Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 13491 - pubb. 11/03/2015

Opposizione alla sentenza di fallimento e accertamento dello stato di insolvenza sulla base di crediti anteriori la dichiarazione di fallimento

Cassazione civile, sez. I, 18 Giugno 2004, n. 11393. Est. Ragonesi.


Fallimento - Sentenza dichiarativa - Opposizione - Carattere officioso del giudizio - Poteri del giudice - Accertamento dello stato di insolvenza - Risultanze dello stato passivo - Utilizzabilità



Nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il giudice, dato il carattere officioso del giudizio, ha il potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, anche in base agli atti del fascicolo fallimentare, e l'accertamento relativo può essere fondato anche su fatti diversi da quelli considerati al momento dell'apertura della procedura concorsuale, purché essi (anche se conosciuti successivamente) siano riferibili ad un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento. Pertanto, la sussistenza dello stato di insolvenza può essere correttamente desunta anche dalle risultanze non contestate dello stato passivo, perché, se questo è (normalmente) formato da crediti che risalgono ad un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento, esso è suscettibile di essere considerato come elemento idoneo a manifestare lo stato di insolvenza. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -

Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -

Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

 

Svolgimento del processo

Il tribunale di Verona, rigettava l'opposizione proposta da G. Domenico avverso la dichiarazione dei fallimenti della società Centauto sas di G. Domenico & C. e del socio accomandatario, dichiarati su istanza del creditore F. Gaetano, per un credito di poco più di L. 8.000.000. Riteneva in proposito il Tribunale che sussistesse lo stato di insolvenza, atteso che il credito, contestato solo verbalmente, non era stato pagato, nonostante la sua modestia e ciò nonostante il differimento dell'esecuzione, di dieci giorni, concessa appunto per trovare una soluzione transattiva, da effettuarsi con la consegna di un automezzo usato a soddisfazione del creditore.

Avverso questa sentenza proponeva appello il G., contestando la sussistenza dello stato di insolvenza.

Si costituivano i fallimenti della società e del socio accomandatario, che resistevano all'appello ed, in via incidentale, si dolevano della compensazione delle spese.

Si costituiva pure il creditore istante F. Gaetano, che resisteva all'impugnazione.

La Corte d'appello di Venezia rigettava sia l'appello principale che quello incidentale.

Ricorre per cassazione il G. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso sia il F. che il fallimento Centauto.

 

Motivi della decisione

Il G. deduce con il primo motivo di ricorso che erroneamente la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dello stato d'insolvenza.

Con il secondo motivo assume il vizio motivazionale della sentenza impugnata laddove non ha ammesso le istanze istruttorie di esso ricorrente e laddove ha determinato erroneamente l'attivo dell'impresa in base alla relazione del curatore.

Il primo motivo è infondato ed in parte inammissibile. La prima argomentazione del ricorrente consiste nell'affermare che al momento della dichiarazione del fallimento esisteva un solo modesto debito il cui mancato pagamento non poteva costituire prova dello stato d'insolvenza.

Tale censura è infondata poiché lo stato d'insolvenza inteso come incapacità a far fronte alle proprie obbligazioni con mezzi normali di pagamento è desumibile da qualunque circostanza atta a dimostrare la predetta incapacità ed a tale proposito non è dubbio che l'incapacità a far fronte ad un unico debito di modeste dimensioni costituisca un indizio particolarmente probante a tal fine proprio perché dimostra la mancanza di una modesta liquidità che potrebbe consentire l'adempimento dell'obbligazione.

Sotto tale aspetto del tutto corretta appare la motivazione della sentenza impugnata che ha richiamato nella parte narrativa quanto già deciso a tale proposito dal giudice di primo grado. La censura in esame si rivela peraltro infondata anche in punto di fatto poiché la sentenza impugnata ha rilevato che risultavano ammessi al passivo crediti per circa cento milioni tra passivo chirografario e privilegiato, a dimostrazione che al momento della dichiarazione di fallimento non vi era in realtà un solo debito ma una pluralità. Ulteriore censura il ricorrente avanza nei confronti proprio di questa parte della sentenza in esame ove la corte territoriale, nell'effettuare il raffronto tra il passivo ammontante - come detto - a circa 100 milioni e l'attivo costituito da cinque automezzi, ha constatato in ragione dello sbilancio esistente un ulteriore riscontro della sussistenza dello stato d'insolvenza. Mette appena conto di ricordare a tale proposito che nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il giudice, dato il carattere ufficioso del giudizio, ha il potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, anche in base agli atti del fascicolo fallimentare, e l'accertamento relativo può' essere fondato anche su fatti diversi da quelli considerati al momento dell'apertura della procedura concorsuale, purché' essi (anche se conosciuti successivamente) siano riferibili ad un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento. Pertanto, la sussistenza dello stato di insolvenza può' essere correttamente desunta anche dalle risultanze non contestate dello stato passivo, perché, se questo è (normalmente) formato da crediti che risalgono ad un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento, è anche suscettibile di essere considerato come elemento idoneo a manifestare lo stato di insolvenza. (Cass 1771/96). A tale proposito sostiene il ricorrente che, da un lato, vi è stata una sottoestimazione dell'attivo valutato in moneta fallimentare e che, dall'altro, vi sarebbero state altre poste dell'attivo ignorate dal curatore. Tali censure altro non sono che delle affermazioni apodittiche che tendono a fornire una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella effettuata dal giudice di merito e che, come tali, non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità anche perché, oltretutto, non censurano e non mettono in discussione quanto rilevato dalla sentenza impugnata sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso G. al curatore in data 9.9.94 quando aveva affermato che la società "aveva operato in misura contenuta anche se non poteva farlo perché priva di licenza" e "che era proprietaria di quattro furgoni Fiat 900 e di una auto Alfa 2000 GTV".

Quanto poi alle altre censure avanzate dal ricorrente (dimostrazione della insussistenza dello stato d'insolvenza perché in sede di pignoramento esso G. aveva comunicato all'ufficiale giudiziario il proprio esatto domicilio; svolgimento pieno dell'attività produttiva al momento della dichiarazione di fallimento; persistenza del credito da parte degli istituti di credito etc.), trattasi anche in tale caso di affermazioni di parte prive di riferimento nella sentenza impugnata e comunque di circostanze di fatto non proponibili in sede di giudizio di legittimità.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto privo di specificità e di autosufficienza oltre che investire questioni di merito. Con tale motivo ci si lamenta genericamente circa la ritenuta inammissibilità o irrilevanza da parte della sentenza impugnata delle istanze istruttorie avanzate in appello ma non si riportano integralmente i capitoli della prova testimoniale richiesta e non si specificano le ragioni per cui i fatti che si intendeva dimostrare erano rilevanti e decisivi ai fini del decidere. Ciò rende la doglianza, oltre che priva di autosufficienza, anche del tutto generica ed imprecisata non essendo possibile capire di che cosa esattamente il ricorrente si dolga.

Altra doglianza afferisce al fatto che in realtà nell'attivo fallimentare vi sarebbero stati numerosi altri veicoli che non sarebbero stati inventariati. Anche in tal caso si tratta di mere affermazioni che si scontrano con quanto - come già ricordato - riportato in sentenza a proposito delle dichiarazioni confessorie dello stesso G. e con quanto riferito nella relazione del curatore, e che investono delle questioni di fatto come tali non proponibili in questa sede.

Il ricorso va pertanto respinto e conseguentemente il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 2.500, 00 per onorari oltre euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge a favore di ciascuno dei resistenti.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 2.500,00 per onorari oltre euro 100, 00 per esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge a favore di ciascuno dei resistenti.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2003.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2004.


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