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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20215 - pubb. 17/07/2018.

Rinuncia alla domanda di concordato preventivo, istanza di fallimento del PM e domanda ex art. 182-bis l.f. per l’omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti


Tribunale di Monza, 11 Gennaio 2018. .

Concordato preventivo – Rinuncia alla domanda – Istanza di fallimento del PM – Procedibilità

Concordato preventivo – Rinuncia alla domanda – Istanza ex art. 182-bis l.f. per l’omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti – Istanza di fallimento del PM – Sospensione necessaria


Dopo la pronuncia del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, la rinuncia alla domanda da parte del debitore non impedisce al pubblico ministero di presentare istanza di fallimento. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Nel caso in cui il debitore, dopo aver rinunciato alla domanda di concordato e prima che venga esaminata la richiesta di fallimento del pubblico ministero, abbia presentato, avanti ad altro tribunale, istanza ex art. 182-bis legge fall. per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, il procedimento deve essere sospeso in attesa della definizione della domanda di cui all’art. 182-bis legge fall. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

La società G. Hotel, ammessa alla procedura di concordato, ha presentato in data 28.2.2017 atto di rinuncia alla domanda di concordato, dopo che era stato instaurato con decreto 4.10.2016, su segnalazione del commissario giudiziale, un subprocedimento ai sensi dell’art. 173 l.fall., quindi teso alla verifica dei presupposti per la revoca.

In data 21.3.2017 il P.M. depositava istanza motivata di fallimento della società.

Celebrata l’udienza e trattenuta la riserva, fissata nuova udienza al fine di ostendere al P.M. istante la documentazione depositata successivamente dalla ricorrente, in data 12.4.2017, come emerge dalle ricevute prodotte, la società depositava presso il registro delle imprese di Milano un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182 bis l.fall. (ricorso per omologa depositato presso quel tribunale - in quanto ivi la società ha trasferito la sua sede con delibera 20.11.2014, pertanto oltre un anno prima del deposito dell’accordo - in data 11.4.2017).

Si pone ora il problema della sopravvivenza o meno dell’istanza di fallimento al deposito del richiamato ricorso per omologazione ex art. 182 bis l.fall.

Deve in proposito richiamarsi l’acceso dibattito sia giurisprudenziale che dottrinale in ordine alla persistenza del potere del pubblico ministero a proporre istanza di fallimento laddove, pur nella pendenza di un procedimento officioso (tale la certa natura dello stesso, cfr. Cass. civ. 24.4.2014, n. 9271) teso alla verifica dei presupposti per la revoca del concordato, intervenga la rinunzia della domanda di concordato da parte dell’impresa in concordato.

In particolare paiono al collegio esemplari della suddetta divaricazione da un lato la posizione espressa dalla corte d’appello di Milano (sent. n. 4133/15) e dall’altro quella espressa dal Tribunale della stessa città (cfr. sent. 217/17).

In virtù della richiamata decisione della corte di merito poiché la rinuncia alla domanda di concordato configura una rinuncia a domanda giudiziale, e quindi la stessa non ha necessità di essere accettata dalle altre eventuali parti, essa ha effetto immediato, con la conseguenza che l’eventuale proposizione di istanza di fallimento da parte del p.m. risulterebbe inammissibile poiché innestata in un procedimento ormai non più pendente. Del resto il provvedimento del tribunale che prende atto dell’avvenuta rinuncia avrebbe natura meramente ricognitiva della volontà manifestata, mentre il potere-dovere di pronunciarsi sulla revoca sarebbe venuto meno (si tratta delle argomentazioni già espresse da Corte d’Appello Venezia n. 2760/14). Nell’escludere qualsiasi legittimazione del p.m. la corte di merito richiama anche la decisione resa dal SC a sezioni unite (Cass. 9935/15), in virtù della quale nel corso di una procedura concordataria, sia essa ordinaria o con riserva, la declaratoria di fallimento ad iniziativa del p.m. può intervenire solo quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l.fall.

Dall’altro lato si ha l’orientamento espresso dalla consapevolmente confliggente sentenza del Tribunale di Milano (sent. 217/17), secondo la quale la tesi criticata “occulta un paralogismo, consistente nel ritenere che il potere di attivazione del PM presupponga la persistente pendenza di un procedimento, laddove sia l’ipotesi generale dell’art. 7, sia le ipotesi speciali di cui agli artt. 161, 162 e 173 l.fall. presuppongono unicamente che la segnalazione o la comunicazione avvengano in pendenza del procedimento (...), senza che, tuttavia, sia in alcun modo possibile estrapolare dal dettato normativo la conclusione per cui, cessato il procedimento a quo, il PM che abbia ricevuto la segnalazione o comunicazione perda il potere di attivarsi autonomamente”, aggiungendo più avanti ed in ogni caso che “la rinuncia alla domanda di concordato, ove depositata dopo l’attivazione di uno dei sub-procedimenti appena elencati (cfr. artt. 162, 173, 179 e 180 l.fall.), non vale a consumare il potere del tribunale di procedere alla relativa declaratoria di inammissibilità/ improcedibilità, dal momento che l’apertura di uno dei suddetti sub-procedimenti paralizza il potere della parte di procedere all’immediato arresto della procedura concordataria mediante rinuncia”, ricavandone che “anche una ricostruzione che escluda la diretta riconducibilità dell’istanza di fallimento formulata dal PM, ex artt. 162, 173, 179 e 180, l.fall., all’art. 7 l.fall., non sarebbe in ogni caso in grado di escludere il dato (peraltro enunciato da tali norme in modo chiaro) che dalle fattispecie in esame - una volta generatisi i relativi presupposti normativi - scaturisce un autonomo potere del PM di formulare l’istanza di fallimento, e che tale potere (-dovere) non può essere bloccato dalla rinuncia al concordato intervenuta successivamente (all’introduzione del subprocedimento, ndr), proprio perché le fattispecie di cui agli artt. 162, 173, 179 e 180 l.fall. si sottraggono (stanti gli interessi di matrice diffusa sottostanti) alla disponibilità che la parte può rivendicare ed esercitare sulla procedura concordataria, e non possono quindi essere “rinunciate”.

Ad avviso del collegio per la soluzione della vexata quaestio si devono prendere le mosse dalla struttura della procedura concordataria, la quale come noto vede una fase di ammissione (che può essere preceduta da una fase c.d. prenotativa, in cui viene depositata la domanda con riserva di depositare entro il termine stabilito dal tribunale la proposta ed il piano, art. 161 l.fall.) ed una fase tesa all’omologa.

È evidente che finché non intervenga il decreto di ammissione, la parte conserva la possibilità di presentare una nuova domanda di concordato c.d. “completa”, che valga a governare la crisi purché essa non sia espressione di un abuso degli strumenti approntati dal legislatore.

In tal senso si legga Cass. 6277/16, secondo cui (nella specie in ipotesi di domanda ex art. 161, 6° co. l.fall.) pur in pendenza di un sub-procedimento volto alla declaratoria di inammissibilità ai sensi degli artt. 161, 6° co e 162 l.fall., l’imprenditore può rinunciare implicitamente alla domanda depositandone una nuova e completa.

La situazione però non può essere identica ove frattanto sia intervenuto il decreto di ammissione del concordato.

Per tal caso si applica il principio generale ben espresso da Cass. 2594/06, ed applicato e ritenuto pienamente vigente anche da Cass. n. 495/15 con riferimento alla disciplina successiva alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 5/2006, in virtù del quale allorché già penda una procedura di concordato preventivo non è certamente configurabile un’autonoma domanda successiva - che dia luogo, cioè, ad una nuova e separata procedura, che riprenda dal suo inizio con l’audizione del debitore - perché con riguardo al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico, e dunque unica la relativa procedura ed il suo esito (omologazione o dichiarazione del fallimento, alternativamente”.

In ragione di tale principio è evidente che l’effetto del decreto di ammissione non potrà che essere rimosso attraverso un provvedimento di revoca.

Certamente quindi l’imprenditore, che per le più varie ragioni ritenga di rinunciare alla propria domanda, potrà farlo; ma ciò non toglie che tale scelta non potrà avere la conseguenza di considerare il decreto di ammissione tamquam non esset e pertanto la definizione del procedimento stesso, sebbene quale precipua conseguenza della rinuncia, non potrà che avvenire attraverso un provvedimento di revoca dell’ammissione stessa, peraltro unica forma di chiusura della procedura già ammessa che sia prevista dal legislatore (analogamente a quella di reiezione dell’omologa che è l’unica forma di chiusura prevista in quella sede).

Indipendentemente quindi dall’effetto, ex tunc od ex nunc che si voglia dare nell’ipotesi de qua al provvedimento stesso, è allora evidente che, per quel che qui rileva, ove tale rinuncia intervenga nel corso di un sub-procedimento volto all’accertamento dei presupposti per la revoca, non solo lo stesso dovrà essere definito appunto con la revoca stessa, sebbene l’intervenuta rinuncia renda superate le questioni specifiche che avevano determinato l’apertura del sub-procedimento stesso, ma il P.M. conserverà, conformemente al dettato normativo, i suoi poteri di richiedere il fallimento.

Il tutto in piena conformità tra l’altro ai principi espressi da Cass. 1521/13 in tema di persistente obbligo di verifica delle condizioni di ammissibilità del concordato in ogni sua fase, di cui è peraltro riscontro normativo il disposto dell’art. 173, 3° co., ult. parte, l.fall.

In proposito, ed a suffragio di tale ricostruzione, vale ad avviso del collegio il richiamo ai principi espressi dalla già richiamata Cass. 14.1.2015 n. 495, secondo cui In tema di concordato preventivo, l’ammissione alla procedura impedisce la proposizione di una ulteriore ed autonoma domanda di concordato rispetto a quella originaria, poiché, rispetto al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico, sicché, a seguito della rinuncia alla prima domanda di concordato e del- la presentazione di una nuova proposta, il tribunale non è tenuto, a norma dell’art. 162 legge fall., a sentire il debitore prima di dichiarare l’inammissibilità di quest’ultima e contestualmente pronunciare, ove il P.M. ne abbia formulato la richiesta, l’eventuale fallimento del proponente.

Non è vano notare come la richiamata pronuncia sia intervenuta in un caso in cui appunto il tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità della nuova proposta di concordato intervenuta a seguito della rinuncia di una prima domanda di concordato; aveva quindi revocato il primo concordato a causa della rinuncia, ed aveva accolto la richiesta di fallimento presentata dal PM.

E proprio con riferimento a tale situazione di nuova domanda presentata a seguito di rinuncia alla precedente il SC, come già chiarito sopra, ha espressamente ribadito la persistente validità del principio di inammissibilità di una nuova domanda in pendenza di altra, di cui alla pronuncia Cass. 2594/06.

Così stando le cose appare al collegio che l’intervenuta richiesta di fallimento da parte del PM in un sub-procedimento ex art. 173 l.fall., pur a fronte della rinuncia da parte del debitore alla domanda, non venga travolta né l’iniziativa dismissiva del debitore comporti l’improcedibilità della domanda già eventualmente proposta.

D’altronde, a diversamente ritenere, si produrrebbe un effetto esattamente contrario a quello voluto dal legislatore con la disciplina di cui agli artt. 162, 173, 179 e 180 l.fall., cioè di consentire il governo della crisi allorché la soluzione negoziale si riveli inammissibile o debba essere revocata per una delle condotte (o anche per la presenza di condizioni di inammissibilità) di cui all’art . 173 l.fall., o ancora (per analoghe ragioni e per quelle specifiche proprie della fase dell’omologa) debba essere respinta la domanda di omologa. In altri termini il legislatore ha inteso disciplinare compiutamente le ipotesi in cui la procedura concordataria non possa addivenire al proprio sbocco fisiologico, conferendo al PM una legittimazione particolare.

Orbene interpretando le norme nel senso che la semplice rinuncia faccia venir meno la procedura concordataria per “estinzione” e quindi al di fuori delle regole dettate dalle norme sopra indicate, si lascerebbe la crisi senza governo, benché essa si trovi in una fase conclamata (dalla stessa domanda di concordato), tra l’altro in presenza di condotte tanto gravi da giustificare l’apertura di un sub-procedimento ex officio e con la partecipazione del PM, e senza che neppur si possa interpretare la richiesta di quest’ultimo ai sensi dell’art. 7 l.fall., posto che la comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca non è riconducibile alle segnalazioni del giudice civile di cui alla norma appena ricordata, trattandosi di adempimento finalizzato all’eventuale richiesta di fallimento previsto dalla stessa disciplina del procedimento di revoca (Cass. 4209/12).

Nel caso che ne occupa peraltro la richiesta del PM non potrà essere subito esaminata.

In effetti la decisione su di essa dipende dal valore che si deve assegnare alla domanda di omologa dell’accordo di ristrutturazione come detto medio tempore depositata presso il Tribunale di Milano sul presupposto dell’avvenuto trasferimento della sede sociale in data 20.11.2014 (irrilevante ai fini della presente procedura instaurata il 25.11.2014 ma a seguito di istanza di fallimento anteriore e pertanto infrannuale).

Si è già visto sopra che, come ha ben chiarito il SC, a fronte della medesima insolvenza il concordato non può che essere unico per cui la seconda domanda di concordato è inammissibile. Nel caso che ne occupa la domanda presentata successivamente alla rinuncia non è una nuova proposta concordataria, bensì un’istanza ai sensi dell’art. 182 bis l.fall.

Occorre allora stabilire se l’inammissibilità suddetta sia predicabile anche nell’ipotesi di deposito di accordo (tra l’altro nella specie alla domanda di omologa si accompagna anche il deposito di tutti gli accordi), fermo restando che l’eventuale declaratoria di inammissibilità deve comunque essere oggetto di un espresso provvedimento.

È pur vero che tale esame può essere effettuato (ferma sempre l’autonomia del provvedimento di eventuale inammissibilità) contestualmente quando le istanze (di fallimento e di omologa) vengono presentate davanti allo stesso giudice (nel senso che questi nel delibare il presupposto dell’insolvenza considererà l’ammissibilità o meno dell’istanza di omologa dell’accordo), in modo da non impedire quello delle condizioni per l’omologa dell’accordo discendenti sia dalla chiara scelta del legislatore di favorire la soluzione negoziale della crisi sia dall’analogo principio espresso dalla direttiva europea (Raccomandazione del 12 marzo 2014 con la quale è stato chiesto agli Stati membri di prevedere, allo scopo di facilitare i negoziati sui piani di ristrutturazione, la sospensione delle “domande dei creditori di aprire la procedura di insolvenza contro il debitore” presentate dopo la proposta di concordato, della quale il giudice nazionale deve tenere conto nella interpretazione del diritto interno (CEG 13 dicembre 1989, causa C-322/ Grimaldi).

Ciò però non può avvenire con tali modalità nella specie, dal momento che la domanda di accordo è stata presentata davanti ad altro Tribunale.

Il che non tanto condiziona la decisione in ordine alla revoca, rispetto alla quale risulta comunque dirimente, nei termini sopra indicati, l’avvenuta rinuncia, quanto appunto quella sulla richiesta di fallimento, posto che ove sia omologato l’accordo verrebbe meno il presupposto dell’insolvenza stessa (tutti gli accordi e la stessa erogazione di finanza nuova per 6 milioni di euro sono subordinati all’omologa, cfr. gli stessi e verbale dell’udienza 12.4.2017), mentre ove non lo sia (ferma peraltro la verifica dei presupposti processuali, primo fra tutti la competenza) la richiesta suddetta non troverebbe ulteriore ostacolo almeno sotto il profilo del presupposto dell’insolvenza. Tuttavia la disciplina prevista dall’art. 173 l.fall. non ammette per sua natura, e per la ricostruita ratio della stessa, la possibilità di disgiungere temporalmente l’una decisione dall’altra, sicché entrambe seguono la stessa sorte (tanto che la stessa revoca assume contenuto decisorio in caso di contestuale istanza di fallimento e conseguente decisione sulla stessa, Cass. SSUU 26989/16).

Tale osservazione appare dirimente anche in ordine all’eventuale strumento di coordinamento fra la domanda di fallimento ed una contemporanea di omologa dell’accordo. In proposito deve osservarsi come la giurisprudenza non abbia affrontato espressamente tali rapporti (se non in parte Cass. 15347/14, e Cass. 24969/13 peraltro incentrando la decisione sulla ritenuta non applicabilità analogica del disposto di cui all’art. 182-bis, 3° co., l.fall. al caso dell’istanza di fallimento), ma piuttosto quelli fra una pendente domanda di fallimento ed una di concordato, traendone la conseguenza secondo cui non vi sarebbe fra i due procedimenti pregiudizialità giuridica ma solo logica, con la conseguenza che si porrebbe fra essi un problema di mero coordinamento, che viene risolto dal SC attraverso il ricorso all’istituto della continenza.

Tale soluzione però non può de plano estendersi al caso dei rapporti fra la domanda di fallimento e quella avente ad oggetto l’omologa di un accordo di ristrutturazione, tenuto conto della diversità strutturale fra quest’ultima (in relazione alla quale sarebbe comunque ben arduo configurare una continenza della richiesta di fallimento) e la domanda di concordato.

Del resto nella specie non ricorrono i presupposti soggettivi della continenza, posto che l’istanza di fallimento viene presentata dal PM mentre nel procedimento di omologazione ex art. 182 bis l.fall. è esclusa qualsiasi legittimazione di quest’ultimo (cfr. Cass. SSUU 26989/16).

Né appare esservi spazio per la connessione ex artt. 40 e 34 c.p.c., trattandosi qui di competenza per territorio inderogabile, rispetto alla quale lo spostamento per connessione non opera (Cass. 15052/11), e d’altronde apparendo evidente che ove ricostruito in tali termini il rapporto tra i procedimenti, il presente non costituisca causa accessoria.

Quindi, ricordata la natura decisoria tanto dell’omologa quanto della mancata omologa (Cass. 26989/16), l’unica soluzione risulta essere quella della sospensione necessaria, cui appunto deve accedersi in ipotesi di pregiudizialità non risolvibile con le regole di coordinamento di cui agli artt. 32 segg. c.p.c., laddove peraltro le remore che paiono presentarsi alla soluzione della sospensione in Cass. 24969/13, non solo attengono ad un’ipotesi che non coinvolge il sub-procedimento oggetto della specie, ma come detto si incentrano su altro aspetto.

La sospensione, che riguarderà così tanto del procedimento di concordato che il giudizio avente ad oggetto l’esame della richiesta di fallimento, va disposta fino alla decisione in ordine alla domanda di omologa.