Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1325 - pubb. 14/09/2008

Concordato preventivo, pagamento parziale dei soli crediti con pegno o ipoteca

Tribunale Piacenza, 01 Luglio 2008. Pres., est. Bersani.


Concordato preventivo – Controllo del tribunale nel merito della proposta – Sussistenza.

Concordato preventivo – Relazione del professionista – Attestazione della veridicità dei dati – Funzione di garanzia nei confronti dei terzi.

Transazione fiscale – Rispetto del grado di privilegio – Equiparazione di tutti i creditori con privilegio generale – Ordine dei privilegi – Irrilevanza.

Transazione fiscale – Oggetto e limiti – IVA – Esclusione.

Concordato preventivo – Pagamento parziale dei creditori privilegiati – Applicazione della norma ai soli creditori muniti di pegno o ipoteca.



Per effetto delle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 169/2007, il controllo del tribunale nell’ambito della procedura di concordato preventivo non è più limitato alla verifica della completezza e regolarità della documentazione, ma si estende alla verifica nel merito della fondatezza della proposta. Se, infatti, la valutazione del requisito della convenienza della proposta è rimesso alla valutazione dei creditori che si esprimono con la votazione, il requisito del controllo della fattibilità del piano è valutato dal tribunale allo scopo di consentire ai creditori di votare in modo informato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il professionista che redige la relazione che accompagna la domanda di concordato preventivo ed al quale viene demandata l’attestazione della veridicità dei dati aziendali è tenuto ad una verifica puntuale ed analitica di tali dati e delle scritture contabili. La figura di questo professionista viene in rilievo non tanto per il rapporto fiduciario che lo lega al cliente bensì per la sua competenza professionale e la funzione di garante anche nei confronti dei terzi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Al fine di valutare l’ammissibilità della transazione fiscale di cui all’at. 182 ter legge fall., occorre tenere presente che il rispetto del grado del privilegio è questione diversa dal rispetto dell’ordine dei privilegi di cui agli artt. 2777 e 2778 cod. civ., con la conseguenza che i creditori che hanno privilegio generale sui beni mobili devono essere considerati di pari grado. Sarà quindi inammissibile la transazione fiscale che preveda per i crediti dell’erario con privilegio generali sui beni mobili un trattamento deteriore rispetto ai crediti di cui all’art. 2751 bis cod. civ.. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Non possono formare oggetto di transazione fiscale le somme dovute all’erario a titoli di IVA in quanto tale tributo costituisce risorsa propria dell’Unione Europea. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Dopo la modifica apportata all’art. 160 dal D. Lgs. n. 169/2007, non possono sussistere dubbi sul fatto che la possibilità di pagamento parziale dei creditori privilegiati è limitata ai soli creditori muniti di pegno o ipoteca. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)



 

letto il ricorso per concordato preventivo presentato dal liquidatore di ***spa in liquidazione in data 7.5.208;

letta la relazione e la documentazione integrativa depositate in data 26.5.2008;

letto il parere favorevole del Pubblico Ministero pervenuto in data 5 giugno 2008;

sentite le parti all’udienza in camera di consiglio del 18 giugno 2008;

lette le memorie integrative depositate in data 28 giugno 2008 dal professionista presentatore della relazione ex art. 161 (dott.ssa E. ***) e del difensore della società ricorrente (avv. A. ***);

dato atto che il giudizio di ammissibilità della procedura si deve svolgere, secondo il Tribunale (e secondo la prevalente giurisprudenza) nella verifica:

a) della sussistenza del presupposto soggettivo, vale a dire della qualità di imprenditore commerciale, non piccolo, del ricorrente;

b) della sussistenza del presupposto oggettivo, cioè dello stato di crisi dell’imprenditore;

c) della sussistenza di un piano proposto dal debitore alla massa dei creditori;

d) della completezza e regolarità della domanda (es: requisiti ex art. 152 l.f:)

e) della regolarità e completezza della documentazione depositata;

f) della sussistenza della relazione del professionista asseveratore;

g) dell’esame del giudizio del professionista asseveratore il quale deve articolarsi in diverse fasi (ispettivo - ricognitiva, valutativa della regolarità, comminatoria, con pubblica esplicitazione del giudizio espresso) e deve consentire la ricostruzione dei controlli effettuati. In tale prospettiva il Tribunale dovrà verificare che il professionista: a) dia atto della documentazione esaminata; b) indichi i controlli compiuti; c) ricostruisca l'iter logico posto a base delle proprie valutazioni; d) attesti “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”;

h) della veridicità dei dati contabili;

i) della fattibilità del piano;

l) della sussistenza dei presupposti per un pagamento non integrale dei creditori privilegiati incapienti.

***

Rilevato che nell’ambito del giudizio di cui sopra da parte del Tribunale di Piacenza sono state evidenziate alcune carenze documentali, tanto che è stato concesso il termine massimo previsto dalla legge di giorni 15 per l’integrazione delle documentazione mancante ed un ulteriore termine di giorni 10 per memorie integrative ed esplicative;

rilevato che - a seguito dell’ulteriore termine concesso - è stata prodotta la documentazione integrativa richiesta e sono state effettuate alcune integrazioni alla domanda; in particolare:

1) è stata prodotta la stima dei beni immobili che costituiscono una delle principali voci di attivo della procedura (cfr. doc. 2 prod. integrativa);

2) i creditori privilegiati sono stati suddivisi nel ricorso in diverse classi e sono state effettuate le indicazioni percentuali del pagamento al fine di determinare la percentuale votante (cfr. doc. 2 prod. integrativa);

3) per i creditori ipotecari indicati nella classe 3 è stata previsto il declassamento al rango di chirografari (cfr. doc. 2 prod. integrativa (creditori ***, ****, **** s.a.s.); il credito di ***** è stato inserito nella classe 3 sopra citata;

4) con riferimento alla formazione della classe di crediti erariali, per cui viene previsto il pagamento dell’89% (credito privilegiato) e del 31% del credito, da parte del ricorrente, è stata depositata l’istanza di transazione fiscale ex art. 182 ter l.f.,

5) da parte del ricorrente si sono opportunamente specificate e quantificate le spese che vengono indicate in “prededuzione” per personale, collegio sindacale, costi di gestione ecc.

6) da parte della dott.ssa *** si è specificato – nella memoria del 28 giugno 2008 – come “.. le poste indicate dalla società nel ricorso siano state verificate ed analiticamente esposte nella attestazione del professionista, che pertanto, in questa sede se ne intende confermarne la effettiva ed esistenza veridicità con i limiti sopra indicati. In altre parole i dati esposti da ***spa in liquidazione sono certificati come veridici, ma la sottoscritta non può indicare come valore assoluto e indiscutibile ciò che è oggetto di valutazione” (cfr. memoria cita pag. 1).

***

Alla luce dell’integrazione effettuata occorre svolgere alcune considerazioni preliminari in tema di ammissibilità del concordato preventivo come modificato dal D.Lgs. n. 5/06 e dal D. Lgs n. 169/07.

Si osserva in via preliminare come il debitore sia gravato di un onere probatorio particolarmente stringente quanto alla prova della fattibilita` del piano e alla veridicita` dei dati aziendali, prova che dev’essere data, oltre che con la produzione della documentazione di cui all’art. 161, secondo comma, anche e soprattutto attraverso la relazione di un professionista indipendente ed imparziale; il tribunale, pero`, non e` vincolato a tale prova proprio perche´, come tutte le prove dev’essere valutata e ogni valutazione non puo` che entrare nel merito della proposta e, quindi, anche della relazione del professionista ove il Tribunale dovesse ritenere che la medesima, non fornisca sufficienti e tranquillizzanti elementi per ritenere che il piano sia fattibile e/o i dati aziendali non siano veridici (ciò risulta coerente con la possibilità di concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni (termine concesso nel caso concreto) per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, e cioe` porre in essere un’attivita` che non puo` che essere conseguente, com’e` del tutto evidente, a contestazioni sollevate proprio in ordine alla fattibilita` e/o veridicita` dei dati aziendali).

In tale prospettiva interpretativa si rende sempre prospettabile e possibile la nomina di un CTU al fine di verificare in concreto la fattibilità (id est “la tenuta”) del piano proposto.

Pertanto, anche seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 169/2007 rispetto alla L. 80/2005, il controllo del Tribunale non e` piu` limitato entro i limiti della verifica della “completezza e regolarita` della documentazione”, ma è stato “ricalibrato”, confermando un potere tradizionalmente riconosciutogli e cioe` quello della verifica nel merito della fondatezza (cioè della fattibilita`) della proposta.

In altre parole – così come osservato in dottrina - se proprio si vuole parlare di privatizzazione della procedura, si puo` solo affermare che e` stato “privatizzato” il requisito della convenienza nel senso che, ora, la suddetta valutazione rientra nella discrezionalita` del ceto creditorio che la esprime attraverso la votazione.

Al contrario non e` stato, invece, “privatizzato” il requisito del controllo della fattibilita` del piano: sotto tale profilo, la funzione pubblicistica deve essere individuata nel fatto che i creditori devono essere messi nelle condizioni di votare in modo informato sulla proposta e tale obiettivo non puo` raggiungersi che consentendo al tribunale un vaglio della fattibilità.

Al Tribunale viene, pertanto, riservato oltre che un controllo di legittimità - con riferimento alla sussistenza dei presupposti di ammissibilità del concordato [su cui cfr. infra par. 1), 2) e 3)], anche un giudizio di fattibilità del medesimo che costituisce la concreta idoneità della proposta concordataria a realizzare le complesse ipotesi dell’art 160 l.f. attraverso strumenti astrattamente idonei e giuridicamente leciti: si tratta di un vaglio che deve essere fatto una prima volta con l’ammissione, integrando essa uno dei presupposti o fatti costitutivi della procedura concordataria, ma che può essere effettuato nuovamente fino all’omologa (in tal senso cfr. Tribunale di Palermo, Sez. IV, decr., 18 maggio 2007 Pres. Marino - Rel. Nonno - Legno Market F.lli Scalia S.r.l., in Il fallimento, 2008 pag. 75 ss., secondo cui “in sede di omologazione, il collegio deve compiere una nuova verifica dei requisiti di ammissibilita` previsti dalla legge e gia` sommariamente esaminati nel decreto emesso in epoca immediatamente successiva al deposito del ricorso, nel contraddittorio con le parti dissenzienti”); in tale sede potrà, in ogni caso, essere effettuato un giudizio ex art. 173 l.f.

Ritiene il Tribunale, come già sopra evidenziato, che poiché rientra nella propria competenza anche un giudizio in ordine alla fattibilita` del piano concordatario (in giurisprudenza tale giudizio è stato definito come «resistente»: in tale senso, tra le altre: Trib. Sulmona 6 giugno 2005, decr., in Fall., 2005, 793; Trib. Pescara 20 ottobre 2005, ivi, 2006, 56; Trib. Milano 2 ottobre 2006, decr., ivi, 2007, 331; App. Bologna 30 giugno 2006, ivi, 2007, 470, s.m.; in dottrina cfr. Rago, I poteri del tribunale sul controllo della fattibilita` del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, in Il fallimento, 2008 pag. 264, secondo cui “In altri termini, gia` a livello di interpretazione letterale, il cambiamento di rotta impresso dal D.Lgs. 169/2007 rispetto a quello della L. 80/2005, e` notevole perche´, ora, il controllo del Tribunale non e` piu` limitato entro gli angusti limiti della verifica della «completezza e regolarita` della documentazione», ma si riappropria di quello che era sempre stato un potere tradizionalmente riconosciutogli e cioe` quello della verifica nel merito della fondatezza (rectius: la fattibilita`”) della proposta), appare preliminare verificare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità del concordato nel caso concreto, consistente nella “completezza” della documentazione.

***

Come già ricordato è stato infatti permessa la integrazione della documentazione mancante al momento della presentazione del ricorso, concedendo al ricorrente un termine ulteriore di 15 giorni ed un ulteriore termine di giorni 10 per depositare memorie integrative.

Pertanto, in via preliminare il sindacato del Tribunale non puo` prescindere da una verifica di completezza e di regolarita` della documentazione prodotta e prevista a pena di inammissibiltà.

Tale controllo che deve essere attento e puntuale, (sotto i profili di completezza e di regolarita`) e deve avere ad oggetto – in primo luogo - la documentazione allegata al ricorso, ed in particolare la relazione di accompagnamento del professionista ex art. 161 l.f., la quale – come è noto - deve attestare:

a) la veridicita` dei dati aziendali;

b) la fattibilita` del piano, ai sensi dell’art. 161, terzo comma l. fall.

E’ dato acquisito e da tempo evidenziato in dottrina ed in giurisprudenza, che tale relazione si articola in un duplice contenuto; di attestazione di veridicita` (sul piano della verifica di rispondenza del dato esposto a quello effettivamente risultante e quindi dell’esatta e completa informazione) e di fattibilita` del piano (sul diverso piano della capienza delle risorse offerte, rispetto al fabbisogno e pertanto della prognosi di realizzazione).

L’operazione interpretativa da compiere e` allora quella di intendere se questo (duplice) contenuto sia interamente rimesso al sindacato del tribunale, ovvero se soltanto la sua prima parte (informativa): e cio`, si ribadisce, alla luce della necessaria verifica di completezza e di regolarita` della documentazione.

In questa prospettiva, il controllo giudiziario con riferimento alla relazione del professionista ex art. 161 l.f. deve avere ad oggetto:

1.              il profilo della regolarita`, sull’accertamento della rispondenza dei dati considerati ed attestati dal professionista qualificato, ai sensi dell’art. 161, terzo comma l. fall., alla documentazione di supporto o degli elementi comunque acquisiti;

2.              sotto il profilo della completezza, sull’accertamento dell’offerta di un’informazione, esauriente ed argomentata, dell’effettiva situazione economica e finanziaria del debitore richiedente, in relazione al piano proposto ai creditori, di modo che esso sia davvero (e non soltanto apparentemente o apoditticamente) spiegato, sulla base di un’indicazione, critica e ragionata (con illustrazione dei criteri e delle metodologie di controllo seguite), dei mezzi offerti rispetto agli obiettivi perseguiti (Cfr. in giurisprudenza Trib. Palermo 17 febbraio 2006, decr., in Fall., 2006, 570).

La finalita` di questa informazione, garantita nella chiarezza (perche´ comprensibile nelle sue fonti e nella sua rappresentazione), nella genuinita` e nell’esaustivita` oltre che dall’attento e critico sindacato del tribunale, trova la sua giustificazione nel fatto che la stessa è destinata alla formazione di un reale «consenso informato» dei creditori, posti cosı` in condizione di esprimere il loro libero convincimento, con una volonta` non viziata (cfr Trib. Ancona 13 ottobre 2005, in Fall., 2005, 1405).

Da ciò deriva che al Tribunale è ora riconosciuto dalla legge fallimentare non meramente formale, bensì di controllo di legalita` che si estrinseca anche nella sussistenza della fattibilità del piano: pertanto il compito del Tribunale è quello di garantire - in primo luogo - che venga fornita una corretta, chiara, completa, veridica ed esaustiva, informazione ai creditori, a garanzia della genuina e consapevole possibilita` di formazione dell’accordo tra il debitore ed i suoi creditori.

Pertanto se è evidente che l'obbligo di giudicare l'attendibilità dei dati contabili e la fattibilità del piano sono attribuiti dal legislatore al professionista esterno all'impresa, il giudizio su tale relazione deve essere estremamente rigoroso da parte del Tribunale, in quanto è altresì evidente che la relazione del professionista è quindi la prima (e forse l’unica) garanzia della serietà della proposta concordataria.

In questa prospettiva va letto un autorevole intervento dottrinale secondo il quale i creditori “…non possono che confidare principalmente nella competenza, nell’onestà, e nell’effettiva autonomia dell’esperto (peraltro di fiducia del debitore e vincolato sostanzialmente ai dati contabili da questi forniti)”.

Conseguentemente – ad avviso del Tribunale - il professionista non deve limitarsi ad una formale verifica della regolarità della documentazione ma deve - al fine di tutelare i creditori - svolgere un controllo di merito verificando - ad esempio - la congruenza tra i dati contabili allegati alla proposta di concordato preventivo e la contabilità effettiva.

La soluzione da ultimo fornita appare coerente con il fatto che nel sistema novellato, la relazione del professionista sostituisce il deposito delle scritture contabili, così come la sua attestazione di fattibilità sostituisce l’accertamento che nel precedente sistema il Tribunale doveva operare in base al combinato disposto degli artt.161 e 162, comma 1°, primo periodo: un accertamento che proprio su quelle scritture (allo stato non più presenti) si fondava e che materialmente veniva effettuato - nell’esperienza del Tribunale di Piacenza - mediante redazione di CT (in cui il CT veniva, tuttavia, nominato dal Tribunale).

L’importanza della relazione sotto questo aspetto, pertanto, emerge dalla circostanza che, tale relazione costituisce un filtro preventivo, diretto ad impedire ammissioni facili di procedure destinate ad esito infausto, ma che, per il solo fatto della intervenuta ammissione, nel frattempo sarebbero idonee a porre in essere effetti paralizzanti delle azioni dei creditori.

Del resto, che la relazione debba essere vagliata attentamente e con estremo rigore da parte del Tribunale, risulta confermato anche dall’ulteriore circostanza, evidenziata in dottrina, che il professionista asseveratore non ha alcuna ulteriore veste nel corso della procedura: egli non solo non compare alla adunanza dei creditori, ma non partecipa nemmeno al giudizio di omologazione.

Le affermazioni rese in ordine ai dati aziendali, pertanto, se non adeguatamente motivate e controllare, rischiano di rimanere, nell’ambito della procedura, come un dato intangibile per anni.

In merito al livello di approfondimento della relazione del professionista osserva il Tribunale come si siano delineati tre orientamenti prima del decreto correttivo n. 169/07:

a) da parte di alcuni (cfr. Tribunale Torino, Sentenza 17 novembre 2005 n. 436/05, in Il Fallimento, 2006, 691) si osservava che, era necessario soltanto che nelle attestazioni del professionista compisse una motivata assunzione di responsabilità (essendo il livello di approfondimento della sua relazione rimesso alla sua discrezionalità professionale); quindi , non era sufficiente che il professionista attestasse che i dati esposti erano stati reperiti nella contabilità dell’imprenditore perché occorreva anche che egli effettuasse una motivata assunzione di responsabilità in ordine al risultato, in ordine alla veridicità dei dati aziendali ed alla fattibilità del piano, tale da qualificarla come non meramente apparente;

b) altra giurisprudenza (Tribunale di Ancona, decr. 13.10.2005, Pres. L. Moretta Rel. E. Ragaglia, in il Fallimento, 2005, 1405), rivendicando invece al Giudice il “…ruolo di controllore formale della esistenza di un valido consenso …”, riteneva che il controllo giudiziario si dovesse estendere alla verifica del fatto che “i creditori … siano posti in condizione di esprimere il proprio libero convincimento sulla base di un’effettiva conoscenza della situazione prospettata dal debitore, così che la volontà non ne risulti viziata.”

c) da parte di altri Giudici di merito si (cfr. Tribunale di Messina, seconda sezione civile, decreto 29 dicembre 2005) si evidenziava come nella relazione il professionista dovesse: I) attestare “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo”; II) rendere “…ricostruibile l'iter logico… posto a base delle sue valutazioni …” dando “…conto dei riscontri e della documentazione esaminata, nonché della metodologia seguita nei controlli effettuati…”; III) compiere una serie di controlli “…articolati nelle seguenti fasi: 1) accertamento delle scritture contabili e della regolare tenuta dei libri sociali obbligatori, 2) controllo (sia formale che sostanziale) della rispondenza dei dati esposti nella situazione economico finanziaria della società, prodotta a sostegno della proposta di concordato, con le scritture contabili del corrente anno; rilevazione del contenuto dei verbali di verifica redatti dal Collegio Sindacale e delle relazioni di quest'ultimo organo per verificare l'attendibilità delle scritture contabili e dei libri sociali, nonché la corretta redazione dei bilanci di esercizio chiusi negli anni precedenti al presente; controllo incrociato delle esposizioni debitorie al 30.09.2005 attraverso il riscontro della documentazione contabile d'appoggio della debitrice con i documenti provenienti dagli stessi creditori; 3) riesame del passivo e predisposizione del prospetto relativo al "passivo rettificato" allegato alla proposta; indicazione, infine, delle passività potenziali, riferibili a contenziosi pendenti o prevedibili; 4) attestazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano medesimo; dar “…conto dei riscontri e della documentazione esaminata, nonché della metodologia seguita nei controlli effettuati…”.

La soluzione più rigorosa appare – a giudizio del Tribunale - preferibile, in quanto – alla luce di quanto sopra sottolineato ed evidenziato circa la necessità di una corretta informazione al creditore – egli non riceve una proposta di concordato preventivo dal debitore, bensì una convocazione da parte del Commissario Giudiziale nelle forme descritte dall’art. 171 l. f. ed ha quindi la ragionevole aspettativa di avere di fronte un documento sul quale poter riporre la propria fiducia in quanto da lui comunque avvertito come di provenienza giudiziale e dallo stesso Tribunale preventivamente valutato in modo favorevole ai fini dell’ammissibilità della procedura.

Ad avviso del Tribunale, pertanto, il vaglio dell’affidabilità della proposta deve essere sempre rigoroso anche alla luce delle modifiche apportate dal D. LGs. n. 169/07 (anche perché chi sarà ammesso alle nuove procedure di concordato preventivo non è e non sarà soltanto l’imprenditore individuale onesto e sfortunato ma, potenzialmente, anche la persona giuridica reduce da speculazioni compiute con limitato capitale di rischio; cfr. in tal senso Tribunale di Roma 24 aprile 2008 – Pres. Severini, Est. La Malfa, secondo cui “Nella fase di ammissione del concordato preventivo, al tribunale fallimentare compete un controllo di merito sulla veridicità dei dati esposti e sulla fattibilità del piano. L’esistenza di tale controllo è stata vieppiù confermata dalle modifiche apportate dal d. lgs. n. 169/2007 posto che i) all’art. 162 legge fall. è prescritto che il tribunale, decidendo in sede di ammissione, deve verificare i presupposti previsti dall’art. 161, tra i quali la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; ii) nell’art. 163 è stato abrogato l’inciso «verificata la completezza e la regolarità della documentazione», cui la dottrina e la giurisprudenza contrarie riconducevano, sul piano letterale, la volontà normativa di restringere il campo d’indagine del tribunale alla sola correttezza formale e documentale della proposta).

Appare dunque preferibile e condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “sempre a proposito della relazione del professionista va detto che appare opportuna l'assimilazione dell'attestazione in essa contenuta alla verifica e al giudizio al quale è tenuto il revisore contabile delle società per azioni ai sensi dell'art 2409-ter lett. b) e lett. c), atteso che, come quella, deve articolarsi in diverse fasi (ispettivo - ricognitiva, valutativa della regolarità, comminatoria, con pubblica esplicitazione del giudizio espresso) e necessita della possibilità di ricostruire i controlli effettuati.”

In tale prospettiva interpretativa va richiamato anche un altro orientamento (cfr. Tribunale di Palermo, C. P. 1/06, Decreto del 17/02/2006, Pres. V. I. Marino, Rel. G. M. Nonno, in Il Fallimento, 2006, 571), ove si è precisato che la relazione ex art. 161, co. 3, l. fall., nell’attestare la veridicità dei dati aziendali nonché la fattibilità del piano, deve necessariamente dar conto dell’iter logico-argomentativo utilizzato dei criteri e delle metodologie seguite in concreto, alla luce delle moderne tecniche di revisione contabile, per la formulazione del relativo giudizio.

Si affaccia, a questo punto, il quesito se il professionista che redige la relazione ex art. 161 l.f. assuma una qualificazione pubblicistica.

Il Tribunale è consapevole della varietà di opinioni sorte in dottrina ed in giurisprudenza in ordine a tale aspetto.

Va tuttavia evidenziato che il controllo che il Commissario della procedura svolge, stando al testo letterale della riforma (art. 172), si risolve in una sommaria verifica di sostanza quanto alla tenuta ed all’attendibilità delle scritture contabili e che al professionista è assegnato – come sopra ricordato - un compito di tutela degli interessi sicuramente non formale.

A favore di un ruolo “pubblico” del professionista che redige la relazione ex art. 161 l.f. milita il collegamento con il Commissario che è espressamente definito pubblico ufficiale (art. 165) e – per il medesimo richiamo dell’art. 28 – l’estraneità dagli interessi del privato committente.

Secondo alcuni autori, la funzione chiaramente certificativa della relazione del professionista, quanto alla “veridicità” dei dati aziendali esposti dal ricorrente, la quale costituisce il fondamento delle valutazioni disponibili per i creditori e dell’AG in ordine all’ammissibilità della procedura.

Infine, la disciplina derivante dalle norme di diritto pubblico, quali sono quelle contenute nella legge fallimentare protesa alla soluzione di plurimi e configgenti interessi concorsuali ed alla disciplina, anche penale, delle evidenziate patologie.

A ciò si aggiunga che tali elementi appaiono avvalorati nel caso concreto, ove il Tribunale ha ritenuto di devolvere al professionista la specificazione di punti non ritenuti esaurientemente raccolti nel primo elaborato, a tale richiesta il professionista ha risposto depositando una elazione integrativa; in casi quale quello oggetto del presente giudizio, pertanto, si viene a determinare una relazione, assai più stretta e qualificata con il Tribunale, al quale in sostanza, il professionista fornisce una risposta ad una precisa domanda

In tal caso il professionista viene, in definitiva, a rivestire una funzione di consulenza (seppure impropria) a favore della procedura, con le possibili responsabilità descritte dall’art. 64 c.p.c.

Tale considerazione rileva - indubbiamente - anche per qualificare la natura della relazione resa dal professionista: anche nell’ipotesi in cui egli sia ritenuto soggetto privato, difficilmente potrà negarsi la fattispecie di cui all’art. 483 c.p.., in quanto la relazione è diretta al Tribunale ed è destinata a provare la veridicità dei dati aziendali.

In ogni caso - deve richiamarsi la funzione di consulenza nell’interesse della procedura che, di fatto, svolge il professionista di ci all’art. 161 l.f.: discorso che non risulta inappropriato se si considera che, per quanto attiene alla limitrofa disciplina del piano di risanamento, l’art. 67 comma 2 lett. d) dispone un richiamo espresso all’art. 2501 bis c.c., il quale a sua volta rinvia alla figura dell’esperto suscettibile di sanzione penale (sia a titolo di consapevole falsità peritale sia a titolo di colpa grave nella sua redazione) ex art. 64 c.p.c.., essendo parificato al consulente tecnico nominato nel processo civile dal giudice.

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Alla luce dei principi interpretativi sopra richiamati occorre ora accertare, in fatto, il grado di “livello informativo” della relazione depositata in data 7 maggio 2008 fornito dal professionista incaricato dalla ***spa in liquidazione anche alla luce delle precisazioni depositate in data 28 giugno 2008.

Osserva il Tribunale come nel caso di specie il professionista nella relazione ex art. 161 si limiti ad affermare la “sostanziale veridicità” dei dati aziendali senza predere esplicità posizione in ordine alla veridicità formale (cfr. relazione dott.ssa *** ove a pag. 17 si legge “… che i dati esposti dalla società *** spa in liquidazione nel ricorso con il quale ha richiesto l’ammissione al concordato preventivo, riferiti alla data del 17.3.2008, tenuto conto delle variazioni apportate nella presente relazione, nei limiti e con tutte le riserve esposte nella presente attestazione che dovranno essere sciolte entro la data comunicata da codesto spett. Tribunale, sono sostanzialmente veridici ed atti a permettere la comprensione, indirizzata ad esprimere un giudizio sulla fattibilità del piano, nel senso che i valori di realizzo esposti sono ragionevoli e quindi realizzabili sul mercato” ).

Ad avviso del Tribunale l’ attestazione fornita dal professionista nel caso concreto non coincideva con quanto richiesto dalla legge, la quale prevede che il professionista non solo fornisca una illustrazione dei dati aziendali finalizzata al voto favorevole o contrario dei creditori, ma certifichi la veridicità dei dati; pertanto il professionista che redige la relazione ex art. 1616 l.f. – con la dichiarazione di “veridicità” - si assume la responsabilità di attestare che i dati aziendali (fra cui rientrato anche le scritture contabili) sono oltre che “sostanzialmente”, anche “formalmente” veritieri.

Nel caso concreto, come si ricava da quanto sopra riportato, il giudizio di “veridicità” espresso in un primo momento dal professionista incaricato ex art. 161 l.f. era elusivo tali principi, limitandosi ad accertare la “sostanziale” veridicità, ed inoltre appare sottoposto a “limiti” e “riserve” (cfr. rel. cit. “…nei limiti e con tutte le riserve esposte nella presente attestazione che dovranno essere sciolte…”), che non sono compatibili con i principi di chiarezza ed esaustività sopra richiamati.

Del resto – come sopra ampiamente osservato - è proprio sulla base di tale attestazione di “veridicità” del professionista che viene effettuato un primo giudizio di ammissibilità - anche alla luce delle eventuali verifiche ex art. 173 l.f. che possono essere effettuate fino alla dichiarazione di omologa del concordato - da parte del Tribunale. (cfr. in tal senso cfr. Trib Torino 30 novembre 2006), affermando che “ … la relazione, essendo diretta a sostituire l’attività istruttoria del Tribunale e a garantire che i creditori siano adeguatamente e correttamente informati sugli esatti termini della proposta, non può essere un ...mero atto di fede dei dati aziendali”).

Pertanto, ad avviso del Tribunale è evidente che, se al professionista che redige la relazione ex art. 1616 l.f., viene demandata l'attestazione della veridicità dei dati aziendali, ciò non può che essere il risultato di una verifica puntuale ed analitica dei medesimi e quindi anche delle scritture contabili.

Limitarsi, pertanto, a riferire che i dati contabili sono “sostanzialmente veritieri” (nei limiti e con tutte le riserve esposte nella presente attestazione che dovranno essere sciolte), significa eludere la precisa funzione di garanzia che la legge ha attribuito alla relazione ex art. 161 l.f. ed al ruolo del professionista nel “nuovo” concordato preventivo.

Va da ultimo evidenziato che figura del professionista è qui richiamata - atteso il contesto sistematico - non per il rapporto fiduciario che lo lega al cliente, bensì per la sua competenza professionale: anche perché quale tecnico ed esperto è posto in un regime di indipendenza tra il versante degli interessi del debitore e quello proprio dei creditori (pertanto, il professionista dovrà sottoporre a vaglio l’informazione fornita dal debitore, non bastando sicuramente che l’attestazione di veridicità si limiti al riscontro della provenienza dal ricorrente del dato).

Il professionista assume, quindi, la funzione di garante nell’interesse non tanto del debitore/proponente quanto degli interessi dei terzi.

In tal senso si è espressa recentemente anche la dottrina, (cfr. Genoviva, I limiti del sindacato del tribunale nel concordato preventivo alla luce del «correttivo», in Il Fallimento, n. 6/08 pag. 688 ss.) la quale, al fine di chiarire i limiti del sindacato del tribunale nella fase iniziale della procedura di concordato preventivo, ha affermato che “… a norma dell’art. 162 l.fall., cosı` come modificato dal D.Lgs. n. 169/2007, il tribunale deve verificare la sussistenza dei «presupposti» di cui all’art. 161 l.fall., tra i quali vi e` appunto la relazione dell’esperto, attestante la veridicita` dei dati aziendali e la fattibilita`”.

Secondo la citata dottrina “… l’art. 162 l.fall., nel condizionare l’esito positivo del giudizio di ammissibilita` alla accertata ricorrenza di determinati «presupposti», ricomprende tra questi l’attestazione dell’esperto sulla veridicita` dei dati aziendali e sulla c.d. «fattibilita`» del piano, correttamente da intendersi come un «requisito attinente alla costituzione e allo svolgimento del rapporto processuale», nello specifico della procedura di concordato preventivo. E’ allora logico e coerente ritenere che l’oggetto del giudizio di ammissibilita` da parte del tribunale non possa essere la mera esistenza materiale del «documento»-relazione del professionista incaricato dall’imprenditore, ma il suo contenuto, cioe` l’attestazione sulla veridicita` dei dati aziendali e sulla prospettata fattibilita` del piano. In altri termini, lo screening da parte dell’autorita` giudiziaria non puo` e non deve limitarsi alla constatazione dell’allegazione tra i documenti di cui all’art. 161 l.fall. della relazione dell’esperto, ma deve avere come oggetto proprio il contenuto dell’attestazione di veridicita` dei dati aziendali e contabili esposti e della prognosi di coerenza e concretezza del piano in essa contenuta”.

Secondo tale autore “… lo scopo della relazione dell’esperto ex art. 161 l.fall. non puo` essere altro che quello di fornire al tribunale elementi di giudizio sulla veridicita` dei dati aziendali posti a base della proposta concordataria e sulla concreta fattibilita` e praticabilita` della stessa, al fine di verificare l’esistenza di tali fondamentali presupposti di ammissibilita` della proposta stessa. E` infatti evidente che dati aziendali incompleti, lacunosi o addirittura falsi e/o ingannevoli rendono del tutto inattendibile la ricostruzione del patrimonio e dei debiti dell’imprenditore ed impediscono ogni verifica sulla serieta` stessa della proposta concordataria, mentre e` del pari evidente che un piano inattuabile o non idoneo a garantire ai creditori quelle utilita` promesse non puo` trovare ingresso e spazio, sin dalle prime battute della procedura”.

Evidenzia poi il citato autore come le esigenze di speditezza della procedura non possono portare all’ulteriore ed aberrante conclusione “… che il tribunale debba limitarsi a prendere acriticamente per buone le conclusioni del professionista, senza poter autonomamente valutare, sia pure sulla scorta del solo materiale fornito allo stesso imprenditore, se sussistano o meno i fondamentali presupposti di ammissibilita` della procedura costituiti dalla veridicita` e trasparenza dei dati aziendali esposti e dalla concreta fattibilita` del piano proposto. Se tali requisiti difettano, e` giusto arrestare la procedura sin dal suo nascere, con tutte le ulteriori conseguenze previste dall’art. 162 l.fall.”( cfr. Genoviva op. cit.).

Va peraltro osservato che la dott.ssa *** nella relazione del 28 giugno 2008 ha tuttavia precisato che “…le poste indicate dalla società nel ricorso siano state verificate ed analiticamente esposte nella attestazione del professionista, che pertanto, in questa sede se ne intende confermarne la effettiva ed esistenza veridicità con i limiti sopra indicati. In altre parole i dati esposti da ***spa in liquidazione sono certificati come veridici, ma la sottoscritta non può indicare come valore assoluto e indiscutibile ciò che è oggetto di valutazione”.

Tale ultima precisazione appare idonea a superare le insuficienze della relazione alla luce delle considerazini sopra espresse ed indicate nell’udienza del 18 giugno 2008, poiché il professionista si è assunto, con tale dichiarazione, la responsabilità in ordine alla veridicità dei dati aziendali della società ricorrente.

Va altresì rilevato che in modo del tutto corretto la dott.ssa *** ha evidenziato nell’integrazione del 28 giugno 2008 (cfr pag. 4) come sia stato avviato il procedimento di dichiarazione di interesse culturale nei confronti dell’immobile denominato Complesso industriale già *** in data 4.6.2008 e quindi successivamente all’inizio della presente procedura, circostanza che potrà verosimilmente rendere meno appetibile dal punto di vista commerciale l’immobile stesso e quindi portare ad un ridimensionamento dei valori di stima.

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Ad avviso del Tribunale, tuttavia, sussistono – pur alla luce delle precisazioni contenute nella memoria del professionista e del difensore del 28 giugno 2008 - altre cause di inammissibilità della procedura che vengono di seguito esposte:

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1) Mancato rispetto dei criteri di pagamento previsti dall’art. 182 ter l.f. Inammissibilità del concordato. Aspetti di non fattibilità del piano

A) Nel caso di specie – come si ricava dalla integrazione depositata - sussistono crediti erariali muniti di privilegio generale per euro 1.589,13 (cfr. certificazione Equitalia ex art. 182 ter l.f. aff. 50) e per tali crediti viene previsto il pagamento nella misura dell’89% a fronte della percentuale del 90% prevista per la categoria “professionisti ed artigiani “ (classificati come classe 4); per gli altri crediti tributari che vengono definiti come “DEBITI ERARIO POTENZIALI” (cfr. pag. 2 memoria integrativa 28.6.2008, dott. ***) viene previsto il pagamento nella misura del 31% (cfr. ricorso pag. ____).

Occorre pertanto domandarsi, in via preliminare, in quali termini la transazione fiscale di cui all’art. 182 ter l.f., possa essere esercitata e, soprattutto, a quali condizioni possa essere positivamente recepita nella fase di ammissione della procedura.

E’ infatti indubbio che lo strumento innovativo della transazione fiscale di cui all’art. 182 ter l.f. si risolva in una modalità collaterale ed interna alla procedura di concordato preventivo, tanto che si rende necessario individuare in modo concreto, il suo compiuto utilizzo nel corso della procedura, quale parte del più generale piano proposto.

Secondo la giurisprudenza la transazione fiscale – infatti - non e` un autonomo accordo, ma costituisce una fase endoconcorsuale, che si chiude con l’adesione o il diniego alla proposta di concordato mediante voto espresso nell’adunanza dei creditori; inoltre l’inserimento della transazione fiscale nel piano concordatario e l’espressione del voto, da parte dell’Agenzia delle Entrate e del concessionario in sede di adunanza dei creditori, “procedimentalizzano” “....la formazione della volonta` amministrativa ma non devono far perdere di vista il fatto che l’accordo si identifica con il concordato stesso e non puo` che condividerne gli effetti e le sorti nelle sue varie fasi fisiologiche (esecuzione) e patologiche (risoluzione ed annullamento). A ciò consegue che, confluendo nel concordato preventivo, la transazione fiscale finisce per partecipare a pieno titolo della natura di esso, posto che l’accordo si realizza (e non puo` che realizzarsi) nel concordato preventivo, con conseguente identificazione degli effetti e dei rimedi per esso stabiliti dalla legge”; ulteriore conseguenza consisterà nel fatto che l’Agenzia delle Entrate ed il concessionario resteranno soggetti all’esito della votazione concordataria (ancorche´ contrastante con il proprio voto, poiche´ altrimenti, non avrebbe senso prevedere comunque la - loro - partecipazione alla delibera dei creditori ed all’eventuale decreto di omologazione del concordato (cfr. Tribunale di Bologna, decreto del 26/10/2006); pertanto l’eventuale omologazione della procedura di concordato preventivo determinerà la cessazione della materia del contendere nelle liti relative ai tributi definiti (art. 182 ter, 58 comma, l.fall.).

Da tali premesse deriva che la transazione fiscale, in quanto costituente parte integrante del piano concordatario produrra` o meno i suoi effetti se la proposta di concordato sara` o non omologata.

Da parte di alcuni autori - soprattutto prima dell'entrata in vigore del D. Lgs. N. 169/07 - si era ritenuto che il pagamento parziale dei creditori privilegiati (e quindi anche dei debiti erariali) fosse possibile anche alla luce di quanto disposto dall'articolo 124 l.f., da applicarsi in via analogica.

In via del tutto incidentale si osserva come avviso del tribunale l'applicazione analogica cui si è fatto sopra cenno, non era corretta, in quanto il concordato fallimentare è istituto collocato all'interno di una procedura liquidatoria di cui determina la chiusura, mentre il concordato preventivo mira, quale strumento di tendenziale salvaguardia dell'azienda, a risolvere preventivamente situazioni di crisi o di insolvenza, nella finalità di consentire l'imprenditore di sottrarsi al fallimento attraverso una concertata composizione con i creditori.

Peraltro tale soluzione non è – attualmente - più proponibile alla luce del disposto del D. Lgs. N. 169/07, che ha espressamente previsto l'ipotesi del pagamento parziale di crediti privilegiati limitatamente ai crediti speciali incapienti (cfr. anche le considerazioni al par. succ.).

A ciò si aggiunga, comunque, che anche volendo ritenere applicabile in via analogica i principi di cui all’articolo 124 l.f. va rilevato come “… tale disposizione inerente al concordato fallimentare non ha di certo sancito un principio indeterminato di possibile decurtazione dei crediti privilegiati, sovvertendo o violando così il contrastante principio di centrale rilevanza, acquisito alla legge civile generale, per esserci invece circoscritta una evenienza siffatta ad un'ipotesi di favorevole raffronto dal totale credito vantato alle concrete prospettive di un suo effettivo recupero in sede di riparto della liquidazione dei beni/diritti presidianti la prelazione: esito, questo, da verificarsi con attendibili modalità, alla stregua di cocenti e definite condizioni” (cfr. Corte di Appello di Milano, sez. IV 14 maggio 2008).

Osserva, pertanto il Tribunale che la previsione nell'ambito del concordato preventivo di un'ipotesi di transazione fiscale non equivale all'introduzione nella disciplina fallimentare di una generale possibilità di pagamento parziale dei crediti privilegiati, bensì consiste nella possibilità di un “pagamento parziale condizionato”, subordinandolo all'insufficienza dei beni vincolati al soddisfacimento integrale spettante creditori nel rispetto del grado assegnato dalla legge al credito tributario.

Tale soluzione ha trovato l'avallo della giurisprudenza la quale - proprio con riferimento alla prospettazione del pagamento percentuale di un debito privilegiato tributario - ha affermato che “… nè sarebbe del resto dato di vedere sulla base di quali elementi logici, ancor prima che normativi, poter mai trattare il debito tributario privilegiato, specificamente denotato dall'indisponibilità che è notoria del rapporto pubblicistico, in maniera diseguale e persino nella fattispecie accentuatamente deteriore … rispetto ai crediti di identica natura di pertinenza degli altri soggetti coinvolti nella procedura, circa i quali si sottolinea, l'articolo 124 cit. esige altresì che il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione: prescrizione ripetuta in significativi termini identici nell'odierno (ampliato) articolo 160 successivo, ed a cui si accorda, in sostanziale simmetrica, il similare vincolo imperativo imposto nella transazione fiscale quanto alla misura paritetica dell'offerta di pagamento percentuale” (cfr. Corte di Appello di Milano cit.).

Il Tribunale ben conosce la soluzione fornita da altra giurisprudenza, richiamata anche nella memoria del 28 giugno 2008 difensore della procedura, secondo cui “… la transazione ex art. 182 ter puo` prevedere il pagamento percentuale di crediti tributari privilegiati”; tale corrente interpretativa tale ha fatto discendere anche la possibilita` di prevedere, nel concordato preventivo, ante ultima riforma, il pagamento parziale dei crediti privilegiati, in analogia a quanto testualmente previsto dall’art. 124, l.fall. per il concordato fallimentare (questa possibilita` e` peraltro ora espressamente prevista, per il concordato preventivo, dal 2 comma dell’art. 160, come novellato dal D.Lgs. n. 169/2007).

In realtà come si vedrà al paragrafo n. 3), e per le medesime ragioni ivi indicate, non appare prospettabile – allo stato del dato normativo – il pagamento percentuale dei creditori privilegiati diversi da coloro che sono titolari di ipoteca, pegno e privilegio.

***

Nel piano proposto nel caso concreto, sussiste - con riferimento ai crediti tributari per cui viene offerta in pagamento una percentuale dell‘89%, - un pagamento percentuale inferiore rispetto alla percentuale offerta ai creditori muniti di privilegio generale ex art. 2751 bis c.c. indicati nella classe 4), per cui viene previsto il pagamento del 90%. (cfr. aff. 48 fasc. ufficio).

Ciò costituisce una violazione dell’art. 182 ter (oltre che dell’art. 124 l.f. qualora lo si ritenesse applicabile analogicamente) nella parte in cui si vieta di "alterare" l'ordine delle cause legittime di prelazione con riferimento alle ragioni dell’Erario.

E’ evidente la ratio dell'art. 182ter: impedire che i debiti tributari, privilegiati o chirografari, siano trattati peggio dei creditori di analogo grado od inferiori (cfr. art. 182 ter comma 2 l.f.).

E’ infatti opportuno ricordare che il privilegio è una causa legittima di prelazione (cfr. articolo 2741 del codice civile), accordata dalla legge in considerazione della causa del credito, ovvero del rapporto da cui è sorto (articolo 2745 del codice civile).

Ai sensi dell’articolo 2746 del codice civile, il privilegio può essere generale o speciale, a seconda che gravi su tutti i beni mobili del debitore oppure su determinati beni mobili o immobili. Ciò premesso, i crediti tributari privilegiati sono, riconducibili alle seguenti ipotesi:

- IRPEF, IRES, IRAP e ILOR: limitatamente all’imposta o alla quota proporzionale di imposta imputabile ai redditi immobiliari, i crediti IRPEF, IRES e ILOR hanno privilegio speciale sugli immobili siti nel territorio del Comune in cui il tributo si riscuote e sopra i frutti, i fitti e le pigioni degli stessi immobili (articolo 2771, primo comma del codice civile); limitatamente all’imposta o alla quota proporzionale di imposta imputabile al reddito d’impresa, i crediti IRPEF, IRES e ILOR hanno privilegio speciale sopra i beni mobili che servono all’esercizio dell’impresa e sopra le merci (articolo 2759 del codice civile); i restanti crediti IRPEF, IRES, IRAP e ILOR godono di un privilegio generale sui beni mobili (articolo 2752 del codice civile);

- IVA la quale tuttavia - come si vedrà più avanti – deve considerarsi esclusa dalla transazione fiscale, mentre vi rientrano i relativi interessi e sanzioni): il credito IVA, incluse le sanzioni, gode di un privilegio generale sui beni mobili (articolo 2752, comma 3 del codice civile), nonché, in caso di infruttuosa esecuzione, di collocazione sussidiaria con precedenza rispetto ai crediti chirografari, sul prezzo degli immobili (articolo 2776, comma 3 del codice civile); infine, in caso di responsabilità solidale del cessionario, i crediti IVA dello Stato hanno privilegio sugli immobili che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio (articolo 2772, comma secondo del codice civile);

- TRIBUTI INDIRETTI: i crediti dello Stato per ogni tributo indiretto hanno privilegio speciale sui beni mobili (articolo 2758 del codice civile) e sugli immobili (articolo 2772, primo comma, del codice civile) ai quali si riferiscono;

- INVIM: il credito INVIM, incluse le sanzioni, gode di un privilegio speciale sugli immobili ai quali si riferisce (articolo 2772, primo comma, del codice civile e articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 643).

Va peraltro osservato che secondo la giurisprudenza solo le somme dovute a titolo di sanzioni danno origine a crediti di natura chirografaria.

Tale interpretazione si allinea altresì con il noto orientamento giurisprudenziale favorevole alla “non estensione del privilegio alle soprattasse se non nelle ipotesi espressamente previste e cioè in materia di Iva e di Invim, da intendersi come disposizioni eccezionali e non applicabili in via analogica ad ipotesi tributarie diverse” (Cass., SS.UU., n. 5246 del 6 maggio 1993; Cass. n. 838 del 24 gennaio 1995).

Nel caso di specie i crediti tributari e quelli dei lavoratori hanno il medesimo grado di privilegio trattandosi di privilegio generale (quanto meno con riferimento ai crediti tributari) anche se per i crediti di cui all’art. 2751 bis n. 1) viene previsto dal combinato disposto degli dall’art. 2777 e 2779 c.c. il pagamento con preferenza rispetto a quelli di cui all’art. 2752 c.c. (crediti per tributi diritti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e per tributi degli enti locali).

Osserva tuttavia il Tribunale come il rispetto del grado del privilegio è qualcosa di diverso dal rispetto dell’ordine del pagamento previsto dagli articoli 2777 e 2778 c.c.; nel caso di specie tale “grado” paritetico di creditore privilegiato generale non viene rispettato, in quanto per i crediti erariali muniti di privilegio generale viene previsto il pagamento nella misura dell’89% e del 31% rispetto al 90% previsto per altri creditori portatori di analogo privilegio generale (sebbene preferiti al momento del pagamento); viene previsto, in altre parole il pagamento in misura inferiore rispetto ai crediti dei lavoratori, creditori privilegiati di pari grado (si tratta di infatti di crediti aventi il “grado” di privilegio generale ex art. 2751 bis c.c. al pari del credito tributario; cfr. certificazione Equitalia) con la conseguenza che la proposta di transazione fiscale appare – sotto questo aspetto – inammissibile in quanto effettuata in violazione dei criteri indicati dell’art. 182 ter. L.f.

***

B) La proposta di transazione fiscale contenuta nel concordato preventivo appare inammissibile anche sotto un altro profilo: l’articolo 182-ter esclude espressamente dalla transazione fiscale i “tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea.

Il Tribunale ben conosce la giurisprudenza secondo cui “… la quota di IVA dovuta dallo Stato Membro alla Unione Europea nulla ha a che vedere con il tributo IVA dovuto dal contribuente italiano ed amministrato dalle Agenzie fiscali. L’imponibile IVA di uno Stato Membro della Comunita` Europea e` solo il parametro cui applicare una aliquota concordata da tutti i paesi membri....(parametro) che prescinde dalla riscossione dell’imposta dovuta dal singolo contribuente italiano e, quindi, qualunque sia la percentuale di pagamento del credito IVA proposta dal ricorrente nella transazione fiscale ex art. 182 ter, l.fall. essa non modifichera` mai l’imponibile nazionale su cui calcolare la risorsa spettante alla CEE. Conseguentemente l’IVA, quale imposta nazionale am-

ministrata dalle Agenzie Fiscali, non rientra tra le risorse proprie dell’Unione Europea; da cio` discende che l’IVA puo` essere oggetto di transazione fiscale ex art. 182 ter e, quindi, di pattizia previsione di pagamento percentuale (Cfr. Tribunale di Milano sentenza ult.. cit.; si osserva inoltre da parte del Tribunale di Milano come “… la transazione ex art. 182 ter puo` comprendere tutti i tributi erariali (ad es. IRPEF, IRES, IVA, REGISTRO etc.) e non erariali (ad es. IRAP), dovendosi intendere per «amministrazione...il fascio dei poteri funzionali al controllo, all’accertamento ed alla riscossione del tributo».

Va peraltro evidenziato come la Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 18 aprile 2008 n. 40/08 (Direzione centrale normativa e contenzioso), citata anche dal difensore della società ricorrente nella memoria del 28 giugno 2008, ha disciplinato i casi suscettibili di transazione fiscale, evidenziando come “… l’articolo 182-ter individua i crediti suscettibili di transazione fiscale in base alla tipologia di imposta, includendovi i soli tributi “amministrati dalle agenzie fiscali”.

Secondo la citata circolare restano esclusi dall’ambito applicativo della transazione fiscale in primo luogo le somme dovute per i tributi locali (ad esempio, ICI, TARSU, TOSAP, imposta sulle pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni).

Va evidenziato come l’articolo 182-ter pone l’accento sulla circostanza che il tributo sia amministrato dalle agenzie fiscali, prescindendo dalla tipologia del gettito che si origina dal tributo. Ciò costituisce ulteriore connotato di distinzione rispetto alla previgente disciplina di cui al DL n. 138 del 2002, che ammetteva la transazione per i soli tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello Stato.

Va inoltre ricordato che l’articolo 182-ter esclude espressamente dalla transazione fiscale i “tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”: devono, pertanto escludersi dalle ipotesi di transazione fiscale anche le somme dovute all’erario a titolo di IVA, in quanto l’ottavo considerando della Direttiva CEE del 28 novembre 2006, n. 112 (“Direttiva CE del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto”) afferma che “in applicazione della decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, il bilancio delle Comunità europee, salvo altre entrate, è integralmente finanziato da risorse proprie delle Comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’IVA, ottenute applicando un'aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie.

Nel caso di specie alla luce della precisione contenuta nella memoria della dott.ssa ***** del 28 giugno 2008 vi sono consistenti somme di denaro dovute all’erario a titolo di Iva, ammontanti quantomeno a 168.167,00 euro (cfr. pag. 2) ed euro 40.000,00 (cfr. pag. 3).

Il mancato rispetto nella proposta di transazione fiscale della lettera della norma nella parte in cui prevede il pagamento parziale di crediti erariali per cui la transazione non è possibile rende – in definitiva – inammissibile l’intera proposta di concordato, attesa la natura endoprocessuale dell’istituto di cui all’art. 182 ter l.f. di cui si è parlato in esordio.

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Alla luce delle considerazioni che precedono, ad avviso del Tribunale, non si rende necessario attendere l’esito della consultazione dell’Erario in ordine all’ istanza di transazione fiscale in quanto la stessa, essendo stata formulata – per le ragioni sopra indicate - in palese violazione del disposto dell’art. 182 ter l.f.; il ricorso appare, sotto questo aspetto, inammissibile.

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2) Inammissibilità della previsione del pagamento percentuale di creditori privilegiati diversi da quelli “speciali”, muniti di pegno privilegio o ipoteca.

Il concordato appare inammissibile anche con riferimento alla previsione – non disciplinata dalla legge – del pagamento dei crediti muniti di privilegio generale ex art. 2751 bis c.c. (previsti dalla classe 4) in misura percentuale (cioè al 90% cfr. aff. 48) : si tratta di creditori diversi da quelli muniti di privilegio speciale (pegno privilegio o ipoteca) e per tali crediti il decreto correttivo nulla ha innovato rispetto al passato essendosi limitato nel c.d. “decreto correttivo” a prevede la possibilità di pagamento parziale solo per i privilegiati c.d. “speciali”.

Come è noto, dottrina e giurisprudenza, a seguito delle modifiche apportate nel 2005, con la radicale riscrittura dell'art. 160 (che non prevede più alcun vincolo di contenuto del piano concordatario e consente la suddivisione in classi dell'intero ceto creditorio ai fini della proposizione di trattamenti differenziati per le varie classi), si sono domandate se l’ art. 177 co. 3 (che continua ad escludere dal voto i crediti in senso lato privilegiati) costituisse o meno (ancora) espressione di un principio normativo sostanziale di necessaria integrale e immediata soddisfazione dei crediti ivi contemplati, e quindi integra un limite formale all'ammissibilità di piani concordatari che prevedano la soddisfazione parziale o dilazionata di tali crediti.

Prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 169/07 a favore di tale soluzione si sono espresse parte della dottrina e della giurisprudenza, affermando che sarebbe lesivo dei diritti dei creditori privilegiati (con tutti i conseguenti problemi di compatibilità con gli artt. 3, 24 e soprattutto 42 Cost.) un sistema che consentisse il soddisfacimento non integralmente satisfatorio dei loro crediti senza consentire ai creditori falcidiati di esprimere il voto sulla proposta.

Altra parte della dottrina – cui ha fatto seguito un preciso filone giurisprudenziale (che tendeva a valorizzare la volontà del riformatore del 2005 di facilitare l'accesso alla procedura concordataria) ha optato per interpretazioni che hanno attribuito risalto alla nuova configurazione del concordato preventivo come proposta a contenuto non vincolato; in tale ottica interpretativa, si era valorizzata la possibilità di differenziare i trattamenti dei creditori sulla base di una loro classificazione privatistica che si affianca a quella legislativa derivante dal sistema delle cause di prelazione.

In tal modo si cercava di conciliare le esigenze di tutela dei creditori esposti ad effetti esdebitatori con le esigenze di carattere più generale avute di mira dalla riforma.

Si è – pertanto - ritenuto (Cfr. Trib. Messina 30 dicembre 2005, idem 29 dicembre 2006, in Fallimento 2007, 6, 663, con nota di Marelli) ammissibile un pagamento dilazionato o differito dei creditori privilegiati, con corresponsione degli interessi legali e senza effetti sul diritto di voto, affermando che “.. nella proposta di concordato preventivo, in sede di formazione delle classi di creditori, non può essere previsto il pagamento parziale dei creditori privilegiati, posto che questi, ai sensi dell'art. 177 l. fall. non hanno diritto di voto”.

Secondo tale filone interpretativo nessuna preclusione sussisterebbe, invece, al pagamento parziale, qualora la prelazione non possa essere fatta concretamente valere sul ricavato dei beni vincolati (e dunque nel caso di privilegio speciale incapiente ovvero di crediti assistiti da privilegio speciale mobiliare nel caso di totale mancanza del patrimonio del debitore) o quando il consenso dei creditori privilegiati ad un trattamento non integralmente satisfatorio possa essere ricercato anche in corso di procedura (escludendo, quindi, la previsione della necessaria soddisfazione integrale dal novero delle condizioni di ammissibilità, per ravvisare nel mancato conseguimento del consenso individuale dei creditori interessati una causa sopravvenuta di non fattibilità del piano).

Da parte di altri interpreti si è sottolineato che, non sussistendo nella nuova disciplina alcun obbligo di soddisfare integralmente ed immediatamente i crediti (in senso lato) privilegiati, sia possibile un loro soddisfacimento parziale e non immediata mediante la creazione di apposite classi, con il solo limite del rispetto dell'ordine delle preferenze fissate dalla legge, non derogabili attraverso la classificazione negoziale (Cfr. Trib. Modena 13 aprile 2006).

Sempre da parte della giurisprudenza (cfr. Tribunale Pescara 8 novembre 2006), si è osservato come tali ultime interpretazioni trovino argomenti di conferma “letterali” nella riforma della legge fallimentare operata dal D.Lgs. 5/2006, che, da un lato, ha introdotto l'art. 182-ter, rubricato “Transazione fiscale”, e, dall'altro lato, ha modificato gli artt. 124 e 127 in materia di concordato fallimentare.

In tale prospettiva si è sottolineato, pertanto, che il legislatore della riforma aveva previsto espressamente che alcuni crediti privilegiati potessero essere sacrificati in misura percentuale, con ciò ponendo in dubbio la persistente intangibilità di qualsiasi credito munito di privilegio.

Ulteriore argomento di tipo “sistematico” in favore del pagamento percentuale del creditore privilegiato, si rinveniva nella formulazione del “nuovo” art. 124 l.f. ove è stata introdotta la regola per cui il concordato fallimentare può prevedere il pagamento parziale dei crediti muniti di diritto di prelazione, a condizione che il piano indichi una misura di soddisfacimento non inferiore a quella realizzabile sul ricavato della vendita del bene oggetto della garanzia (secondo il valore di mercato stimato con relazione giurata da un esperto o da un revisore contabile designato dal tribunale) e che non venga alterato l'ordine delle cause legittime di prelazione.

Si è poi sottolineato come il nuovo art. 127 l.f. limiti il divieto di voto (salva rinuncia) ai creditori prelazionari dei quali sia stabilito l'integrale pagamento stabilendo, poi, che i creditori di cui sia prevista la soddisfazione non integrale siano considerati, per la parte non soddisfatta del credito, il pagamento in misura percentuale (e quindi prevedendo per tali creditori il diritto di voto).

Sulla scorta di tali importanti modifiche si era dunque affermato che poteva ricavarsi un criterio “interpretativo utile ad avvalorare le opinioni favorevoli ad un trattamento non integralmente e/o immediatamente satisfatorio dei crediti privilegiati”.

In dottrina (cfr. Ambrosini, Il concordato preventivo, Concordato preventivo: profili generali e limiti del controllo giudiziale in www.ilcaso.it) si era evidenziato come “…l’impostazione in base alla quale i titolari di crediti muniti di prelazione, in quanto privi del diritto di voto (e come tali indifferenti all’esito del concordato), andrebbero soddisfatti per intero è stata tuttavia messa in

discussione dalla riforma organica del 2006”, sottolineando peraltro come tale conclusione “è oggi resa meno sicura per effetto dell’introduzione, ad opera del d. lgs. n. 5 del 2006, dell’art. 182- ter, rubricato “Transazione fiscale”, il cui primo comma, nel consentire al debitore di proporre, con la domanda di concordato, il pagamento parziale o differito dei debiti tributari, stabilisce che, se il credito è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali. Il fatto che la legge preveda ora espressamente la sacrificabilità dei crediti privilegiati, seppur con specifico riferimento alle sole pretese del fisco, induce in effetti a dubitare della persistente intangibilità di questo genere di crediti e a domandarsi se, per tale via, non si sia invece inteso configurare la possibilità di proporre, con la domanda di concordato, il pagamento parziale di qualsiasi credito munito di privilegio”.

Pertanto, secondo tale dottrina la possibilità di prevedere il pagamento in percentuale dei crediti privilegiati “generali” si ricaverebbe dalla lettera dell’art. 182 ter l.f.

A tal fine si è affermato che “… l’art. 182 ter rubricato “transazione fiscale”, nel suo primo comma, pur nella sua non felice formulazione, consente – se interpretato letteralmente – il pagamento parziale dei crediti tributari. Nella sua prima proposizione, il comma prende in considerazione il pagamento parziale di detti crediti “limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria”. La seconda proposizione tratta degli stessi crediti e si riferisce al pagamento dilazionato di essi. La terza proposizione prevede il caso in cui detti crediti siano muniti di privilegio e stabilisce che essi possano essere pagati in “percentuale” e che debbano essere soddisfatti in misura non inferiore a quella dei crediti che abbiano un grado di privilegio inferiore o a quelli che abbiano una posizione giuridica o interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali. Quest'ultima previsione istituisce dunque una comparazione, il cui primo termine è costituito dai crediti tributari privilegiati ed il secondo è costituto (trascurando, per semplicità, i “crediti che hanno una posizione giuridica o interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali”) dai crediti che godono di un privilegio di grado inferiore a quello dei crediti tributari”.

A ciò conseguirebbe che sarebbe stato inserito nel “sistema fallimentare” il principio per cui possono esistere una o più categorie di creditori privilegiati, diversi dal fisco, per cui è ammissibile la proposta di soddisfacimento in misura non integrale.

Sulla scorta di tale interpretazione si è affermato che verrebbe meno la necessità del soddisfacimento integrale di tutti i privilegiati la quale non sarebbe più una condizione di ammissibilità della proposta concordataria.

Quest’ultima soluzione non appare corretta per le seguenti ragioni; in primo luogo perché il ragionamento tende a “provare troppo”, in quanto si ritiene di interpretare l’art. 160 l.f. (principio generale) mediante l’art. 182 ter, l.f. (ipotesi particolare); come si è evidenziato nel paragrafo precedente, la transazione fiscale costituisce una modalità applicativa (eventuale) del concordato preventivo; appare pertanto coerente con i principali canoni interpretativi ritenere che sia la prima fattispecie che deve essere letta alla luce della “cornice” dettata dall’isituto generale delinato dall’art. 160 l.f. e non il contrario.

Nel caso concreto, la “cornice” che si ricava dall’art. 160 l.f. (alla luce della modifica prevista dal decreto correttivo) prevede che solamente i creditori privilegiati speciali potranno essere pagati in misura percentuale non prevedendo la norma la diversa ipotesi del pagamento percentuale generalizzato per il creditori privilegiati.

Ma ogni dubbio interpretativo sul punto è stato superato grazie al Legislatore del 2007 il quale – attraverso l’art. 12 del D. Lgs. n. 169/07 che ha modificato l’art. 160 della legge fallimentare - ha espressamente esteso la possibilità, in caso di concordato preventivo, di prevedere il pagamento parziale solo dei creditori muniti di privilegio speciale per la parte in cui gli stessi non risultino soddisfatti integralmente, con ciò ponendo – ad avviso del Tribunale - definitivamente termine alla questione interpretativa sollevata in dottrina ed in giurisprudenza.

Come emerge chiaramente dal testo legislativo (disciplina di cui si chiede l’applicazione anche nella presente proposta di concordato preventivo), la proposta concordataria può prevedere che solo i creditori muniti di pegno o ipoteca, non vengano pagati integralmente, sempre che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d).

La modifica legislativa contenuta nel D. Lgs. n. 169/07 che ha disciplinato il pagamento parziale dei crediti muniti di pegno, privilegio o ipoteca, consente di escludere in modo definitivo la possibilità di un pagamento parziale per i creditori privilegiati diversi da quelli specificati dal legislatore del decreto Lgs. n. 169 del 2007; a tale conclusione si giunge in forza della stessa “lettura” della legge che limita tale possibilità ai crediti privilegiati speciali; del resto se il legislatore avesse voluto prevedere tale possibilità per tutti i crediti privilegiati si sarebbe espresso in tal senso, e non si sarebbe limitato ad indicare nell’art. 12 del D. Lgs. n. 169/07 solo una specifica e limitata categoria (cioè i crediti privilegiati muniti di pegno ipoteca e privilegio).

Si è inoltre evidenziato come l’ interpretazione contraria a quella che appare preferibile e sopra indicata, non sia accettabile, in quanto introduce una disparità di trattamento, quanto al diritto di voto, inammissibile tra diverse categorie di creditori privilegiati. In altre parole, se si ammette, come per le innanzi esposte ragioni si ammette, che l'introduzione dell'art. 182 ter l.f. imponga di includere, nel novero delle classi a cui il debitore può proporre un soddisfacimento non integrale (in breve: classi falcidiabili), anche classi di creditori privilegiati non tributari, ancorché solo, in ipotesi, con un grado di privilegio inferiore a quello (o quelli) del fisco, allora diviene giuridicamente contraddittorio ed inaccettabile pervenire ad una lettura che attribuisca il diritto di voto nel concordato preventivo, nell'ambito dei privilegiati soggetti a falcidia, solo al fisco e non anche alle altre eventuali classi di privilegiati a cui si propone un analogo sacrificio.

Tale interpretazione non porta all’abrogazione dell’istituto della transazione fiscale, in quanto si deve ritenere (al fine di mantenere un significato all’art. 182 ter l.f. compatibile con l’art. 160 l.f. così come evidenziato dal difensore della società ricorrente a pag. 8 e 9 della memoria del 28 giugno 2008) che il riferimento al credito privilegiato (non tributario) di cui all’art. 182 ter l.f. è necessariamente al credito privilegiato “speciale”, in quanto esso è l’unico che attualmente può essere pagato in percentuale alla luce della lettera della legge: analogamente la transazione fiscale potrà trovare applicazione – nel rispetto dei criteri ivi indicati - potrà avere ad oggetto i crediti tributari muniti di privilegio fiscale (ma diversi da quelli esclusi dalla circolare del 4 aprile 2008).

Per quanto riguarda il concordato preventivo, pur concordando con il difensore della società ricorrente in ordine alla difficoltà di trovare soluzioni che non siano da un lato in contrasto con la lettera della legge e dall’altro con la ratio dell’istituto riformato (cfr. memoria citata del 28 giugno 2008 pag. 10, secondo cui “… ci si rende conto dell’impossibilità di trovare una soluzione che non presti il fianco a censure e critiche, ma ciò probabilmente è il frutto di una tecnica legislativa non sempre coerente on gli obiettivi pur chiaramente enunciati”), si ritiene, da parte del Tribunale, preferibile la soluzione ancorata al dato legislativo, che, come già sopra rilevato, consente – attualmente - la proposizione di un pagamento percentuale solo per il creditori muniti di privilegio “speciale (pegno ipoteca e privilegio).

Pertanto, anche sotto tale aspetto, la proposta di concordato appare inammissibile in quanto prevede il pagamento percentuale di creditori privilegiati previsti dalla classe quarta (id est pagamento parziale di crediti muniti di privilegio generale ex art. 2751 bis c.c.); ma tale possibilità – alla luce di quanto sopra detto – non appare prevista dall’art. 160 l.f.

***

3) Deposito nel caso di specie di una relazione di stima che attesta l’incapienza dei beni oggetto di privilegio, pegno o ipoteca a firma della dott.ssa ***, e quindi da parte del medesimo professionista che ha presenta la relazione ex art. 161 l.f.

Da ultimo si rileva come nel decreto del 9 maggio 2008 - con cui veniva chiesta una integrazione della documentazione già presentata - si osservava che ai sensi delle nuove disposizioni legislative appare possibile degradare i creditori privilegiati (ma solo quelli muniti di pegno, ipoteca o privilegio) solo quando sia stata predisposta:

a) una tutela preventiva costituita dalla relazione di stima che attesti l’incapienza;

b) una tutela successiva costituita dal vaglio del Tribunale, ai sensi del primo comma dell’art. 163 l.f., sulla ragionevolezza del trattamento differenziato.

Dato atto che nel caso di specie, è stata depositata (in sede di integrazione) una relazione di stima che attesta l’incapienza a firma della dott.ssa ***, e quindi del medesimo professionista che ha presenta la relazione ex art. 161 l.f. (cfr. doc. 4 prod. integrativa).

Rilevato che nel decreto del 9 maggio 2008 si dava atto che “Ulteriore aspetto problematico che non è stato esaminato nel ricorso riguarda la specifica indicazione del professionista idoneo a fornire l’attestazione all’autorità giudiziaria sulla incapienza del bene oggetto di privilegio; nel ricorso si fa riferimento ad una stima in corso di redazione da parte del geom *** *** (cfr. ricorso pag. 15); tuttavia il Legislatore – attraverso il richiamo effettuato dall’art. 67 l.f. all’art. 28 l.f. - ha previsto che la valutazione circa l’incapienza del bene oggetto di ipoteca (al fine di stabilire e quantificare la parte di credito ipotecario incapiente) sia realizzata da un professionista iscritto al registro dei revisori contabili nonché alternativamente nell’albo o degli avvocati, o dei dottori commercialisti o dei ragionieri o dei ragionieri commercialisti”.

Rilevato che – attese la ragioni di terzietà del soggetto incaricato di svolgere il controllo sul piano concordatario le sono poste a fondamento di tale ulteriore valutazione (prevista solo nelle ipotesi in cui il concordato preveda il pagamento percentuale di creditori privilegiati) - la citata attestazione non può essere compiuta dal medesimo professionista che ha prestato la relazione ex art. 161, in quanto l’ulteriore adempimento previsto a garanzia dei creditori si risolverebbe – di fatto - in una inutile duplicazione di quanto già attestato nella relazione ex art. 161 l.f.

Rilevato pertanto che si rende necessario, così come sottolineato in dottrina e per le ragioni sopra indicate, la necessaria differenziazione fra la figura del professionista che predispone la relazione di cui all’art. 160 comma 2 l.f. e quella del soggetto che deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano ex art. 161 l.f.

Del resto la necessità della redazione di una “stima di incapienza” da parte di un “diverso” professionista rispetto a quello che ha presentato la relazione ex art. 161 l.f., - seppure non prevista esplicitamente dalla legge - è stata ritenuta anche da parte di quella dottrina che, in casi analoghi a quello di specie, ha ritenuto necessaria una plurima valutazione del bene seppure sotto diversi aspetti; si è a tale proposito affermato che una prima valutazione sarà compiuta dal professionista che effettua la stima del bene ( nel caso concreto è stata effettuata dal geom. ***); una seconda valutazione sarà effettuata dal redattore del piano ex art. 161 l.f. (professionista iscritto al doppio albo ex art. 28 l.f.; nel caso di specie è stata effettuata dalla dott.ssa ***); una terza valutazione sarà compiuta dal professionista che effettuerà la dichiarazione di incapienza (nel caso concreto è stata effettuata ancora dalla dott.ssa ***); una quarta valutazione (eventuale) sarà infine effettuata dal Tribunale e dal Commissario giudiziale che dovrà verificare la correttezza dei valori espressi nel piano.

Appare pertanto evidente come la produzione documentale integrativa sia, anche sotto questo aspetto, carente, in quanto la relazione di stima di incapienza è stata redatta dal medesimo professionista che ha presentato la relazione ex art. 161 l.f.

 

P.Q.M.

Letto l’art. 161 l.f.

Dichiara

inammissibile la proposta di concordato preventivo proposta da ***spa in liquidazione in persona del liquidatore dott. Claudio Cappanelli, per le ragioni indicate in motivazione.

Manda alla cancelleria per l’avviso al ricorrente.

Così deciso nella camera di consiglio del 1 luglio 2004.

Il Presidente

Il Giudice relatore


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