bene sequestrato per il solo fatto che esso, per il suo particolare valore, fosse stato posizionato - sotto la responsabilità del Cancelliere - nella stanza facente parte dell'ufficio del Dott. A.. La motivazione, dunque, non può dirsi meramente apparente. Al contrario, la sentenza indica più elementi di fatto che, secondo la valutazione del giudice di merito evidentemente non sindacabile in questa sede di legittimità, conducono ad escludere che, nella specie, siano stati violati i sigilli. Anche questa doglianza non merita pertanto accoglimento.

3. In conclusione, entrambi i ricorsi sono rigettati, con compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio, stante la reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso, spese compensate tra le parti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019.