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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23178 - pubb. 11/01/2019.

Revoca del fallimento e onere delle spese


Cassazione civile, sez. I, 12 Settembre 2005. Pres. De Musis. Est. Plenteda.

Fallimento - Revoca - Compenso al curatore - Principio della soccombenza - Applicazione alla procedura fallimentare - Legittimità - Presupposti - Condotta colposa del fallito - Necessità - Revoca del fallimento a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 147 legge fall. (sentenza n. 319 del 2000) - Onere delle spese a carico del fallito - Esclusione


Nel caso di revoca della dichiarazione di fallimento, in virtù della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 21, terzo comma, legge fall, laddove poneva le spese della procedura ed il compenso al curatore a carico di chi l'ha subita senza che ne ricorressero i presupposti (Corte cost., n. 46 del 1975), detti oneri possono gravare sul fallito soltanto se egli sia incorso in comportamenti colposi, o comunque tali da indurre, nel giudice, l'erroneo convincimento dell'esistenza degli estremi per la dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che essi non possono essere posti a carico del socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito, qualora il fallimento sia stato revocato a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 147 legge fall., nella parte in cui non prevedeva, per l'assoggettamento alla procedura concorsuale, l'applicazione del limite del termine annuale dalla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile (Corte cost., n. 319 del 2000). (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -

Dott. PLENTEDA Donato - rel. Consigliere -

Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -

Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L. Lorenzo, la cui dichiarazione di fallimento, avvenute, con sent. 50/1996, era stata revocata con sent. N. 796/2001, chiese al giudice delegato del fallimento la restituzione dell'attivo, senza alcuna detrazione per spese di procedura e compenso del curatore, all'uopo invocando la sent. n. 46 /1975 e la n. 461/1999 della Corte costituzionale, in forza delle quali spese e compenso non possono essere poste a carico del fallito che non vi abbia dato causa. Il giudice delegato dispose la restituzione previa deduzione delle spese e del compenso predetti e avverso quel provvedimento, reso il 23.4.2002, propose reclamo il L., che il tribunale di Modena ha respinto con decreto 14.6.2002, ritenendo che nella ipotesi di fallimento dichiarato di ufficio, come quello in questione, vigendo l'art. 10 l.f., solo successivamente dichiarato in parte illegittimo, le spese ed il compenso di cui si tratta devono restare a carico del fallito "secondo il principio generale che fa salvi e rende validi e legittimi tutti gli atti compiuti della procedura fallimentare sino alla revoca dal fallimento stesso".

Ha proposto ricorso per Cassazione con un motivo L. Lorenzo; non ha svolto difesa l'intimata curatala fallimentare.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Denuncia il ricorrente la violazione e la falsa applicazione ed interpretazione dell'art. 21 l.f. ed invoca giurisprudenza di questa Corte secondo cui in assenza di estremi di responsabilità a carico del creditore istante o del fallito, il compenso dovuto al curatore deve essere posto a carico della Amministrazione dello Stato nonché quella della Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 citato, in riferimento agli artt. 3, 97, 24 e 35 Cost., nella parte in cui non prevede che le spese del procedimento e il compenso del curatore siano pagati mediante prelievo sull'attivo acquisito, nel caso in cui il fallimento venga revocato con sentenza nella quale non sia individuato il responsabile della declaratoria di insolvenza. Nega che sia stato correttamente applicato il principio richiamato dal tribunale di validità degli atti compiuti sino alla revoca del fallimento, tale da lasciare a carico del fallito l'onere delle spese in questione, ed afferma che la pronunzia di illegittimità costituzionale dell'art. 147 l.f., intervenuta il 21.7.2000 (sent. n. 319), abbia effetti ex tunc sicché per la sua "efficacia retroattiva" la norma "non doveva trovare applicazione neppure ab origine".

Il ricorso non merita di essere accolto.

L'art. 21 l.f., alla stregua di plurimi interventi della corte Costituzionale (14.12.1999 n. 461; 29.7.1996 n. 326; 27.7.1994 n. 368; 30.12.1993 n. 488; 22.11.1985 n. 302; 6.3.1975 n. 46), stabilisce che, nel caso in cui manchi al responsabilità del creditore istante, l'onere delle spese della procedura revocata e del compenso del curatore resti a carico del patrimonio del debitore fallito, solo se vi sia stata sua colpa, per avere egli dato causa, con il proprio comportamento, all'errato convincimento del giudice circa la esistenza degli estremi necessari per la dichiarazione successivamente revocata; tale condotta costituendo "il presupposto necessario di ogni condanna al pagamento di spese o di compensi inerenti al procedimento".

Con la citata sent. n. 46/1975 fu, infatti, dichiarato illegittimo l'art. 21 c. 11, nella parte in cui - dopo la soppressione del ruolo degli amministratori giudiziari e del Fondo speciale per il compenso dei curatori non retribuiti, che era staso istituito con l'art. 15 L. 10.7.1930 n. 995 - la giurisprudenza (Cass. 31.5.1969 n. 1953;

19.11.1957 n. 4430) aveva affermato il principio che siffatto onere dovesse gravare a carico del fallito, nella ipotesi già disciplinata nella seconda parte del comma 111 dell'art. 21, in applicazione del generale principio di cui all'art. 95 c.p.c., che pone le spese della esecuzione a carico di chi l'ha subita, con il rilievo che la revoca del fallimento non fa venir meno gli estremi per il promovimento di detta esecuzione, ma esclude soltanto la legittimità di quella concorsuale.

Ciò posto, se è il comportamento incidente sulla apertura della procedura a costituire la fonte della responsabilità del fallito, nel caso in cui il fallimento sia poi revocato, non è dato rinvenire nella specie elementi giustificativi della applicazione di tale principio, avendo la revoca trovato fondamento nella illegittimità della sua dichiarazione, sopravvenuta a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 147 1 comma l.f., nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di società fallita potesse essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi avevano perduto per qualsiasi causa la responsabilità illimitata.

Nè giova invocare, come fa il decreto impugnato, il disposto dell'art. 21 1 comma l.f. che fa salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento, quando la sentenza dichiarativa è revocata, esso operando per il tempo che ha preceduto la revoca, mentre la liquidazione del compenso e la determinazione di porlo a carico del L. seguirono la revoca e la pronunzia di illegittimità costituzionale della norma, che aveva giustificato la estensione della procedura al socio.

La decisione impugnata va dunque cassata e poiché non vi e la esigenza di ulteriori accertamenti di fatto, può precedersi alla pronunzia nel merito, con l'accoglimento della domanda che il ricorrente aveva proposto di integrale restituzione dell'attivo, senza la deduzione delle spese della procedura e del compenso del curatore.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il provvedimento impugnato e, pronunziando nel merito, accoglie la domanda del ricorrente, intesa alla restituzione dell'attivo senza la deduzione delle spese della procedura e del compenso del curatore. Compensa le spese processuali. Così deciso in Roma, il 24 maggio 2005.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2005