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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24280 - pubb. 01/10/2020.

Concordato preventivo: con l’emissione delle note di variazione IVA si crea un disallineamento tra la posizione del committente e quella dei prestatori


Cassazione civile, sez. V, tributaria, 11 Settembre 2020. Pres. Virgilio. Est. D'Aquino.

Concordato preventivo - IVA - Omologazione - Note di variazione - Conseguenze


Quando a seguito dell’omologa del concordato prevenivo si abbia ragionevole certezza del mancato integrale pagamento del credito da rivalsa IVA, il committente in concordato non può che portare a credito l’IVA conseguente all'esercizio della detrazione nei limiti di quanto assolto in sede di rivalsa sulle fatture di acquisto ricevute, in conformità di quanto risulti dalla proposta concordataria omologata e non secondo quanto indicato nelle fatture ricevute dai prestatori.

Se così non fosse, la procedura concorsuale otterrebbe dall'Erario (per effetto dell'esercizio della detrazione a fondamento della domanda di rimborso del credito IVA) più di quanto l'Erario riceverebbe dall'operazione imponibile, come riconosciuto in obiter dictum dalla stessa giurisprudenza della Corte, secondo la quale: «indubbiamente il sistema di contabilizzazione dell'IVA può creare un vantaggio per il fallimento, il quale può detrarre l'IVA, ed una situazione pregiudizievole per il prestatore di servizio il quale, fatturando l'IVA, può non ricevere contestualmente il relativo importo che per intanto è tenuto ad anticipare»

L'arricchimento della procedura concorsuale è reso evidente dal fatto che il committente insolvente, da un lato, non soddisferebbe integralmente l’IVA in rivalsa (se non nella misura indicata nella proposta o in quella consentita dal riparto), e, dall'altro, porterebbe integralmente in detrazione l'importo dell'IVA indicato in fattura (benché non assolta). Il credito IVA rimborsato dall'Erario verrebbe, poi, distribuito ulteriormente tra i creditori concorsuali in un riparto successivo (tra i quali potrebbe non esserci l'Erario), in costanza del rischio per l'Ufficio di trovarsi esposto al riconoscimento ex post nei confronti degli emittenti di un pari credito di imposta in caso di emissione delle note di rettifica, nonostante sin dall'omologa della proposta concordataria la detrazione sia da rettificare a termini della stessa.

Deve, pertanto, ritenersi che non possa farsi applicazione «bruta» del sistema di regolazione contabile mediante mera detrazione dell'imposta sulle fatture ricevute di cui all'art. 19 d.P.R. n. 633/1972, ciò indipendentemente dal rischio che le note di rettifica di cui all'art. 26, comma 2, d.P.R. cit. possano essere emesse dagli emittenti parzialmente o totalmente insoddisfatti, in quanto è l'omologa della proposta concordataria che comporta la perdita, ovvero la rimodulazione dell'esercizio della detrazione in conformità della proposta medesima.

Si osserva come la questione dell'emissione o meno delle note di variazione da parte del prestatore è, ai fini dell'esercizio della detrazione, irrilevante per il committente. Per il committente che intenda esercitare la detrazione rileva solo la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito da rivalsa IVA, certezza fornita dalla definitività del decreto di omologa. Diversamente, l'emissione della nota di variazione (e la successiva registrazione da parte del committente) inerisce alla sola posizione del prestatore, al fine della modifica della propria base imponibile quale effetto della definitiva non recuperabilità del proprio credito di rivalsa. Il ricorrente non ha, pertanto, interesse a verificare se e in che misura il prestatore avrebbe perso il diritto alla emissione delle note di variazione (rettifica) in riduzione dell'imposta versata, in quanto la detrazione va esercitata nei termini indicati nella proposta omologata.

Altrettanto irrilevante è la focalizzazione del momento in cui il credito da rivalsa IVA del prestatore si sarebbe definitivamente consolidato, ossia se tale momento coincida (o  meno) con l'approvazione da parte del giudice delegato (in sostituzione del comitato dei creditori) dell'atto di straordinaria amministrazione (incidente come tale sulla proposta omologata), consistente nell'approvazione della transazione tra la procedura e i professionisti prestatori. Nel concordato preventivo non vi è cristallizzazione della massa passiva; sicché, in caso di contestazione del debito concordatario, occorre ai fini della collocazione nel progetto di ripartizione un accertamento giudiziale, ovvero un atto negoziale (negozio di accertamento o transazione).

Tali eventi incidono sull'entità del debito complessivo e, solo indirettamente, sull'entità del debito IVA del committente. Se l'atto negoziale consente, in caso di riduzione del debito della procedura (anche per IVA) un risparmio sugli impieghi rispetto alle fonti, esso va a incidere (positivamente) in punto di fatto sulle possibilità di soddisfare i creditori secondo la proposta concordataria. In quanto tale, l'atto negoziale transattivo non si distingue da un qualunque atto esecutivo del concordato, ma non modifica (se non in punto di mero fatto) la percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta definitivamente omologata. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

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