Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 321 - pubb. 01/07/2007

Rappresentanza processuale e legittimazione ad agire

Tribunale Milano, 22 Marzo 2006. Est. Amina Simonetti.


Rappresentanza processuale – Legittimazione ed interesse ad agire – Necessaria coincidenza del potere processuale e di quello sostanziale – Temperamento del principio nelle ipotesi previste dall’art. 77 c.p.c. Rappresentanza processuale – Legittimazione ad agire – Intervento tardivo del rappresentato – Sanatoria – Esclusione.



Posta come necessaria la coincidenza della titolarità dell'interesse litigioso con la corrispondente legittimazione processuale, manifestamente se ne deve dedurre l'impossibilità che taluno, delegando ad altri l'ufficio di parte nel processo che riguarda una sua lite, spezzi quell'unione, imposta da un principio fondamentale del processo civile.
Il rigore di tale principio è, tuttavia, temperato proprio dall'art. 77 cod. proc. civ., in considerazione di esigenze pratiche che si esprimono in un costume ampiamente favorevole all'attribuzione del diritto di agire a chi ha, con una certa latitudine, poteri di rappresentante dell'interessato, di guisa che, leggendosi la testè citata norma in combinazione con quella dell'art. 100, può scorgersi in quest'ultima piuttosto che la rigida enunciazione di un principio secondo il quale l'azione spetta esclusivamente al titolare dell'interesse in lite, l'affermazione più generica della necessità che chi agisce abbia rispetto alla lite una posizione particolare che la norma stessa non definisce, ma che può desumersi dalle ipotesi individuate dall'art. 77, sì da condurre all'affermazione di una regola generale per cui il diritto di agire spetta a chi abbia il potere di rappresentare l'interessato - sempre che questi ne abbia fatto espresso conferimento per iscritto o che, in difetto di siffatta previsione, ricorrano le eccezioni nella stessa disposizione considerate - o nella totalità dei suoi affari (procuratore generale) o in un gruppo omogeneo di questi, paragonabile ad un'azienda commerciale o ad un suo settore (institore). In buona sostanza, una volta riconosciuto che il principio della normale coincidenza della titolarità dell'interesse in contesa con quella della legittimazione processuale si correla alle esigenze pubblicistiche più sopra ricordate, la possibile attribuzione della seconda al rappresentante appare, da un lato, fondata su una valutazione legale tipica della equiparabilità della posizione di questi rispetto alla lite a quella dello stesso interessato, quanto all'efficacia della sua azione nel processo; e, dall'altro lato, chiaramente condizionata dai presupposti di una siffatta valutazione, vale a dire l'essere la rappresentanza (materiale) di cui trattasi generale o, almeno, assimilabile a quella fondata sulla preposizione institoria, presupposti, quindi, non riscontrabili nel caso di un mandatario speciale per un singolo affare. (Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che non fosse legittimato ad agire in giudizio il soggetto munito di procura che gli conferiva solo poteri processuali e non sostanziali) (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La mancanza di legittimazione ad agire del rappresentante ad litem che non sia munito anche di rappresentanza sostanziale ai sensi dell’art. 77 c.p.c. non può essere sanata dall’intervento in giudizio del rappresentato che abbia luogo dopo il termine concesso alle difese per la precisazione delle conclusioni. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Segnalazione del Prof. Avv. Bruno Inzitari


omissis 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ex art. 2 D.Lgs 5/2003 notificato il 21 marzo 2005 D. M. D., quale procuratore speciale con autentica di firma notarile del 23 febbraio 2005 rep. 381 Notaio **, ha convenuto in giudizio Banca Nazionale del Lavoro proponendo azione di nullità ex art. 1418 co. 1 c.c. in relazione alla violazione delle norme imperative di cui agli artt. 21 e 23 D.Lgs 58/98, 28 e 29 Reg. Consob 11522/98 che la convenuta avrebbe commesso in occasione dello svolgimento dell'attività di prestazione di servizi di investimento. In particolare con l'azione giudiziale l'attrice ha contestato la validità dei seguenti investimenti ordinati dal coniuge dott. V.: acquisto del 6.10.2000 con valuta 10.10.2000 di obbligazioni Argentina 9,25% 00-7/2004 al valore nominale di € 23.000,00 per la somma di € 23.535,34; acquisto del 5.3.2001 con valuta 8.3.2001 di obbligazioni P. Buenos Aires 10,375%04 al valore nominale di € 25.000,00 per il prezzo di € 24.995,44. Quanto ai fatti ha sostenuto che la banca non aveva agito con la diligenza professionale richiesta dalla normativa di settore non avendo informato il cliente al momento degli ordini delle caratteristiche e della rischiosità degli investimenti, in particolare con riferimento all'operazione del marzo 2001 ha contestato che mai sia stato dato l'ordine.

Da tale condotta, implicante la violazione di norme a carattere imperativo, artt. 21 TUF, 28 Reg. Consob, ha sostenuto in diritto conseguirebbe la nullità dei due atti di acquisto degli strumenti di investimento in applicazione dell'art. 1418 co 1 c.c.. Unitamente all'azione di condanna ha chiesto la restituzione del capitale investito con interessi legali.

Si è costituita in giudizio la banca convenuta la cui difesa ha contestato in fatto e in diritto la domanda di controparte di cui ha chiesto il rigetto rilevando che il rappresentato processuale, parte sostanziale del rapporto giuridico dedotto in giudizio, era un suo dipendente, tutt'altro che inesperto della materia finanziaria e che l'investimento del marzo 2001 era stato impartito con ordine telefonico.

Le difese si sono scambiate memorie ex art. 6 e 7, l'attrice non ha contestato la modalità di trasmissione dell'ordine del marzo 2001 implicitamente ammettendo che esso era stato effettivamente dato dalla parte rappresentata.

L'istanza di fissazione udienza è stata depositata il 19.7.2005 dalla difesa dell'attrice; la banca ha depositato nota ex art. 10.

Il giudice relatore con decreto ex art. 12 depositato l'1.12.2005 non ha ammesso le istanze istruttorie delle parti e ha rimesso la causa dinanzi al Collegio per la discussione ex art. 16 sottoponendo al contraddittorio delle parti la questione della legittimazione processuale dell'attrice ex art. 77 c.p.c.. Le difese hanno depositato le note conclusionali il 10.2.2006 alla scadenza del termine concesso. Con comparsa depositata il 10.2.2005 e scambiata io stesso giorno con la banca convenuta si è costituito il dott. G.V. per conferire alla sig.ra D. "ogni più ampio potere di rappresentanza sostanziale e processuale" confermando al contempo ogni atto processuale posto in essere e facendo proprie le deduzioni, argomentazioni istanze domande etc proposte dalla sig.ra D. contro BNL nel presente giudizio.

All'udienza collegiale del 15.3.2006 la causa è stata discussa come da verbale d'udienza e il Collegio si è riservato di depositare la decisione del termine di giorni 30; a seguito della camera di consiglio, ha deciso la causa come segue.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si conferma il decreto del giudice relatore in punto di prove essendo la causa decidibile sulla base degli atti e dei documenti prodotti.

Preliminare all'esame del merito delle esposte censure è quello dell'ammissibilità dell'azione e cioè della questione - sollevata d'ufficio dal giudice relatore - della valida legittimazione ad agire dell'attrice D., cioè se ella sia validamente investita della rappresentanza processuale. Premesso che si tratta di questione suscettibile di rilievo officioso in ogni stato e grado del giudizio, ritiene il Collegio che l'indagine debba essere diretta a stabilire se la rappresentanza processuale esiga, per poter essere rite et recte conferita, la congiunta attribuzione della rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto giudizio o se possa legittimamente prescinderne. Ciò in quanto vi è dubbio sul fatto che la procura speciale ad agire in giudizio rilasciata direttamente dal rappresentato dott. G.V. abbia attribuito alla rappresentante solo poteri processuali e non anche sostanziali.

Alla questione suindicata, se la rappresentanza processuale esiga la congiunta attribuzione della rappresentanza sostanziale, deve, ad avviso del Collegio, darsi soluzione positiva, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale della Corte di legittimità a Sezioni Unite (Cass. S.U. 4666/98), ormai consolidato e che di seguito si richiama: "Superate iniziali incertezze, costituisce, invero, jus receptum che, ai sensi dell'art. 77 cod. proc. civ., il potere rappresentativo processuale con la correlativa facoltà di nomina dei difensori può essere conferito soltanto a colui che già sia investito di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio (Cass. 23 ottobre 1990 n.10287; Id 9 novembre 1983 n.6621; Id 9 novembre 1983 n.6621): ed il principio si conferma di persistente validità, anche ad una rinnovata revisione critica che ne investa le premesse ermeneutiche, i percorsi argomentativi che da esse si snodano e le necessità di inquadramento sistematico. È, innanzitutto, da rilevare che l'art. 77 cod. proc. civ., nel richiedere, ai fini della rappresentanza processuale volontaria, l'espresso conferimento del relativo potere, prende in considerazione, come destinatario di tale conferimento, non già un qualsiasi soggetto, ma soltanto "il procuratore generale e quello preposto a determinati affari" Lo svolgimento dei lavori preparatori conferma, poi, la necessità di una lettura della norma incompatibile con la previsione di una rappresentanza volontaria limitata agli atti processuali, alla medesima ratio essendosi ispirati gli art. 12 del progetto Carnelutti; 5, cpv. dello schema Rocco; 41 del progetto Redenti; 5 del progetto preliminare Solmi; 21 del progetto definitivo Solmi; ed essendosi nella stessa Relazione del guardasigilli sul progetto definitivo (v. n.14) espressamente rilevato che "la rappresentanza limitata ad affari giudiziari sarebbe stata in contrasto con l'interesse pubblicistico del processo che richiede la presenza in giudizio di chi abbia un reale interesse nella controversia e, d'altro canto, potrebbe dar luogo a pericolosi abusi". Sul piano dei principi deve, inoltre, notarsi che, ai sensi dell'art. 100 cod. proc. civ., "per proporre una domanda o per contraddire alla stessa e necessario avervi interesse": e questa proposizione, come è stato posto in luce da autorevole dottrina, manifesta una capacità di riferimento non solo all'esistenza obiettiva dell'interesse ad agire, che si risolve nella presenza o nella probabilità della lite, ma anche alla sua appartenenza, cioè alla titolarità della lite in chi agisce, nel senso che la relazione della lite con l'agente debba consistere in ciò che l'interesse in lite sia suo.

Posta, dunque, come necessaria la coincidenza della titolarità dell'interesse litigioso con la corrispondente legittimazione processuale, manifestamente se ne deve dedurre l'impossibilità che taluno, delegando ad altri l'ufficio di parte nel processo che riguarda una sua lite, spezzi quell'unione, imposta da un principio fondamentale del processo civile.

Il rigore del quale è, tuttavia, temperato proprio dall'art. 77 cod. proc. civ., in considerazione di esigenze pratiche che si esprimono in un costume ampiamente favorevole all'attribuzione del diritto di agire a chi ha, con una certa latitudine, poteri di rappresentante dell'interessato, di guisa che, leggendosi la testè citata norma in combinazione con quella dell'art. 100, può scorgersi in quest'ultima piuttosto che la rigida enunciazione di un principio secondo il quale l'azione spetta esclusivamente al titolare dell'interesse in lite, l'affermazione più generica della necessità che chi agisce abbia rispetto alla lite una posizione particolare che la norma stessa non definisce, ma che può desumersi dalle ipotesi individuate dall'art. 77, sì da condurre all'affermazione di una regola generale per cui il diritto di agire spetta a chi abbia il potere di rappresentare l'interessato - sempre che questi ne abbia fatto espresso conferimento per iscritto o che, in difetto di siffatta previsione, ricorrano le eccezioni nella stessa disposizione considerate - o nella totalità dei suoi affari (procuratore generale) o in un gruppo omogeneo di questi, paragonabile ad un'azienda commerciale o ad un suo settore (institore). In buona sostanza, una volta riconosciuto che il principio della normale coincidenza della titolarità dell'interesse in contesa con quella della legittimazione processuale si correla alle esigenze pubblicistiche più sopra ricordate, la possibile attribuzione della seconda al rappresentante appare, da un lato, fondata su una valutazione legale tipica della equiparabilità della posizione di questi rispetto alla lite a quella dello stesso interessato, quanto all'efficacia della sua azione nel processo; e, dall'altro lato, chiaramente condizionata dai presupposti di una siffatta valutazione, vale a dire l'essere la rappresentanza (materiale) di cui trattasi generale o, almeno, assimilabile a quella fondata sulla preposizione institoria, presupposti, quindi, non riscontrabili nel caso di un mandatario speciale per un singolo affare. Da altro angolo visuale, occorre ancora considerare che l'art. 77 cit. chiaramente presuppone il carattere autonomo ed indipendente dell'azione rispetto al diritto soggettivo, che altrimenti non si spiegherebbe la necessità dell'esplicito conferimento della facoltà di stare in giudizio a chi è fornito della procura ad negotia. E si tratta di una reciproca autonomia fondata anche sulla diversa natura giuridica del diritto materiale rispetto a quello formale di azione, che, definibile come un diritto pubblico subiettivo, non può considerarsi suscettibile di delega nella stessa misura ampia consentita per l'altro e necessita anzi di una espressa previsione di legge in ordine ai modi ed ai casi in cui può superare i limiti posti in via generale, per diritti di omologa natura, dal riconosciuto principio che ne esclude la delegabilità.

Tutto ciò premesso, deve procedersi alla "lettura" della procura speciale con firma autenticata da notaio del 23 febbraio 2005, sopra citata, per verificare, alla stregua degli esposti principi di diritto, se essa abbia effettivamente attribuito alla procuratorice D. D. M. poteri di rappresentanza sostanziale idonei a consentire anche la delega della corrispondente legittimazione processuale.

Con quest'atto, dunque, la parte sostanziale del rapporto giuridico dedotto in giudizio il sig. V. "nomina sua procuratrice la sig.ra D. M. D.... affinché promuova in mio nome, conto ed interesse ogni azione giudiziaria contro la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., in ogni sua fase e grado, ivi compresa la fase esecutiva, ed eventuali fase di opposizione alla stessa, avente ad oggetto la dichiarazione di nullità degli ordini di acquisto di titoli Argentina 9,25%-00-7/2004 e titoli P. Buenos Aires 10,37%04. Io sottoscritto dott. G.V. conferisco, all'uopo, alla soprannominata procuratrice ogni e più ampio potere di rappresentanza, ivi compreso quello di nominare quali difensori gli avv.ti ** e **, eleggendo domicilio presso il loro studio in... e di conferire loro, sia disgiuntamente, sia congiuntamente, ogni e più ampia facoltà necessaria al buon fine dell'incarico ivi inclusa quella di transigere e conciliare le liti, chiamare o intervenire in causa, riscuotere somme, dare quietanza, rinunciare agli atti, nominare altri procuratori e farsi sostituire."

La procura in esame non può ritenersi conforme al disposto dell'art. 77 c.p.c. perché è priva di qualsiasi accenno al conferimento di poteri di rappresentanza anche sostanziale; nella prima parte del testo infatti espressamente la parte conferisce al rappresentante espressamente soltanto il potere di agire in giudizio in suo nome e per suo conto; nella seconda parte il riferimento a "ogni e più ampio potere di rappresentanza" è espressione che per la sua genericità va interpretata con riferimento alla prima parte della procura e quindi ancora e solo al potere di rappresentanza processuale. Inoltre il Collegio osserva che i poteri di rappresentanza conferiti erano tanto ristretti alla materia processuale che alla rappresentante non è stato attribuito in realtà neanche il potere autonomo di  scegliere i legali, indicati nell'atto di procura e di stabilire il contenuto della procura alle liti tanto che esso è riportato nell'atto di procura medesimo. Per tali considerazioni mancando alcun reale potere di rappresentanza sostanziale conferito alla rappresentante con la procura in esame (23.2.2005 anche la data di conferimento prossima alla predisposizione dell'atto di citazione datato 14.3.2005 costituisce ulteriore indice del contenuto meramente processuale del potere attribuito alla rappresentante) considerando l'esatta portata della disposizione di cui all'art. 77 c.p.c. deve concludersi per l'inammisibilità della domanda per carenza di legittimazione ad agire dell'attrice D. relativamente al rapporto dedotto in giudizio.

Né a parere del Collegio la descritta situazione può ritenersi sanata dalla partecipazione assolutamente tardiva con comparsa depositata dopo il termine concesso alle difese per la precisazione delle conclusioni (in applicazione ex art. 1 co 4 D.Lgs 5/2003 e artt. 267, 268 c.p.c.) della parte sostanziale dott. V..

Per completezza rileva il Collegio che comunque la domanda di nullità se fosse stata esaminata nel merito non sarebbe stata accolta in quanto questo Tribunale, quanto agli obblighi di informazione e di comportamento dei soggetti abilitati nella prestazione del servizio di investimento, previsti dagli artt. 21 e segg. T.U.F., 26-29 Reg. Consob n. 11522/98, si è ormai assestato nell'orientamento che non condivide l'estensione dell'area della nullità al di fuori delle ipotesi in cui tale sanzione è espressamente prevista dal legislatore (Trib. Milano sent. 8671/05 est. Raineri) .

Ed invero, in ossequio al generale ed indefettibile principio di legalità (e, non di meno, di certezza del diritto) non appare lecito il ricorso indiscriminato alla sanzione della nullità, che costituisce il più severo rimedio civilistico, nei casi di violazione di norme comportamentali generali (di diligenza, correttezza, trasparenza, indipendenza, equità ...) che, in quanto prive di specificità, non risultano idonee ad individuare precise regole di comportamento cui uniformare la condotta dell'agente.

Lo stesso legislatore, nell'esplicitare il generale dovere di diligenza e correttezza di cui all'art. 21 T.U.F., ha valutato certi comportamenti come essenziali e ne ha quindi sanzionato l'inosservanza con la nullità (cfr., ad esempio, art.. 23 commi 1, 2 3; art. 24 comma 2; art. 30 comma 7 del T.U.F.).

Ma dall'impianto normativo complessivo emerge (e comprensibilmente) la volontà del legislatore di evitare la eccessiva tipizzazione delle modalità di condotta, il che rende di dubbia praticabilità il rimedio della nullità.

Come già osservato da questo Tribunale in una recente sentenza la voluta distinzione fra adempimenti prescritti a pena nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell'intermediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell'intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla c.d. nullità virtuale di cui all'art. 1418 10 comma c.c. (cfr. sentenza n.7555/05 Pres. Est. Vanoni).

Peraltro, non può sottacersi in proposito che la nota sentenza della Suprema Corte che ha felicemente inaugurato il tema delle "nullità virtuali" (cfr. Casa. 713/01 a 3272) è stata emessa con riferimento ad una vicenda peculiare concernente l'esercizio della attività di intermediazione posta in essere da un "intermediario abusivo" e dunque in una fattispecie del tutto estranea a quella relativa agli obblighi informativi previsti dal T.U.F.

Da ultimo soccorre al diverso inquadramento delle fattispecie di violazione degli , obblighi comportamentali previsti dal T.U.F. l' argomento letterale desumibile dal comma 6 dell'art. 23 del D.Lgs. n. 58/98 laddove l'inversione dell'onere probatorio viene riferito ai "giudizi di risarcimento dei danni cagionati ai clienti nello svolgimento dei servizi" (previsti dal decreto) ed è noto che il rimedio risarcitorio non appartiene alla categoria delle nullità , che prevedendo, invero, l'effetti restitutori.

Appare per contro più appropriato, ad avviso di questo Tribunale, applicare alle fattispecie di violazione delle norme comportamentali dettate dal T.U.F. (per le quali non sia stata espressamente prevista dal legislatore la sanzione della nullità) i generali principi in tema di inadempimento.

Sussistono giustificate ragioni considerando che la questione della carenza di legittimazione ad agire è stata sollevata d'ufficio per compensare interamente tra le parti in causa le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così definitivamente provvede ogni altra istanza ed eccezione disattesa:

Dichiara l'inammissibilità dell'azione per carenza di legittimazione processuale dell'attrice.

Spese compensate interamente.

Milano, 15.3.2006.