Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23824 - pubb. 07/07/2020

Il fallimento della società scissa deve essere dichiarato entro l'anno

Cassazione civile, sez. I, 19 Giugno 2020, n. 11984. Pres. Didone. Est. Amatore.


Dichiarazione di fallimento - Scissione di società totalitaria - Successione tra enti - Cancellazione della scissa dal registro delle imprese - Decorso del termine annuale - Sussistenza



In tema di dichiarazione di fallimento in presenza di una scissione di società totalitaria, verificandosi un fenomeno di tipo successorio tra soggetti distinti e dunque l'estinzione della società scissa, trova applicazione la regola di cui all'art. 10 l.fall. per cui il fallimento di quest'ultima potrà essere pronunciato entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi della L.Fall., art. 18, da T.F.S. nei confronti di Equitalia Sud s.p.a. avverso la sentenza n. 116 emessa in data 5.1.2012 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricostruito la vicenda processuale oggi sub iudice: a) con una prima sentenza emessa in data 19.9.2013 la Corte di appello di Napoli aveva dichiarato inammissibile il reclamo perchè proposto dal legale rappresentante di una società cancellata ed estinta, e cioè da soggetto non legittimato, per essere, invece, legittimati i soci della società estinta; b) la Corte di Cassazione, investita della conseguente impugnazione, con sentenza n. 25617 del 9.12.2014, aveva accolto il ricorso, dichiarando la legittimazione del legale rappresentante della società cancellata a proporre reclamo L.Fall., ex art. 18, cassando pertanto la sentenza impugnata, con rinvio alla corte territoriale.

Il giudice del reclamo ha, inoltre, ricordato la vicenda negoziale sottostante alla declaratoria di fallimento, precisando che: i) nel corso dell'anno 2010, il (*) a r.l. aveva incorporato la SPC società di partecipazioni cooperative per azioni e la (*) e di Z. scarl; li) con atto del 27.10.2011, iscritto nel registro delle imprese in data 19.12.2011, il Consorzio si era scisso totalmente in due consorzi di nuova costituzione, denominati Consorzi servizi tecnici e Consorzio Housing e che, alla stessa data del 19.12.2011, il Consorzio, poi fallito, si era cancellato dal registro delle imprese.

La corte distrettuale ha, dunque, ritenuto che: 1) la società attinta dalla istanza di fallimento non si era estinta a seguito della scissione, sebbene quest'ultima fosse stata totalitaria, restando, dunque, ferma la possibilità di chiedere, entro il termine annuale, il fallimento della società; 2) alla scissione totale consegue, ex art. 2506 c.c., lo scioglimento senza liquidazione della società scissa, cui, comunque, si applica la L.Fall., art. 10, secondo cui è possibile chiedere il fallimento della società nel termine di un anno dalla cancellazione, unico evento idoneo a rendere l'estinzione efficace nei confronti dei terzi; 3) nel caso in esame, la cancellazione della società scissa era avvenuta contestualmente all'iscrizione dell'atto di scissione e l'istanza di fallimento era stata tempestivamente proposta entro il termine di cui alla predetta L.Fall., art. 10; 4) il ricorso per fallimento, depositato il 9.11.2012, era stato notificato al liquidatore il 12.11.2012 per l'udienza del 4.12.2012, non sussistendo, dunque, la nullità per violazione del termine dilatorio previsto dalla L.Fall., art. 15; 5) i requisiti dimensionali per la declaratoria di fallimento risultavano superati, come si evinceva dai bilanci allegati; 6) che sussisteva anche il requisito oggettivo dello stato di insolvenza.

2. La sentenza, pubblicata il 29.1.2016, è stata impugnata da T.F.S. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Il FALLIMENTO del (*) e Equitalia Sud s.p.a., non hanno svolto difese.

 

Motivi

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell'art. 2506 c.c. e della L.Fall., art. 10. Si osserva che, a seguito dell'operazione di scissione totale, la società scissa si estingue e l'attività continua in capo alle beneficiarie che assumono i diritti e gli obblighi corrispondenti alla quota di patrimonio loro trasferita. Osserva ancora il ricorrente che, in forza di tale scissione, i rapporti giuridici pendenti e preesistenti vengono di fatto interamente trasferiti alle società beneficiarie, posto che la società scissa cessa di esistere. Si conclude, pertanto, nel senso che, in applicazione di tali principi, la corte di appello avrebbe dovuto revocare la sentenza dichiarativa di fallimento emessa a carico della (*), in quanto la dichiarazione in questione non poteva certo colpire la società scissa ma, in caso, le beneficiarie della scissione.

2. Con il secondo mezzo si denuncia, sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 15. Osserva il ricorrente che risultava accertato che, nonostante la mancata spedizione della raccomandata di avviso dell'avvenuta consegna dell'atto al portiere, il ricorso per fallimento era stato effettivamente consegnato al destinatario, raggiungendo, dunque, lo scopo di portare lo stesso a conoscenza del ricorso di fallimento e dell'udienza di comparizione la società fallenda, che si era per vero costituita. Si evidenzia, tuttavia, che nessun effetto sanante poteva essere riconosciuto alla costituzione in giudizio del resistente, il quale aveva espressamente richiesto, senza ottenerlo, un termine per poter svolgere compiutamente le proprie difese stante il tempo ristretto, inferiore al minimo di legge, ad esso attribuito.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 15 e, comunque, omesso esame di fatti decisivi. Sostiene il ricorrente che, sulla errata individuazione del destinatario della notifica, la corte di appello avrebbe omesso qualsiasi pronuncia, non potendosi, per vero, riconoscere alcuna legittimazione passiva all'ultimo legale rappresentante di una società cancellata, a seguito di scissione totalitaria ed essendo, invece, ben individuati dalla legge i soggetti subentrati nella posizione del debitore.

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Possono essere esaminati congiuntamente il primo ed il terzo motivo di censura.

4.2 Essi sono infondati.

Occorre chiarire, in premessa, che l'applicazione della disciplina normativa dettata dalla L.Fall., art. 10, presuppone l'intervento di un fenomeno estintivo dell'impresa ovvero della compagine sociale attinta dall'istanza di fallimento nei limiti temporali previsti dalla norma in esame, con effetti successori che investono il patrimonio dell'ente e la relativa legittimazione sostanziale e processuale di quest'ultimo.

4.3 Ciò che occorre approfondire, nel caso di specie, è se la "scissione" prevista dall'art. 2506 c.c. - che si è sviluppata, nel caso ora in esame, attraverso la scissione totale del (*) a r.l. i cui beneficiari sono stati denominati Consorzi servizi tecnici e Consorzio Housing - abbia dato causa ad un fenomeno semplicemente "evolutivo e modificativo" del contratto sociale (come avviene pacificamente nel caso delle trasformazioni societarie omogenee) ovvero ad un fenomeno "estintivo" della società con la formazione di un nuovo ente (e con effetti pertanto successori), giacchè dall'accoglimento dell'una o dell'altra soluzione discende invero l'applicabilità o meno del disposto normativo di cui alla L.Fall., art. 10, con conseguente fallibilità della società debitrice (cfr. Cass. 16511/2019).

4.4 La legge fallimentare non prevede un termine di decadenza riferito al deposito del ricorso per la richiesta di fallimento. Tuttavia, va ricordato che, ai sensi della L.Fall., art. 10, comma 1, "gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo". Peraltro, il comma 2 della norma in esame prevede che "in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine del comma 1". Ed infine, l'art. 11, comma 1, completa la previsione, aggiungendo che "l'imprenditore defunto può essere dichiarato fallito quando ricorrono le condizioni stabilite nell'articolo precedente". Ebbene, deve ritenersi che le previsioni normative in esame stabiliscono un terminus post quem non, ma riferito non alla domanda L.Fall., ex art. 6, bensì alla dichiarazione di fallimento, e ciò per non estendere all'infinito gli effetti di una attività di impresa non più attuale. Ciò significa, in buona sostanza, che è da considerarsi inammissibile la domanda di fallimento depositata quando il suddetto termine annuale è già scaduto. Deve ritenersi, al riguardo, che il termine annuale si atteggi alla stregua di un termine di decadenza dall'iniziativa fallimentare, che può essere impedita soltanto dalla tempestiva pronunzia di fallimento, nel senso che l'avvio del procedimento non comporta alcun effetto interruttivo di detto termine (così, sempre Cass. 16511/2019, cit. supra).

4.5 Ciò detto, va ulteriormente ricordato, tornando al tema principale di discussione, che sia la giurisprudenza di questa Corte che la dottrina sono concordi nel ritenere che la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorchè connotato di personalità giuridica, non si traduca nell'estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configuri una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all'originaria organizzazione societaria (Cass. 10332/2016, Cass. 13467/2011). Ne consegue che la trasformazione societaria configura una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico, senza la produzione di alcun effetto successorio ed estintivo (così, sempre Cass. 16511/2019, cit. supra). Ma è anche vero che, invece, la cosiddetta "trasformazione" di una ditta individuale in una società o di una società in una impresa individuale determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, perchè persona fisica e persona giuridica si distinguono appunto per natura e non solo per forma (Cass. 965/1997).

Ne discende che - sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte - la nascita di un'impresa individuale, cui quella collettiva trasferisca il proprio patrimonio non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese (Cass. 1593/2002).

4.6 In termini più generali, è stato anche affermato dalla giurisprudenza di vertice della Corte che, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, "pendente societate", fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass. SU 6070/2013).

4.7 Nel vigore della nuova disciplina, ferma restando la sostanziale identità della formula utilizzata dall'art. 2506, comma 1 ("assegnazione") rispetto a quella presente nel vecchio art. 2504 septies ("trasferimento") c.c., la tesi traslativa è stata riproposta, ma sotto un'ottica differente. In sintesi, si è affermato che la scissione societaria si accompagna ad un fenomeno successorio, ma si è precisato anche che quest'ultimo è giustificato da una modifica organizzativa del rapporto sociale, da cui deriva l'inapplicabilità di alcune delle disposizioni previste per i trasferimenti a causa di morte o per atto tra vivi.

Come si è sottolineato, dunque, il vero problema sta nel verificare la misura della compatibilità di regole e principi in tema di vicende traslative con quelli speciali e peculiari stabiliti in tema di scissione.

Se così è, allora occorre concludere nel senso che, in caso di scissione, si determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, con la conseguenza che non è preclusa la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese.

Del resto, diversamente ragionando si potrebbe correre il rischio di favorire operazioni negoziali volte proprio, in prossimità della decozione e della dichiarazione di fallimento delle società, a determinare la trasformazione, pur consentita dall'ordinamento, di quest'ultime in enti ovvero altre entità giuridiche non fallibili, non consentendo l'apertura del concorso dei creditori sui beni della società debitrice (così, sempre Cass. 16511/2019, cit. supra: ove sono stati applicati di recente analoghi principi, in un caso in cui l'originaria società di capitali era stata "trasformata" in una comunione di godimento dell'azienda tra gli ex soci, trasformatisi, anch'essi, secondo la comune volontà negoziale, in comunisti dei beni compresi nel compendio aziendale, al solo fine di godere dei frutti scaturenti dai beni stessi).

4.8 Peraltro, nell'attuale formulazione della L.Fall., art. 10, il riferimento al dato pubblicitario della cancellazione dal registro delle imprese non consente di sviluppare, ai fini del computo del termine di fallibilità, la valenza della pubblicità dichiarativa che, in via generale, del dato medesimo è propria.

La cancellazione volontaria delle società, viceversa, rileva quale mero dato storico, fattuale, formale ed esclusivo come dies a quo per il decorso del termine annuale. Essa opera, dunque, come una presunzione legale di cessazione che non soltanto consente, ma impone di prescindere dal dato empirico della effettiva cessazione e della sua reale cognizione da parte dei terzi, senza possibilità di richiamo ai consueti moduli giuridici della dichiaratività, non consentendosi al debitore di provare che la cessazione dell'attività sia avvenuta anteriormente alla cancellazione stessa.

Ai fini della L.Fall., art. 10, la cessazione dell'impresa collettiva coincide con la sua cancellazione volontaria: si puntualizza e consiste in essa e ciò per equivalenza normativa posta o, ciò che è lo stesso, per presunzione legale ed assoluta, almeno nella generalità dei casi.

La presunzione legale è, invece, semplice nel caso di impresa individuale o di cancellazione d'ufficio degli imprenditori collettivi, consentendosi (L.Fall., art. 10, comma 2) ai creditori e al pubblico ministero - che chiedano la dichiarazione di fallimento - di dimostrare che, nonostante la cancellazione, l'attività sia effettivamente proseguita.

Ne discende che, essendosi il (*) a r.l. cancellato volontariamente dal Registro delle imprese, legittimamente è stato dichiarato fallito nel successivo anno, essendo alla cancellazione collegata - per equivalenza normativa - la cessazione dell'impresa, senza possibilità alcuna per il debitore sia di dimostrare che la cessazione è avvenuta antecedentemente, sia di dimostrare che la cessazione non è avvenuta, per inferirne la non fallibilità.

4.9 Ma vi è di più.

Nel caso di scissione totale la società scissa non sopravvive, ma si estingue senza liquidazione: si tratta di una tecnica di estinzione alternativa alla liquidazione.

Va rilevato, peraltro, che anche la sesta direttiva comunitaria sembra sposare, in materia di scissione totale, la tesi dell'estinzione seguita da trasferimento, atteso che tale forma di scissione è definita dall'art. 2 della direttiva come: "(...) l'operazione con la quale una società, tramite uno scioglimento senza liquidazione, trasferisce a più società l'intero patrimonio attivo e passivo mediante l'attribuzione agli azionisti della società scissa di azioni delle società beneficiarie dei conferimenti risultanti dalla scissione, in seguito denominate "società beneficiarie"". Ma, soprattutto, l'art. 17 della sesta direttiva dispone che: "La scissione produce ipso jure e simultaneamente i seguenti effetti: (...)c) la società scissa si estingue".

4.10 Anche la giurisprudenza di questa Corte, in relazione ad una vicenda in cui era stata attuata la scissione totale di una società per azioni, secondo la disciplina del vecchio art. 2504 septies c.c., con contestuale costituzione di una pluralità di società, aveva affermato il verificarsi non soltanto dell'estinzione della società scissa senza liquidazione, ma anche la successione a titolo universale delle società beneficiarie (Cass. 6143/2001): enunciazione questa, che aveva consentito di concludere che il lavoratore che abbia cessato di lavorare alle dipendenze della società poi scissa, prima della sua estinzione, nell'instaurare una controversia di lavoro nei confronti della società di nuova costituzione che abbia acquisito il settore aziendale presso cui lavorava, può convenire la stessa, in applicazione dell'art. 413 c.p.c., comma 2, davanti al foro della dipendenza a cui egli era addetto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che sia passata nell'ambito dell'organizzazione di detta nuova società (in motivazione, peraltro, era stata richiamata Cass. 9897/1998, per mettere in evidenza che tale pronuncia riguardava la diversa ipotesi della scissione parziale con trasferimento di solo parte del personale alla società beneficiaria della scissione, là dove la società scissa non poteva considerarsi estinta avendo conservato la titolarità di una parte del nucleo aziendale).

4.11 Si può dunque concludere nel senso che, se l'ente si è estinto (e ne è seguita la cancellazione al Registro delle imprese), non può che trovare applicazione la L.Fall., art. 10.

4.12 Va anche aggiunto che, come già precisato da questa Corte in altro recentissimo arresto (cfr. Cass. 4737/2020), nel vigente sistema normativo, un fenomeno di riorganizzazione societario - quale, tra gli altri, è la scissione -, come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell'impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali. In realtà, il tema della soggezione della società scissa alle procedure concorsuali, non risulta propriamente attenere al piano dell'organizzazione societaria dell'impresa, attenendo, piuttosto, al piano dell'operatività dell'impresa e dei suoi rapporti coi terzi, contraenti e creditori.

4.13 Nè può essere dato credito, in senso contrario a quanto sopra osservato, all'argomento letterale collegato al termine "assegnazione", a cui ricorre la norma dell'art. 2506 c.c., nel descrivere l'operazione di scissione: nel lessico dei codici, tale termine assume, invero, il prevalente significato di trasferimento di uno o più beni dal patrimonio di un soggetto a quello di un altro (cfr., così, le norme degli artt. 2798 e 2925 c.c. e quelle degli artt. 505588 ss. c.p.c.) (così, sempre cfr. Cass. 4737/2020, cit. supra). Come è stato correttamente rilevato nell'arresto giurisprudenziale da ultimo ricordato, che si riporta, qui verbatim: "Rilevante a questo proposito si manifesta, piuttosto, la disposizione dell'art. 2506 c.c., comma 3, che avvia la società scissa - che stabilisce di non "continuare la propria attività" - allo "scioglimento" dell'ente: con cancellazione della società ex art. 2495 c.c., che ne viene così a conseguire, e correlata "estinzione" della medesima (cfr. l'incipit del comma 2 di quest'ultima norma) (così, sempre cfr. Cass. 4737/2020, cit. supra).

4.14 Va anche osservato, in termini più generali, che la responsabilità delle beneficiarie per i debiti propri della società scissa, che è sancita dalle norme dell'art. 2506 bis c.c., comma 3 e art. 2506 quater c.c., non può determinare - come pretenderebbe il ricorrente - l'elisione della responsabilità della società scissa.

Come già precisato nel precedente più volte richiamato (cfr. sempre cfr. Cass. 4737/2020, cit. supra), nel nostro ordinamento positivo, l'esonero dalla responsabilità patrimoniale, come pure le limitazioni della stessa, suppongono un'espressa previsione normativa a corredo (cfr. la norma dell'art. 2740 c.c., comma 2), non potendosi ritenere sufficiente a fondare un simile (e dirompente) effetto la mera diversità del tenore letterale della previsione relativa al caso della scissione parziale rispetto a quello per la scissione totale.

Del resto, in assenza di una responsabilità della scissa, potrebbe anche verificarsi il caso - si è anche opportunamente rilevato in dottrina - di debiti per cui nessuno venga più a rispondere illimitatamente (così, sempre Cass. 4737/2020, cit. supra). Del resto, va anche ricordato che, per quelli, la "cui destinazione non è desumibile dal progetto" di scissione, la norma dell'art. 2506 ter c.c., comma 3. limita la responsabilità delle beneficiarie al "valore effettivo del patrimonio netto attribuito" a ciascuna di esse, con conseguente correlata esclusione dei "beni futuri", di cui all'art. 2740 c.c.. Riguardo alle limitazioni di aggressione patrimoniale subite dai creditori, va pure ricordato che, stante il disposto dell'art. 2506 quater c.c., comma 3, costoro possono rivolgersi alle altre beneficiarie solo allorchè non siano stati soddisfatti dalla "società a cui fanno carico" (cfr. Cass. 4737/2020, cit. supra).

4.15 Infine, va osservato che non può, in ogni caso, essere considerato fattore di ostacolo alla dichiarazione di fallimento della società scissa il fatto che nessuno dei suoi creditori abbia formulato opposizione alla disaggrezione dell'ente ex art. 2506 ter c.c., comma 5, e art. 2503 c.c.: come già rilevato dalla giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654), lo strumento dell'opposizione dei creditori alla scissione è rimedio non "sostitutivo e necessario", ma solo "aggiuntivo", mancando, d'altronde, una disposizione ad hoc, che pure sarebbe necessaria in un sistema in cui la procedura fallimentare non è rimessa alla disponibilità dei creditori (così, sempre cfr. Cass. 4737/2020, cit. supra).

4.16 Per completezza, occorre anche segnalare la pronuncia già sopra citata (Cass., n. 31654/2019), sulla revocatoria dell'operazione di scissione (nella specie parziale, con il corretto rilievo che la c.d. regola di irretrattabilità della scissione vale solo per il tema dell'invalidità della relativa operazione e non anche per quello revocatorio), secondo una linea che risulta anche approvata dalla Corte di Giustizia UE (cfr., sentenza 30 gennaio 2020, sezione II, c394/18).

4.17 Va, da ultimo, precisato, come ulteriore corollario dei principi sopra affermati (e in risposta al terzo motivo di doglianza del ricorrente), che legittimato a ricevere la notificazione del ricorso per fallimento era pertanto proprio il T., quale ultimo legale rappresentante della società cancellata.

5. Anche il secondo motivo è infondato.

5.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, il mancato rispetto del termine di quindici giorni che deve intercorrere tra la data di notifica del decreto di convocazione del debitore e la data dell'udienza (come previsto dalla nuova formulazione della L.Fall., art. 15, comma 3) e la sua mancata abbreviazione nelle forme rituali del decreto motivato sottoscritto dal presidente del tribunale, previste dalla L.Fall., art. 15, comma 5, costituiscono cause di nullità astrattamente integranti la violazione del diritto di difesa, ma non determinano - ai sensi dell'art. 156 c.p.c., per il generale principio di raggiungimento dello scopo dell'atto - la nullità del decreto di convocazione se, il debitore, pur eccependo la nullità della notifica, abbia attivamente partecipato all'udienza, rendendo dichiarazioni in merito alle istanze di fallimento, senza formulare, in tale sede, rilievi o riserve in ordine alla ristrettezza del termine concessogli, nè fornendo specifiche indicazioni del pregiudizio eventualmente determinatosi, sul piano probatorio, in ragione del minor tempo disponibile (Sez. 6, Ordinanza n. 14814 del 19/07/2016).

5.2 E' stato altresì precisato, sempre dalla giurisprudenza di questa Corte, che - in caso di inosservanza del termine dilatorio di cui alla L.Fall., art. 15 - il giudice dell'appello, non ricorrendo nè la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, nè alcuna delle altre ipotesi di rimessione al giudice di prime cure tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., non deve limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, ma deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale ed ammissione del convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse. Tali attività il reclamante ha l'onere di precisare, pena l'inammissibilità del reclamo per difetto di interesse e per non rispondenza al modello legale di impugnazione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19601 del 04/08/2017).

5.3 Ciò premesso, non può essere sottaciuto come, nel caso in esame, la parte oggi ricorrente si era costituita, in realtà, regolarmente nella istruttoria prefallimentare, svolgendo attività difensiva in ordine alla istanza di fallimento e sollevando soltanto una generica riserva in ordine al mancato rispetto del termine a difesa, riserva, cioè, non accompagnata dalla indicazione di quali attività difensive sarebbero state pregiudicate dal minore tempo disponibile per approntare le difese, così rendendo la doglianza, così genericamente proposta, inammissibile già in sede di proposizione del motivo di reclamo.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa della curatela fallimentare e del creditore istante, entrambi intimati.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020.