Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1105 - pubb. 23/01/2008

Procedura di insolvenza aperta in Ucraina ed azione esecutiva

Tribunale Napoli, 10 Gennaio 2008. Est. Pica.


Procedura concorsuale aperta in Ucraina – Contemporanea pendenza di procedura esecutiva in Italia – Improcedibilità – Esclusione – Applicazione degli artt. 51, 168 e 188 l fall. – Esclusione – Principio di territorialità del fallimento – Applicabilità.



In mancanza di apposite convenzioni internazionali in materia, la procedura concorsuale aperta in Ucraina non comporta nè l’improcedibilità del processo esecutivo individuale pendente in Italia, non essendo applicabili gli artt. 51, 168, 188 della legge fallimentare italiana, nè la sospensione dello stesso, sulla scorta della normativa ucraina, essendo operante il principio cd. di "territorialità" del fallimento, per cui la sentenza straniera – laddove riconosciuta – non può produrre in Italia quegli effetti necessariamente vincolati al presupposto che la dichiarazione di fallimento sia stata pronunciata dall’autorità giudiziaria italiana e che la procedura fallimentare si svolga ed operi sotto il controllo della medesima (ferma restando l’operatività della statuizione relativa allo stato di insolvenza e degli altri effetti). (Trib. Napoli 10.1.2008). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato




Procedimento R.G.E. n. 1173/1998 (riunito al 1393/1996)

 

omissis

letta l’istanza depositata il 29.3.2007 dai procuratori di K., quale presidente e amministratore del risanamento (sanation manager) della D (d’ora in poi D.), anche definita B., volta ad ottenere la declaratoria di improcedibilità del procedimento esecutivo de quo, per essere stata sottoposta l’esecutata a procedura concorsuale in Ucraina da parte del Tribunale economico di Odessa (con ordinanza dell’11.7.2003, confermata con sentenza del 2.9.2003), e la conseguente declaratoria di estinzione della procedura, con svincolo delle somme finora incassate in favore della D. in fallimento;

sentite le parti e lette le memorie difensive depositate;

sciogliendo la riserva di cui al verbale dell’udienza del 27.9.2007, allorchè sono stati concessi il termine di quindici giorni per il deposito della documentazione normativa straniera tradotta in lingua italiana e quello di ulteriori quindici giorni per le eventuali osservazioni delle altre parti;

dato atto che per un disguido della cancelleria il fascicolo è stato trasmesso a questo giudice solo in data 3.1.2008;

OSSERVA

1)preliminarmente, che va esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’istanza, sollevata da taluni creditori, per difetto di rappresentanza dei difensori e per la conseguente nullità del ricorso, fondata sulle seguenti considerazioni: a)la procura rilasciata agli avvocati ** da K., quale amministratore, all’epoca, della D. risale al 25.8.2005; b)il suddetto K. è stato nominato amministratore del risanamento (sanation manager) con sentenza della Corte di Appello economica di Odessa del 27.4.2006 (confermata dalla sentenza della Corte Suprema economica di Kiev del 27.9.2006); c)la legittimazione ad processum e ad causam rispetto alla presente iniziativa spetta al risanatore della D.; d)alla data di presentazione del ricorso (29.3.2007) i patrocinatori della D. erano sprovvisti di una procura alle liti rilasciata da chi poteva rappresentare la società; e)inconferenti sarebbero il rilascio in data 25.8.2007 di una nuova procura e/o la ratifica degli atti compiuti in virtù dell’originaria procura da parte del suddetto K., nella qualità di amministratore del risanamento, non essendo ammissibile la ratifica con riguardo alla procura alle liti, ex artt. 125 e 182 c.p.c..

L’eccezione va disattesa.

Premesso che effettivamente la legittimazione rispetto alla presente iniziativa spetta al risanatore della D. (arg. ex art. 23 della legge 31.5.1995 n. 218, “di riforma del diritto internazionale privato”       ed ex art. 17 della legge dell’Ucraina del 14.5.1992 n. 2343-XII e successive modifiche “sul ripristino della solvibilità del debitore o sul fallimento”), certamente non può ritenersi carente nel caso de quo detta legittimazione, specie in considerazione della ratifica (legittima con riguardo al potere di rappresentanza sostanziale – anche alla stregua della normativa ucraina – e per quel che concerne la rilevanza processuale, ancorchè con efficacia ex nunc, ex art. 182 c.p.c.) effettuata, giusta l’atto del 25.8.2007, da parte del K., quale risanatore della D., ovvero quale titolare dell’organo della procedura concorsuale cui spetta la rappresentanza della società in base alla legislazione ucraina.

Ciò posto, va osservato che, come emerge dall’epigrafe del ricorso e dal testo della procura del 25.8.2005, Yevgen N. K., quale legale rappresentante, all’epoca, della D., ha nominato gli avvocati ** >, cosicché non è ravvisabile nella specie alcun difetto di rappresentanza tecnica, in quanto l'art. 86 c.p.c., nel contemplare la difesa personale della parte che abbia la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, la consente anche alla persona che la rappresenta, quando sia munita di tale qualità, come nella specie.

2)Quanto all’eccepita nullità del procedimento per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del Fondo per la Proprietà Statale Ucraina (Fond Dezhavnogo Maina Ukraini), va solo osservato che detto ente, pur essendosi opposto all’esecuzione (quale terzo sedicente proprietario della nave assoggettata all’esecuzione), non può considerarsi parte necessaria del procedimento esecutivo e, comunque, del presente procedimento incidentale. Assorbente, peraltro, è anche il rilievo che, nelle procedure esecutive individuali, la convocazione delle parti - quando il giudice la ritenga necessaria o quando la legge la prescriva - avviene non per costituire un normale contraddittorio, ma soltanto per il miglior esercizio della potestà ordinatoria affidata al giudice stesso (cfr. in tal senso, in una fattispecie analoga, Cass. 28.6.2002 n. 9488).

3)Nel merito l’istanza non può essere accolta.

In buona sostanza, la ricorrente pretende che la procedura esecutiva venga dichiarata improseguibile per effetto della sopravvenuta apertura in Ucraina di una procedura concorsuale, in applicazione del disposto di cui all’art. 51 della legge fallimentare italiana (ovvero in applicazione degli artt. 168 e 188 della legge fallimentare, essendo assimilabile l’attuale fase della procedura concorsuale pendente in Ucraina – “di risanamento” – alla procedura di concordato preventivo o all’abrogata amministrazione controllata).

In punto di diritto, va evidenziato che, con riguardo alle modalità ed agli effetti del riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia civile, i dati normativi che vengono in rilievo sono: la Convenzione tra la Repubblica Italiana e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche sull'assistenza giudiziaria in materia civile del 25.1.1979 (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 11.12.1985, n. 766), cui l’Ucraina ha aderito (cfr. Cass. 8.8.2003 n. 11966), la legge 31.5.1995 n. 218, “di riforma del diritto internazionale privato”, la normativa interna e quella ucraina in materia di procedure concorsuali e di procedure esecutive.

Pur apparendo logicamente pregiudiziale la questione del riconoscimento e/o della riconoscibilità delle decisioni emesse in Ucraina e concernenti l’apertura di una procedura concorsuale ai danni dell’esecutata D., ritiene questo giudice che detta questione può essere accantonata, fermo restando che non è vero che non vi sia stata contestazione in merito al riconoscimento dei provvedimenti stranieri invocati dalla ricorrente (quantomeno da parte di alcuni creditori) e che sulla questione occorrerebbe pronunciarsi incidenter tantum ex art. 67 co. 3 della legge 218/1995.

Sta di fatto, però, che pur ammettendo che i provvedimenti ucraini concernenti l’assoggettamento della D. ad una procedura concorsuale in Ucraina siano da intendere come riconosciuti ed efficaci in Italia ex artt. 64 e ss. della legge 218/1995 e a norma della convenzione internazionale sopra citata, ugualmente l’istanza de quo non potrebbe essere accolta.

Occorre, anzitutto, sgombrare il campo da un equivoco. La ricorrente, premesso che il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana (in virtù del principio di territorialità del diritto processuale, consacrato dall’art. 12 della legge n. 218/1995), invoca l’applicazione dell’art. 51 (ovvero degli artt. 168 e 188) della legge fallimentare italiana sul presupposto che detta normativa sia di diritto processuale.

La suesposta deduzione sembra trascurare il fatto che la sentenza dichiarativa di fallimento (o, più in generale, il provvedimento di apertura di una procedura concorsuale) comporta – sia nell’ambito del nostro ordinamento che nell’ordinamento dei principali Stati – l’insorgenza di tutta una serie di conseguenze giuridiche nella sfera dei rapporti tra molteplici soggetti. Tra questi effetti vi può essere, a tutela della massa dei creditori, l’inibizione delle iniziative del creditore uti singulus. Ebbene, fermo restando che le questioni concernenti l’interpretazione e la valenza dell’art. 51 cit. sono tuttora oggetto di dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, ad avviso di questo giudice il cd. divieto di azioni esecutive rientra tra quelle fattispecie che si prestano ad un’anfibia qualificazione.

Per certi versi va considerato un effetto di natura sostanziale. In linea di massima, la norma sostanziale regola i rapporti che intercorrono tra soggetti nella loro vita di relazione (in senso lato) sul piano extraprocessuale. Sotto questo profilo, indubbiamente il divieto de quo interferisce sui rapporti obbligatori tra il debitore, i creditori, gli eventuali garanti e, in particolare, incide sui diritti facenti parte del patrimonio dei creditori ed ha, quindi, natura sostanziale.

D’altronde, se è vero che le norme processuali sono quelle che disciplinano la prestazione da parte dell'ordinamento della tutela giurisdizionale, organizzando le forme e le condizioni tecniche di avvio e di partecipazione al processo, il divieto ha anche natura processuale, in quanto preclude la possibilità di agire coattivamente per il recupero, ed è quindi destinato ad avere rilievo giuridico nel processo eventualmente promosso dal creditore rimasto incapiente.

Tuttavia, ai fini della presente decisione, la rilevanza per così dire anche processuale dell’istituto appare inconferente, trattandosi di norma processuale che a sua volta presuppone, per determinare certi effetti, una norma di diritto sostanziale (anzi, per quanto sopra detto, può parlarsi di due facce della stessa medaglia) e, quindi, rende applicabili le norme straniere rese operanti nel nostro ordinamento dal sistema italiano di diritto internazionale privato.

D’altronde, anche al fine di individuare la capacità o la legittimazione processuale dello straniero occorre tener conto delle (implicitamente richiamate) norme estere concernenti la capacità giuridica e/o di agire, alla stregua degli artt. 75 e ss. c.p.c. e degli artt. 20 e ss. della legge n. 218/1995.

Per fare un esempio parimenti istruttivo, tratto proprio dai repertori di giurisprudenza, si può pensare alla (ormai abrogata) cd. presunzione muciana di cui all’art. 70 della legge fallimentare (previgente), la cui natura di effetto, sostanziale e processuale assieme, della dichiarazione di fallimento appare indubbia. Ebbene, proprio con riguardo a siffatto istituto, è stato correttamente affermato in giurisprudenza che, se tale effetto non è previsto nell’ordinamento straniero di provenienza della sentenza di fallimento, non può essere invocato solo per il fatto che detta sentenza venga riconosciuta in Italia (cfr. C. App. Firenze 21.8.1951, in Dir. fall. 1952, II, 407 e ss.).

Se ciò è vero, al fine di stabilire se possa ravvisarsi nella specie un divieto di azioni esecutive, occorre tener presente non già quella che sarebbe l’efficacia giuridica di una sentenza di fallimento italiana, ma quali sono gli effetti dell’apertura della procedura concorsuale ucraina, posto che l’eventuale riconoscimento non comporta che la decisione ucraina abbia la stessa efficacia della corrispondente decisione italiana, ma che consegua gli effetti suoi propri.

Ne discende che a sproposito appaiono richiamati nella specie gli artt. 51, 168, 188 della legge fallimentare italiana, dovendosi semmai tener conto della normativa ucraina e, in particolare, degli effetti (sostanziali, prima ancora che processuali, per quanto sopra detto) conseguenti all’apertura della cd. fase di risanamento prevista dall’art. 17 della legge dell’Ucraina del 14.5.1992 n. 2343-XII e successive modifiche (“sul ripristino della solvibilità del debitore o sul fallimento”), apparendo incontroverso e documentato, in punto di fatto, che la D. al momento della presentazione dell’istanza versasse in siffatta situazione per effetto della decisione del Tribunale economico di Odessa del 23.11.2004 (emessa nell’ambito della procedura concorsuale aperta a seguito delle decisioni del 2003, sopra citate).

Ebbene, alla stregua della normativa ucraina, l’apertura della procedura concorsuale comporta una sospensione del soddisfacimento delle pretese dei creditori, sicchè durante la cd. moratoria è proibito incassare denaro mediante atti esecutivi (salvo che non si tratti di crediti per stipendi, alimenti, etc.), ferma restando la possibilità per il debitore di pagare in conformità del piano di risanamento approvato dal Tribunale (cfr. l’art. 12 della legge dell’Ucraina del 14.5.1992 n. 2343-XII cit.). Peraltro, l’art. 34 della legge dell’Ucraina del 21.4.1999 n. 606-XIV (“sulla procedura di esecuzione forzata”) sancisce che <<Il procedimento di esecuzione forzata deve essere sospeso (…) quando una corte commerciale ha aperto un procedimento fallimentare nei confronti del debitore, laddove la domanda del creditore secondo la legge cade sotto l’effetto della moratoria sancita dalla corte commerciale, a meno che la procedura di esecuzione forzata sia nella fase della distribuzione delle somme recuperate presso il debitore (compresi i ricavi dalla vendita delle proprietà del debitore)>>.

Sulla scorta dei suddetti dati normativi appare più che dubbia la fondatezza della istanza della ricorrente, se solo si consideri che nella specie: 1)tra i creditori intervenuti nella presente procedura esecutiva ed inseriti nel piano di riparto vi sono i membri dell’equipaggio, che vantano crediti retributivi ai quali la moratoria non si applica; 2)la presente procedura è già nella fase della distribuzione delle somme ricavate dalla vendita coatta della nave pignorata (non potendosi ritenere, come pure preteso dalla ricorrente, che la moratoria sia esclusa solo in caso di già avvenuta distribuzione, a meno di non voler confondere la sospensione dei pagamenti con la mera irripetibilità degli stessi); 3)l’improcedibilità ovvero l’estinzione del processo esecutivo appaiono effetti esorbitanti rispetto alla mera sospensione del processo, testualmente prevista dalla normativa ucraina; 4)il presente procedimento esecutivo risulta, peraltro, già sospeso, ancorché per la pendenza di una controversia concernente la distribuzione promossa ex art. 512 c.p.c. e devoluta all’esame della S.C..

Ma vi è di più.

Pur essendo tuttora controversa la questione degli effetti che il provvedimento straniero di apertura di una procedura concorsuale è suscettibile di produrre in Italia a seguito del riconoscimento, ad avviso di questo giudice va condivisa l’opinione di quell’autorevole dottrina, secondo cui la sentenza straniera può produrre tutti gli effetti suoi propri, solo allorchè sia applicabile il cd. principio dell’universalità del fallimento ovunque dichiarato. Nel caso in cui, invece, in mancanza di apposite convenzioni internazionali, valga il principio della territorialità, la sentenza straniera comunque non potrebbe produrre in Italia quegli effetti necessariamente vincolati al presupposto che la dichiarazione di fallimento sia stata pronunciata dall’autorità giudiziaria italiana e che la procedura fallimentare si svolga ed operi sotto il controllo della medesima (ferma restando l’operatività della statuizione relativa allo stato di insolvenza e degli altri effetti). Si fa l’esempio proprio del divieto di azioni esecutive eventualmente previsto anche dall’ordinamento straniero. Si deve ritenere che siffatto effetto del fallimento sia strettamente correlato allo svolgersi della procedura concorsuale in Italia ed al fatto che, nell’ambito di questa, sia assicurata ai creditori la possibilità di far valere le proprie ragioni e di ottenere, nei limiti di capienza del patrimonio del debitore, il soddisfacimento dei diritti. D’altronde, non vanno trascurati gli inconvenienti, anche gravi, che una diversa conclusione potrebbe arrecare ai creditori, laddove, non sussistendo un’uniformità di disciplina, eventuali garanzie e privilegi non venissero riconosciuti alla stregua della legge applicabile nell’ordinamento dello Stato straniero.

D’altronde, non può dubitarsi del fatto che nel nostro ordinamento valga il principio cd. di “nazionalità” o di “territorialità” del fallimento, salvo che per quel che riguarda i rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea (essendo ispirato il regolamento comunitario del 29.5.2000 n. 1346, entrato in vigore il 31.5.2002, al cd. principio dell’”universalità limitata”). Invero, anche il novellato art. 9 della legge fallimentare ha ribadito il principio di nazionalità, allorchè ha confermato la perdurante possibilità di dichiarare in Italia il fallimento dell’imprenditore già dichiarato fallito all’estero (fatte salve, ovviamente, le diverse disposizioni della normativa comunitaria e delle convenzioni internazionali in materia). Del resto, con riguardo al processo esecutivo, in mancanza di norme che dispongano in senso espresso, deve ritenersi che la localizzazione del bene nello Stato determini il limite territoriale della potestà statuale (arg. ex art. 3 delle legge n. 218/1995).

Analogamente, la legislazione ucraina è ispirata anch’essa al principio della territorialità del fallimento, salvi diversi accordi internazionali o la condizione di reciprocità (cfr. art. 5 della legge dell’Ucraina del 14.5.1992 n. 2343-XII cit.).

Ne consegue che, in mancanza di apposite convenzioni in materia applicabili nei rapporti tra l’Italia e l’Ucraina, nessun dubbio può sussistere sul fatto che la procedura concorsuale aperta in Ucraina resti in un rapporto di estraneità rispetto al nostro ordinamento, con riguardo all’eventuale sospensione delle azioni esecutive individuali pendenti in Italia.

Per tutte le considerazioni svolte l’istanza della ricorrente va rigettata.

P.Q.M.

Il giudice dell’esecuzione rigetta l’istanza.

Si comunichi.

Così deciso il 10.1.2008

Il giudice dell’esecuzione

dr. Leonardo Pica