Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23184 - pubb. 11/01/2019

Fallimento entro l’anno dalla cancellazione dal registro imprese

Cassazione civile, sez. I, 19 Novembre 2003, n. 17544. Pres. De Musis. Est. Piccininni.


Fallimento - Imprenditore ritirato - Cessazione dell'attività d'impresa - Società - "Dies a quo" - Sentenza della Corte cost. n. 319 del 2000 - Decorrenza dalla cancellazione dal registro delle imprese



A seguito della sentenza 21 luglio 2000, n.319, della Corte costituzionale, il termine annuale dalla cessazione dell'attività entro il quale, ai sensi dell'art. 10 della legge fallimentare, può essere dichiarato il fallimento dell'imprenditore, decorre, per la dichiarazione di fallimento delle società, non più dalla liquidazione effettiva di tutti i rapporti che fanno capo alla società stessa, ma dalla cancellazione di essa dal registro delle imprese. Ciò impone, allorché il motivo di censura attenga al profilo dell'avvenuta decorrenza del termine, la cassazione della sentenza impugnata, affinché il giudice del rinvio si uniformi alla pronuncia di incostituzionalità, compiendo l'accertamento in fatto, in precedenza omesso, in ordine al rispetto del prescritto limite temporale ai fini dell'assoggettabilità a fallimento. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -

Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -

Dott. PICCININNI Carlo - rel. Consigliere -

Dott. SALVATO Luigi - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell'11-16 maggio 1995 il Tribunale di Agrigento dichiarava il fallimento della F.lli L. s.n.c. e quello personale dei due soci Calogero e Concetta L..

Avverso la detta sentenza proponevano opposizione i falliti, i quali sostenevano che l'attività imprenditoriale era cessata a far tempo dal 1977, circostanza che avrebbe dovuto far escludere la possibilità di dichiarare il fallimento della società ai sensi dell'art. 10 L.f. (R.D. n. 267 del 1942). Il Tribunale di Agrigento rigettava l'opposizione, così come analogamente provvedeva in sede di impugnazione la Corte di Appello di Palermo successivamente adita; quest'ultima in particolare dichiarava l'inammissibilità del gravame di L. Concetta poiché tardivamente proposto e deduceva nel merito l'infondatezza della prospettazione degli appellanti, ritenendo individuabile l'inizio del termine di decorrenza annuale di cui all'art. 10 L.f. nel compimento della fase di liquidazione, nella specie non intervenuta. Avverso la detta decisione proponevano ricorso per cassazione la F.lli L. s.n.c., nonché i due soci L. Calogero e L. Concetta, i quali con due motivi deducevano pregiudizialmente violazione di legge nella dichiarazione di inammissibilità dell'intervento di L. Concetta e nel merito l'erroneità della sentenza, sia perché a torto in essa era stata esclusa l'avvenuta allegazione agli atti di decreto comprovante la cessazione dell'attività imprenditoriale dal settembre 1977, sia perché alla detta cessazione si sarebbe dovuto più ragionevolmente ricondurre l'inizio della decorrenza del termine annuale di cui all'art. 10 L.f.; tale interpretazione della norma sarebbe infatti in maggiore sintonia con la "ratio" della disposizione in oggetto e con le finalità che con essa il legislatore avrebbe inteso soddisfare. Resisteva a sua volta con controricorso il creditore istante Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, che sollecitava il rigetto del ricorso ritenendo corrette le argomentazioni svolte dal giudice del merito nelle sentenze impugnate e denunciando l'intenzione della controparte di voler riproporre una nuova valutazione degli elementi di fatto, in quanto tale sottratta all'esame del giudice di legittimità.

La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 21 maggio 2003.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti hanno lamentato l'erroneità della decisione nella parte in cui è stata "dichiarata l'inammissibilità del gravame, da qualificarsi come appello incidentale, tardivamente proposto da Concetta L. con atto notificato il 13 novembre 1998".

Il rilievo è fondato in quanto, pur non essendo ravvisabile nella specie una ipotesi di litisconsorzio necessario attesa la rappresentanza processuale assegnata dal legislatore al curatore per tutte le controversie comprese nel fallimento (art. 18, comma 3, L.f.), dall'avvenuta opposizione ex art. 18 L.f. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento proposta da Concetta L. unitamente a Calogero L. (quest'ultimo in proprio e quale legale rappresentante della Fratelli L. s.n.c.) - e quindi dalla congiunta qualità di parti che i predetti hanno assunto nel relativo giudizio - discende l'inscindibilità delle due posizioni, entrambe basate sulla dedotta inesistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (si richiamano sul punto C. 2 settembre 1990, n. 7760, C. 24 maggio 2000, n. 6799). Erroneamente dunque la Corte di Appello di Palermo ha ritenuto la tardività dell'appello della L., anche se da ciò non è derivata una violazione del contraddittorio in quanto quest'ultima è intervenuta, sia pure per essere estromessa, nel giudizio di appello e comunque da un punto di vista sostanziale non vi è stata lesione del diritto di difesa, essendo la sua posizione coincidente con quella espressa dalla società fallita e da Calogero L.. Per quanto riguarda poi il secondo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti si dolgono dei criteri adottati dalla Corte territoriale nella individuazione della data di decorrenza del termine annuale di cui all'art. 10 L.f., si rileva che in epoca successiva alla sentenza impugnata è intervenuta sul punto la Corte Costituzionale (sent. 319/2000), dichiarando l'illegittimità costituzionale del citato art. 10, nel la parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell'esercizio dell'impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento delle società decorra dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese. La sentenza in esame va dunque cassata affinché il giudice di rinvio si uniformi alla pronuncia di incostituzionalità, compiendo l'accertamento, precedentemente omesso, circa l'avvenuta cancellazione o meno della società e, nell'ipotesi positiva, in ordine all'eventuale decorso dell'anno da tale data.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2003.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2003