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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15089 - pubb. 27/05/2016.

Responsabilità del socio di S.r.l.: presupposti, fondamento ed elemento psicologico


Tribunale di Roma, 19 Novembre 2014. Est. Romano.

Procedimento cautelare - Riproposizione della domanda fondata su diverse argomentazioni o prospettazioni giuridiche - Ammissibilità - Deduzione di nuovi ragioni di fatto e di diritto ammissibile qualora il deducente ne alleghi e dimostri la conoscibilità o la conoscenza in epoca posteriore

Procedimento cautelare - Istruzione probatoria - Deformalizzazione dell'istruttoria cautelare - Necessità dell'urgenza di provvedere - Facoltà del giudice di utilizzare ogni mezzo di prova anche atipico - Utilizzo di prove formatesi fuori dal processo e fuori dal contraddittorio - Fattispecie

Responsabilità degli amministratori - Azione sociale di responsabilità - Azione esercitata dal curatore fallimentare - Natura contrattuale - Conseguenze - Distribuzione dell'onere della prova

Responsabilità degli amministratori - Azione di responsabilità dei creditori sociali - Natura extracontrattuale - Fondamento - Società a responsabilità limitata - Applicazione analogica delle norme dettate in tema di società per azioni

Responsabilità degli amministratori - Causa di scioglimento della società - Automatica cessazione di qualsiasi attività - Esclusione - Prosecuzione di attività relative a contratti in essere - Natura eccezionale fino alla nomina dei liquidatori

Società a responsabilità limitata - Responsabilità dei soci - Caratteristiche e finalità - Gestione di fatto della società - Corrispondenza con il potere di amministrazione attribuito il socio

Società a responsabilità limitata - Responsabilità del socio - Responsabilità dell'amministratore di fatto - Distinzione - Responsabilità per voto nell'assemblea e per consenso manifestato alle decisioni assunte mediante consultazione scritta - Elemento psicologico - Rilevanza

Società responsabilità limitata - Responsabilità del socio - Caratteristiche - Elemento intenzionale - Riferimento alla condotta dannosa indipendentemente dal danno - Atti o comportamenti posti in essere anche fuori dalle incombenze formalmente previste per legge o per statuto - Antigiuridicità dell'atto - Atto lecito esercitato in modo abusivo con finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale - Principio generale del neminem laedere - Esecuzione del contratto secondo buona fede

Procedimento cautelare - Periculum in mora - Criteri oggettivi e soggettivi - Capacità patrimoniale del debitore - Comportamento del debitore - Simultanea concorrenza dei due presupposti - Esclusione


Secondo un risalente orientamento, il regime della riproponibilità della domanda cautelare non preclude la riproposizione della domanda che sia fondata, non soltanto su prove nuove o fatti nuovi, ma anche su diverse argomentazioni o prospettazioni giuridiche (Trib. Roma, 7 dicembre 2000): il c.d. giudicato cautelare, coprendo il dedotto e non il deducibile, non si forma se la riproposizione del ricorso, avente il medesimo petitum, avvenga sulla base di nuove deduzioni di fatto o di diritto (Trib. Mantova, 12 luglio 2002). L’orientamento più recente e condivisibile, tuttavia, ha avuto modo di evidenziare che la riproponibilità collegata alla deduzione di nuove ragioni di fatto o di diritto risulta ammissibile solamente qualora il deducente ne alleghi e dimostri la conoscibilità e la conoscenza in epoca posteriore alla definizione del procedimento cautelare concluso con provvedimento negativo. Le ragioni di fatto e di diritto preesistenti alla formazione del giudicato cautelare possano, pertanto, condurre all’ammissibilità della proposizione di una nuova istanza cautelare solo qualora il deducente ne alleghi e dimostri la conoscibilità in epoca posteriore alla definizione del procedimento cautelare concluso con provvedimento negativo, non potendo limitarsi ad introdurre nuovi documenti volti a corroborare i fatti ritenuti non provati in prima istanza (Trib. Napoli, 5 marzo 2013; Trib. Nola, 4 gennaio 2013). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Nell'ambito del procedimento cautelare, l’art. 669-sexies c.p.c., ove prevede che il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda, consente di affermare che il legislatore abbia inteso codificare il principio di deformalizzazione dell’istruttoria cautelare che si giustifica con la necessità dell’urgenza del provvedere.

Conseguentemente, il giudice può utilizzare ogni mezzo di prova - anche atipico - al fine di formare il proprio convincimento (cautelare) con la conseguenza che può utilizzare anche prove formatesi fuori dal processo e, quindi, al di fuori del contraddittorio; in tale ottica, non può negarsi che possano essere utilizzate, ove siano affidabili e credibili, le conclusioni cui un perito di una procedura concorsuale sia pervenuto e ciò pur in assenza di una compiuta analisi di tutta la documentazione sottesa a quella perizia. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

L'azione sociale di responsabilità, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il terzo comma consente all'amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa.

Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione de qua consegue che, mentre sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. In altre parole, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo (cfr., in questo senso, Cassazione civile, sez. I, 24 marzo 1999, n. 2772; Trib. Roma, 8 maggio 2003; Cassazione civile, sez. I, 22 ottobre 1998, n. 10488). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

L'azione di responsabilità spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui natura extracontrattuale presuppone l'assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere (cfr., Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488; Cass. 28 novembre 1984, n. 6187; Cass. 10 giugno 1981, n. 3755). Tale impianto è stato confermato dalla giurisprudenza anche a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina del c.d. diritto societario (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21 luglio 2010, n. 17121; cfr., altresì, da ultimo, Trib. Milano, sez. VIII, 18 gennaio 2011, n. 501). Infatti, se pure è vero che l’azione a tutela dei creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale non è contemplata dal novellato art. 2476 c.c., è altrettanto vero che tale azione è, comunque, prevista dall’art. 2394 c.c. con riferimento alle società per azioni. Inoltre, l’art. 2394 bis c.c. prevede espressamente che le azioni di cui agli articoli precedenti (e dunque sia l’azione sociale che l’azione dei creditori sociali) siano esercitate, in caso di fallimento, dal curatore. Ebbene, tali norme, dettate per le società per azioni, devono ritenersi applicabili alle società a responsabilità limitata essendo autorizzata la loro applicazione analogica dall’art. 12 disp. prel. c.c. il quale impone di applicare le disposizioni che regolino casi simili o materie analoghe, quali sono, appunto, quelle di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. La disciplina della responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali nella società per azioni trova, infatti, la stessa ratio nella società a responsabilità limitata: in caso contrario, quest’ultima costituirebbe l’unico tipo societario che prevede la responsabilità limitata senza alcun contrappeso in termini di responsabilità verso i creditori sociali. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il verificarsi di una causa di scioglimento della società non comporta di per sé automaticamente la cessazione di qualsiasi attività da parte della società, a maggior ragione se si tratta di attività in corso di esecuzione sulla base di contratti in essere; quindi, pur evidentemente non potendosi ritenere che gli amministratori possano continuare ad impegnare la società in nuove attività, preordinate in modo autonomo al conseguimento di utile sociale, si deve ritenere che, pur in presenza di una causa di scioglimento della società, gli amministratori possano, eccezionalmente e fino al passaggio di consegne con i liquidatori (art. 2487-bis c.c.), compiere quelle attività che siano strettamente e direttamente finalizzate alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio, rischiando in contrario, in caso di immediato e totale arresto dell’attività sociale, di esporre la società ad azioni risarcitorie da parte di committenti o in genere delle controparti di contratti in essere. Peraltro dal combinato disposto dagli artt. 2485, comma 1, e 2486, comma 1, c.c. è evidente che questa eccezionale prorogatio dei poteri gestori in capo agli amministratori non può essere di durata illimitata o rimessa all’iniziativa dell’amministratore, ma è ragionevolmente ipotizzabile solo in relazione al tempo strettamente necessario per provvedere alla nomina del liquidatore, previa convocazione senza indugio di apposita assemblea, così come imposto all’amministratore dall’art. 2487 c.c.: detto articolo prevede che la convocazione dell’assemblea debba avvenire contestualmente all’accertamento della causa di scioglimento, accertamento che appunto deve avvenire senza indugio al pari della iscrizione ex art. 2484, comma 3, c.c. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In tema di responsabilità del socio di società di capitali, è possibile aderire all’interpretazione più estensiva della norma di cui all'articolo 2476, comma 7, c.c. coerentemente con la ratio sottesa all’innovazione legislativa, finalizzata ad evitare l’elusione delle responsabilità in capo ai soggetti che di fatto gestiscano la società o comunque ne influenzino la gestione; infatti, non viene in tale contesto posto in crisi il generale principio della non responsabilità del socio per le obbligazioni sociali, in quanto tale responsabilità serve a garantire la necessaria correlazione tra l’attribuzione di un potere e la responsabilità di chi ne sia investito facendo sì che il socio risponda, in solido con gli amministratori, del modo in cui ha esercitato il potere di amministrazione attribuitogli. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La responsabilità del socio ex art. 2476, comma 7, c.c. non è sussumibile in quella dell’amministratore di fatto (essendo l’amministratore di fatto, che non necessariamente è anche socio della società, colui che si è ingerito sistematicamente e non occasionalmente nella gestione sociale); ai fini della applicazione della disciplina in argomento appare allora necessario prendere in considerazione tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali in ogni caso da evidenziare l’ingerenza o anche l’influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori. Nessun dubbio, poi, sussiste in ordine alla circostanza che la condotta del socio possa anche esplicarsi nel voto espresso nell’assemblea ovvero nel consenso manifestato alle decisioni assunte mediante consultazione scritta (art. 2479, comma 3, c.c.). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In tema di responsabilità del socio di società a responsabilità limitata ai sensi dell'articolo 2476, comma 7, c.c. appare preferibile la tesi che ricollega il sorgere della responsabilità alla intenzionalità della decisione con riferimento non al danno bensì all'atto compiuto, ossia alla condotta dannosa posta in essere dall’amministratore in concorso con il socio. L’intenzionalità è, quindi, costituita dalla piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio.

Dunque deve trattarsi di atti o comportamenti, posti in essere dai soci nella fase decisionale anche fuori dalle incombenze formalmente previste per legge o per statuto e tali da supportare intenzionalmente l’azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori; inoltre è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell’atto da parte dell’amministratore. L’antigiuridicità dell’atto viene a configurarsi non solo quando l’atto deciso è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale.

Pertanto, oltre che al rispetto della legge e del principio generale del neminem laedere, i soci sono pur sempre tenuti ad osservare i doveri di correttezza e buona fede nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi e devono comunque evitare di compiere o di concorrere a compiere un atto che, se pur astrattamente lecito, possa di fatto risultare dannoso per gli altri soci, p.es. di minoranza, e nel contempo essere privo di un vantaggio apprezzabile per la società (spunti in tal senso si possono ricavare dalla giurisprudenza di legittimità: Cassazione civile, sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387; Cassazione civile, sez. I, 11 giugno 2003, n. 9353; che, seppur elaborata in materia di impugnazione di delibere di società per azioni, evidenzia un principio di fondo di generale applicazione in ordine alla buona fede in senso oggettivo (art. 1375 c.c.), alla cui osservanza deve essere improntata l’esecuzione del contratto di società.

Se, ai sensi 1375 c.c. il contratto deve essere eseguito in buona fede, è evidente che tutte le determinazioni e decisioni dei soci, assunte formalmente o informalmente durante lo svolgimento del rapporto associativo, debbono essere considerate come veri e propri atti di esecuzione e devono conseguentemente essere valutate nell’ottica della tendenziale migliore attuazione del contratto sociale. Dunque, ai fini che qui rilevano, è da considerare antigiuridico anche un atto che in concreto si presenti espressione dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà allo scopo sociale e/o del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Con riferimento al requisito del periculum in mora, il giudice di merito può far riferimento, alternativamente, tanto a criteri oggettivi – rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all'entità del credito, da desumere da elementi concreti ed attuali – quanto soggettivi, quali il comportamento del debitore che lasci fondatamente temere atti di depauperamento del suo patrimonio, senza che, ai fini della validità del provvedimento di convalida, le due categorie di presupposti debbano simultaneamente concorrere potendo il giudice fare alternativamente riferimento all’uno o all’altro dei menzionati presupposti (cfr., Cassazione civile, sez. II, 26 febbraio 1998, n. 2139; ma si vedano, altresì, Cassazione civile, sez. I, 17 giugno 1998, n. 6042; Cassazione civile, sez. III, 17 luglio 1996, n. 6460, nonché Cassazione civile, sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2081  secondo la quale “la motivazione del provvedimento di convalida del sequestro conservativo può far riferimento a precisi, concreti fattori tanto oggettivi che soggettivi, poiché il requisito del periculum in mora può essere desunto sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere che, al fine di sottrarsi all'adempimento, ponga in essere atti dispositivi, idonei a provocare l'eventuale depauperamento del suo patrimonio”). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

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