Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24673 - pubb. 22/12/2020

Pensione di reversibilità e rinuncia stragiudiziale all’assegno divorzile

Tribunale Mantova, 02 Novembre 2020. Est. Valeria Monti.


Pensione di reversibilità – Rinuncia all’assegno di  divorzio – Validità – Condizioni



Non sussiste il diritto alla pensione di reversibilità da parte dell’ex coniuge che abbia rinunciato stragiudizialmente all’assegno divorzile, dovendo ritenersi valida la rinuncia all’assegno contenuta in un atto transattivo stipulato successivamente alla sentenza di divorzio, non essendo a tal fine necessario l’intervento giurisdizionale, con la precisazione che successivamente alla rinuncia l’assegno divorzile non può essere ripristinato con la semplice richiesta dell’avente diritto. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Svolgimento del processo

Con ricorso presentato in data 14.1.2020, C.S. ha convenuto in giudizio T. T. e l’INPS di Mantova, in persona del l.r.p.t., al fine di veder accertato e dichiarato il proprio diritto alla reversibilità della pensione dell’ex coniuge deceduto, D. F., obbligandosi, per l’effetto, l’INPS a corrisponderle la quota della reversibilità della pensione a lei spettante dal mese successivo al decesso dell’ex coniuge.

Si è costituita in giudizio la convenuta T. T. chiedendo il rigetto della domanda, in quanto la ricorrente al tempo della morte di D.F., suo ex marito, non percepiva alcun assegno divorzile per sua rinuncia scritta, del mese di novembre 2008, tempo a partire dal quale ella non ha mai più percepito l’assegno divorzile.

Si è costituita altresì l’INPS, rimettendosi a giustizia e facendo presente di avere versato a T. T. la quota spettante a titolo di reversibilità del trattamento pensionistico di cui godeva il D.– quota pari, da ultimo, ad € 522,42 – sino al mese di novembre 2018, e chiedendo pertanto che l’eventuale obbligo dell’Istituto di pagare una quota parte della pensione di reversibilità direttamente al coniuge divorziato, ex art. 9, comma 3, della legge n. 898/70, nel testo modificato dalla legge n. 74/84, sia disposto a decorrere dalla data dell’emanando provvedimento e non da data anteriore.

Le parti non hanno chiesto l’assunzione di prove costituende e la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 27.10.2020, svoltasi mediante trattazione scritta.

 

Motivi della decisione

Preliminarmente è bene chiarire che il rito applicabile al caso in esame è quello camerale. Osserva il collegio che è ormai pacifico che il procedimento in camera di consiglio non sia  tipico della volontaria giurisdizione: esistono, invero, fattispecie normative (come l’impugnazione degli atti del Consiglio dell’ordine degli Psicologi) che sono caratterizzate dalla contrapposizione di parti e dalla lesione o minaccia di un diritto soggettivo e che vengono trattate con il rito camerale, che assicura una definizione più sollecita della controversia.

Il riconoscimento al coniuge superstite di una quota della pensione di reversibilità di cui all’art. 9, 4° co., L. 898/70, viene pacificamente trattato con il rito camerale, per una forma di assimilazione processuale al rito previsto nello stesso articolo per la modifica delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio, pur essendo per esso espressamente prevista la decisone con sentenza.

Nel merito, la domanda è infondata.

Il diritto dell'ex coniuge divorziato a pretendere la pensione di reversibilità (o una parte di essa, in caso di concorso con il coniuge successivo) a seguito del decesso dell'ex coniuge, è previsto nel caso in cui il coniuge divorziato sia percettore di assegno divorzile periodico al momento del decesso. In particolare è stato chiarito, anche di recente, che ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno di cui all'art. 5 della l. n. 898 del 1970, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge (Sez. U - , Sentenza n. 22434 del 24/09/2018).

Ciò posto, la stessa ricorrente precisa che successivamente alla sentenza di divorzio n.2925 del 13.9.1998 del Tribunale di Torino, che stabiliva l’obbligo a carico del marito di pagamento periodico dell’assegno divorzile in favore dell’odierna ricorrente, la stessa, per le sopravvenute difficoltà economiche e di salute dell’obbligato, rinunciava a detto assegno. Tale circostanza viene confermata dalla scrittura privata prodotta da parte resistente di cui al doc.1, dalla quale si ricava che detta rinuncia avveniva in data 6.11.2008. Detta data peraltro è contestata dalla ricorrente, la quale colloca invece l’avvenuta rinuncia all’assegno divorzile nell’anno precedente (nel 2007). L’ulteriore documentazione prodotta, dalla stessa ricorrente, corrobora tuttavia la tesi della resistente circa la data di avvenuta rinuncia. In particolare dalla lettera di richiesta di rinuncia all’assegno inoltrata dal difensore di D.F. del 25.9.2008 e di cui al doc. 3 di parte ricorrente, si evince chiaramente che nel 2007 non era ancora intervenuta alcuna rinuncia. In ogni caso, a prescindere dalla data in cui tale rinuncia è avvenuta, è dato non contestato tra le parti che C.S. abbia, con atto privato, rinunciato al proprio diritto e che successivamente a detta rinuncia, nonostante le richieste di ripristino del contributo economico da parte della ricorrente ( cfr. doc. 4), non sia stato versato più alcun assegno.

Posto quindi che vi è stato un atto di rinuncia da parte del coniuge titolare dell’assegno divorzile, ciò che appare dirimente è capire se possa essere ritenuta valida la rinuncia all’assegno divorzile contenuta in un atto privato e, in caso di risposta affermativa, se tale rinuncia determini solo uno status di quiescenza del diritto – che potrebbe rivivere con la semplice richiesta del titolare- o di estinzione dello stesso.

Orbene, quanto alla validità di accordi stragiudiziali tra le parti aventi ad oggetto i diritti essenziali di natura economica nascenti in occasione della separazione e del divorzio , secondo un orientamento maggioritario, a cui si ritiene di dover dare continuità, deve ritenersi che detti tipi di accordi, in vista della separazione e del divorzio, siano nulli.

La ragione della previsione di una così grave sanzione è da rintracciarsi nel principio di indisponibilità dello status delle persone. Si ritiene infatti che tali accordi, senza l’opportuno vaglio giurisdizionale, costituiscano determinazioni idonee a condizionare il consenso allo scioglimento del matrimonio.

Ciò è stato confermato dalla Corte di Cassazione (recentemente, ad esempio, con la sentenza numero 2224/2014), che ha precisato che gli accordi con i quali i coniugi fissano preventivamente il regime giuridico-patrimoniale che regolerà i loro rapporti in vista di un futuro ed eventuale divorzio devono ritenersi invalidi per illiceità della causa.

Tanto chiarito, deve osservarsi che se l’indisponibilità dello status e quindi la necessità di non condizionare la volontà delle parti di addivenire al divorzio, giustifica la limitazione della libertà negoziale di queste ultime, lo stesso non può dirsi per l’ipotesi in cui gli accordi stragiudiziali tra le parti siano conclusi successivamente alla pronuncia della sentenza (nel caso di specie 20 anni dopo). In tal caso infatti non vi è alcuna ragione per la quale dover ritenere non valida e non vincolante la volontà manifestata dalle parti, trattandosi di espressione della libertà negoziale delle stesse.

La coerenza di una siffatta conclusione viene confermata da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. 6 penale-, Sentenza n. 36392 del 04/06/2019), che pur intervenendo in una fattispecie completamente diversa, ovvero in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, rilevante ai fini della configurabilità dei reati di cui agli artt.12-sexies legge 1 dicembre 1970, n.898 e 570 cod.pen.,  ha precisato che che gli accordi transattivi contenenti pattuizioni patrimoniali relative alla regolamentazione dei rapporti tra gli ex coniugi (nella fattispecie assegno divorzile) conclusi in sede stragiudiziale, di per sé non sono contrari all’ordine pubblico e sono autonomamente efficaci a produrre effetti obbligatori.

Ne deriva che il diritto all’assegno divorzile non è di per sé un diritto indisponibile e al pari di tutti i diritti disponibili può essere oggetto di rinuncia da parte del titolare – purché, come visto, non stragiudizialmente in vista della pronuncia sul divorzio - .

Sicché trattandosi di un diritto disponibile, non vi è ragione per sostenere che il sol fatto che il riconoscimento di tale diritto sia contenuto in una sentenza debba limitarne l’esercizio, escludendo o comunque limitando la possibilità di potervi rinunciare. La rinuncia al diritto è infatti pur sempre una forma di esercizio dello stesso. Contrariamente si dovrebbe sostenere che il titolare del diritto per potervi legittimamente rinunciare dovrebbe proporre una domanda giudiziale di modifica delle statuizioni rese in sede di divorzio con contenuto a sé sfavorevole.

Alla luce di tutte le su riportate considerazioni, non vi sono motivi per ritenere non valida la scrittura privata stipulata tra le parti contenente la rinuncia della ricorrente al diritto alla percezione dell’assegno divorzile.

Tanto chiarito, avendo la ricorrente espressamente dichiarato nelle suddetta scrittura di rinunciare al proprio diritto, l’effetto da ricondurre a tale manifestazione di volontà non può che essere quello estintivo, ovvero quello tipico di ogni atto di rinuncia, per cui appare irrilevante qualsiasi successiva richiesta di ripristino del pagamento.

Pertanto, nessun diritto alla reversibilità della pensione dell’ex coniuge deceduto, D.F., può essere riconosciuto alla ricorrente.

In considerazione delle ragioni della decisione, fondate su questioni giuridiche nuove e controverse, si reputa equo compensare per intero le spese di lite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Mantova, definitivamente decidendo, ogni diversa istanza, deduzione eccezione disattesa:

1)                 rigetta la domanda di corresponsione di quota della pensione di reversibilità di D.F., proposta da C.S. nei confronti dell'INPS  e di T. T.;

2)                per l'effetto, ordina all'INPS di corrispondere per il futuro per intero a T. T. la suddetta pensione di reversibilità;

3)                ordina all'INPS di corrispondere a T. T. l'intero ammontare dei ratei di pensione accantonati da dicembre 2018, maggiorati di interessi legali dal momento di ogni singolo accantonamento mensile sino al saldo; 

4)                spese di causa compensate tra tutte le parti.

Dichiara il presente provvedimento immediatamente efficace

Mantova, 29.10.2020

Il Giudice estensore  

Dott. Valeria Monti