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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23833 - pubb. 08/07/2020.

Violazione dei doveri conseguenti al matrimonio e risarcimento del danno non patrimoniale


Tribunale di Reggio Emilia, 24 Giugno 2020. Est. Morlini.

Violazione dei doveri conseguenti al matrimonio - Risarcibilità dei danni ex art. 2059 c.c. - Configurabilità - Condizioni - Autonomia dell'azione rispetto alla domanda di separazione e di addebito - Sussistenza - Fondamento


Si ha illecito endofamiliare allorquando i comportamenti sono illeciti solo perché commessi da persone legate da vincoli famigliari, mentre non lo sarebbero nel caso di commissione da parte di persone non legate da tali vincoli.

I doveri che derivano ai coniugi del matrimonio, quali quelli previsti dall’articolo 143 c.c., hanno infatti natura giuridica vera e propria, con la conseguenza che la loro violazione non trova sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento.

Tuttavia, il risarcimento del danno da illecito famigliare può essere effettuato solo nel caso in cui venga violato un diritto fondamentale di rango costituzionale, quale la dignità della persona, e la violazione sia di particolare gravità, essendo posta in essere con modalità insultante, ingiuriosa ed offensiva. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

SEZIONE SECONDA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice monocratico dott. Gianluigi Morlini, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 1950/2019

 

FATTO

Promuovendo la presente controversia, XXX ha esposto che nel 1994 si era unito in matrimonio a YYY; che nel corso del matrimonio, il 12/3/1996 la moglie aveva dato alla luce un bambino, chiamato Z e indicato allo stato civile come figlio della coppia; che nel 1999 la coppia si era separata; che 21 anni dopo il matrimonio, con sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 1410/2005, era stato dichiarato lo scioglimento del matrimonio stesso, ed il XXX convolava a nuove nozze con altra persona; che successivamente, XXX era venuto a sapere che durante la vita matrimoniale la moglie aveva intrattenuto una relazione extraconiugale; che pertanto aveva promosso una causa di disconoscimento di paternità; che nel corso di tale causa era stata disposta una CTU, la quale aveva concluso nel senso della incompatibilità genetica tra XXX ed il figlio; che tuttavia la causa era stata definita con sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 860/2017, tramite una pronuncia in rito di inammissibilità, essendo la domanda stata proposta senza il rispetto dei termini decadenziali previsti dall’articolo 244 c.c.

Ciò posto, XXX, con un atto introduttivo particolarmente schematico consistente in 26 righe di ricostruzione in fatto ed in diritto della controversia, ha evocato in giudizio la ex moglie YYY, per ottenerne la condanna a risarcire il danno non patrimoniale e di natura endofamiliare, quantificato in € 150.000, sofferto a seguito della scoperta di non essere il padre biologico di Z ed in ragione del fatto che la moglie aveva “celato all’istante che la propria gravidanza e la nascita del figlio era dovuta ad un rapporto con un altro uomo” (pag. 1 citazione).

Costituendosi in giudizio, ha resistito YYY, eccependo in rito che la domanda risarcitoria doveva ritenersi preclusa a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di disconoscimento di paternità, con la conseguenza che l’attore doveva ritenersi a tutti gli effetti padre di Z; deducendo nel merito sia che era sempre stata convinta della effettiva paternità dell’ex marito rispetto al figlio, e che comunque difettavano nel caso di specie i comportamenti ingiuriosi, offensivi ed aggressivi necessari per potere configurare la risarcibilità del danno endofamiliare; argomentando poi sempre nel merito che non vi era prova del nesso causale tra il dedotto stato depressivo e la presunta mancata paternità; eccependo infine la prescrizione del diritto risarcitorio azionato, per il decorso del termine quinquennale previsto dall’articolo 2947 c.c.

La causa è stata ritenuta matura per la decisione senza dare luogo alle prove testimoniali ed alle CTU richieste dalle parti.

In particolare, fissata una prima udienza di discussione orale con precedente termine per note scritte, è stato disposto rinvio per la cosiddetta emergenza Covid-19, e successivamente la causa è poi stata decisa a seguito di trattazione scritta ex art. 83 comma 7 lettera h) D.L. n. 83/2020 con la presente sentenza ex articolo 281 sexies c.p.c.

 

DIRITTO

a) E’ noto che già da qualche anno la giurisprudenza ha ritenuto la configurabilità degli illeciti endofamiliari, che si hanno allorquando i comportamenti tenuti sono illeciti solo perché commessi da persone legate da vincoli famigliari, mentre non lo sarebbero nel caso di commissione da parte di persone non legate da tali vincoli.

In particolare, è stato spiegato che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio, quali quelli previsti dall’articolo 143 c.c. in tema di collaborazione, coabitazione, assistenza e fedeltà (i primi tre estesi alle unioni civili dall’art. 1 comma 11 L. n. 76/2016), hanno natura giuridica vera e propria.

Pertanto, viene superata la tesi per cui la violazione dei doveri coniugali è sanzionabile solo con i rimedi tipici del diritto di famiglia (ad esempio, articoli 129 bis, 151, 156, 342 ter c.c.; 709 ter c.p.c.; 570 c.p.; 12 sexies L. n. 898/1970): dalla natura giuridica degli obblighi suddetti discende infatti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare quindi luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento (cfr. ex pluribus Cass. n. 4470/2018, Cass. n. 8862/2012, Cass. n. 610/2012, Cass. n. 18853/2011, Cass. n. 17193/2011, Cass. n. 15557/2008, Cass. n. 13431/2008, Cass. n. 9801/2005).

La giurisprudenza ha però precisato che il risarcimento di tale danno può essere effettuato solo nel caso in cui venga violato un diritto fondamentale di rango costituzionale, quale la dignità della persona, e la violazione sia di particolare gravità, essendo posta in essere con modalità insultante, ingiuriosa ed offensiva.

Coerentemente con tale assunto e con specifico riferimento al danno non patrimoniale da adulterio, anche recentissimamente la Suprema Corte ne ha sancito la risarcibilità, alla condizione però dell’avvenuta lesione di un diritto inviolabile della persona, costituzionalmente protetto, e sempre purché la lesione superi la soglia della tollerabilità (Cass. n. 6598/2019; in termini anche Cass. n. 8862/2012).

Tanto premesso in linea di diritto, si osserva in fatto che, nel pur estremamente schematico atto introduttivo, l’attore ha effettivamente dedotto l’esistenza di un comportamento della ex moglie astrattamente idoneo ad essere qualificato come fonte di danno endofamiliare, ed in particolare quello di avere “celato all’istante che la propria gravidanza e la nascita del figlio era dovuta ad un rapporto con un altro uomo” (pag. 1 citazione).

In sostanza, il comportamento violativo di un diritto fondamentale della persona e la sua incisione con particolare gravità, vengono ricondotti non già alla mera e semplice violazione del dovere di fedeltà e quindi alla esistenza di una relazione extraconiugale, ciò che sarebbe rilevante ex articolo 143 c.c. nell’ambito del diritto di famiglia, ma non potrebbe di per sé fondare una domanda di risarcimento del danno ex art. 2059 c.c. in assenza di modalità insultante ed ingiuriosa; ma vengono correttamente ricondotti alla diversa e distinta situazione di nascondere al marito che la gravidanza era dovuta ad rapporto con un altro uomo.

La consapevolezza quindi, da parte della convenuta, che la propria gravidanza era dovuta alla relazione extraconiugale, diventa un elemento costitutivo della domanda risarcitoria posta in essere dall’attore; né potrebbe essere diversamente, proprio perché, come detto, la mera relazione extraconiugale non è di per sé idonea a fondare la domanda risarcitoria.

Pertanto, spettava all’attore, se del caso anche in via presuntiva, dare prova di quanto dedotto in ordine a tale consapevolezza, atteso che la convenuta ha recisamente negato detta consapevolezza, ed anzi ha affermato che “era convinta all’epoca della CTU biologica della paternità dell’attore” (pag. 5 comparsa di risposta).

Tuttavia, pur se onerato di tale onere probatorio ex articolo 2697 c.c., l’attore non ha fornito alcun elemento che possa far ritenere provato, o quantomeno lumeggiato da un principio di prova, l’esistenza in capo alla convenuta di tale consapevolezza.

Tanto basta al rigetto della domanda attorea, rimanendo assorbite tutte le ulteriori difese della convenuta, ivi compresa quella relativa alla prescrizione ed alla mancanza del nesso causale tra il dedotto stato depressivo e la mancata paternità.

b) Nonostante la soccombenza attorea, sussistono le gravi ed eccezionali ragioni di cui all’articolo 92 comma 2 c.p.c., così come rimodulato a seguito della sentenza di Corte Costituzionale n. 77/2018, per compensare integralmente tra le parti le spese di lite, ragioni integrate dall’effettiva eccezionalità e singolarità del caso sottoposto all’esame di questo giudice, e dell’opportunità di non penalizzare chi, solo vent’anni dopo la nascita dalla nascita, è venuto a conoscenza di non essere padre biologico di colui che aveva sempre considerato proprio figlio.

Ai sensi dell’art. 52 comma 2 D.Lgs. n. 196/2003, si dispone che, in caso di diffusione della sentenza, vadano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di una o più parti.

 

P.Q.M.

il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica

definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa

rigetta la domanda;

compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Reggio Emilia, 24/6/2020

Il Giudice

Dott. Gianluigi Morlini