Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25144 - pubb. 16/04/2021

Concordato preventivo: nell’udienza con rito camerale il collegio può delegare al singolo giudice la raccolta di elementi probatori

Cassazione civile, sez. I, 08 Giugno 2020, n. 10889. Pres. Didone. Est. Campese.


Processo civile – Procedimento camerale – Concordato preventivo – Dichiarazione di inammissibilità – Delega a singolo giudice – Principio generale immanente al rito ordinario



Anche nel procedimento camerale applicato a diritti soggettivi - quale innegabilmente si rivela essere anche quello L. Fall., ex art. 162 - che non conosce la figura dell'istruttore, trova applicazione, in difetto di esplicite norme derogative, il principio generale immanente al rito ordinario secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale.

Va, peraltro, ricordato, da un lato, che, nel procedimento camerale concernente diritti o status non è ravvisabile, nell'attività svolta dal giudice delegato dal collegio, alcuna espropriazione dei poteri riservati a quest'ultimo (cfr. Cass. n. 11351 del 2004); dall'altro, che, in ogni caso, l'attività istruttoria (nella specie, la comparizione del debitore) svolta su delega del collegio da parte di uno dei suoi componenti, in asserita violazione della regola della trattazione collegiale del giudizio, non si traduce automaticamente in un vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c., con conseguente nullità assoluta della relativa pronuncia, occorrendo, a tal fine, la specifica deduzione ed il positivo riscontro che l'attività stessa abbia, in concreto, comportato l'esplicazione di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, riservate dalla legge al collegio. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

 

Il sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione aveva chiesto l’affermazione del seguente principio (conforme):

Pur non essendo espressamente previsto, dall'art. 162, comma 2, l. fall., che l'udienza fissata per l'audizione del debitore, ai fini della dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo e l'eventuale dichiarazione di fallimento, possa essere delegata dal Tribunale fallimentare ad un singolo giudice, tale facoltà si desume dai principi generali, sia in tema di rito ordinario che di rito camerale. Ciò non comporta alcun vizio di costituzione del giudice, essendo comunque la decisione riservata al Tribunale in composizione collegiale.

La relazione negativa del professionista attestatore, ai fini della domanda di concordato preventivo, non può essere modificata da una successiva relazione che si esprima in senso positivo, in assenza di modifiche della proposta concordataria. Vedi la requisitoria


Massimario Ragionato



 


Fatto

1. Con sentenza del 7 marzo 2018, la Corte di appello di Firenze respinse il reclamo promosso dalla soc. coop. (*) avverso la pronuncia del proprio fallimento dichiarato dal Tribunale di Arezzo previa declaratoria di inammissibilità della sua domanda di concordato preventivo.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) considerò infondata "l'eccezione relativa all'essersi tenuta l'udienza L. Fall., ex art. 162, comma 2, davanti al giudice delegato e non davanti al Tribunale", assumendo "non esservi ragione per non ritenere delegabili le attività collegiali, come previsto, ad esempio, dall'art. 350 c.p.c. e considerato comunque che la norma prevede la collegialità della sola decisione"; ii) opinò "che deve essere radicalmente escluso che l'imprenditore che propone istanza di concordato preventivo possa integrare la relazione dell'attestatore con quella di altro professionista o anche mutare la persona dell'attestatore; nel caso, il professionista scelto liberamente dalla società era il Dott. B., la cui relazione concludeva con il ritenere che la percentuale di soddisfacimento per i chirografari era del 19%, inferiore, dunque, a quella del 20% che il testo vigente pro tempore L. Fall., art. 160 impone come limite minimo per l'ammissibilità del concordato (e, pertanto, non si tratta affatto di una valutazione di fattibilità economica, essendo, invece, propriamente giuridica la conseguenza della modifica contenuta nella novella). Il deposito dell'addendum redatto dal Dott. Mi. alla suddetta relazione deve ritenersi inammissibile, in quanto, in questo caso, l'attestazione deriverebbe dal combinato disposto della relazione B. e dall'addendum Mi., o meglio da questo, che si pone come una vera e propria nuova attestazione, da cui, invece, risulta una percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari del 30,55%"; iii) affermò che "la legge ha consentito all'imprenditore che intenda proporre un concordato preventivo la libera scelta del professionista che deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano...; ha rimesso, cioè, al soggetto che chiede un certo provvedimento (da lui evidentemente ritenuto confacente ai suoi interessi, altrimenti non avrebbe avuto motivo di chiederlo) la scelta di colui che deve attestare la conformità della sua domanda ai criteri imposti dalle norme: pare, allora, conseguenza minima del principio di responsabilità delle proprie scelte ritenere che egli non possa, di sua iniziativa, vanificare l'operato del professionista da lui liberamente scelto. Nè l'addendum si basa, come affermato dalla reclamante, su modifiche sostanziali della proposta e del piano, il che consentirebbe il deposito di una relazione su di esso, come consentito dalla norma; invero, proposta e piano non sono affatto mutati: come è espressamente affermato a pag. 4 dell'addendum, il Dott. Mi. ha esaminato "nuova documentazione", sulla cui base ha provveduto ad una diversa valutazione delle poste...".

2. Avverso tale sentenza la soc. coop. (*) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Ha resistito, con controricorso, la curatela fallimentare. Il fallimento M.R.G. ed il Gruppo Di Falco s.r.l., creditori istanti, non hanno spiegato difese in questa sede, ed altrettanto dicasi per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo e la Procura Generale della Repubblica di Firenze, anch'esse destinatarie della notificazione del ricorso. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

 

Motivi

1. I formulati motivi prospettano, rispettivamente:

I) "Nullità del procedimento e della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione di norme processuali ed in particolare della L. Fall., art. 162, comma 2, dell'art. 738 c.p.c., del R.D. n. 12 del 1941, art. 48 dell'art. 50-bis c.p.c. e dell'art. 350 c.p.c., e per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 158 e dell'art. 161 c.p.c.. Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. Fall., art. 161, comma 10". Si rappresenta la violazione delle norme di legge sui procedimenti camerali collegiali nell'ambito del concordato preventivo, che si assume aver determinato un vizio di costituzione del giudice e, conseguentemente, la nullità del decreto del Tribunale di Arezzo dichiarativo della inammissibilità della proposta e del piano presentati dalla soc. coop. (*), nonchè della successiva sentenza che ne aveva pronunciato il fallimento perchè intervenuta in violazione dei principi di diritto espressi nella decisione delle Sezioni Unite n. 9935/2015 sui rapporti tra procedura di concordato preventivo e procedimento prefallimentare;

II) "Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della L. Fall., art. 161, commi 2 e 3, art. 67, comma 3 e art. 28". Si prospettano violazioni di norme sostanziali in quanto è stata ritenuta non ammissibile l'attestazione del Dott. Mi., malgrado non risulti normativamente vietata la possibilità di incaricare più di un attestatore, e considerato, comunque, che il comportamento della società risultasse pienamente giustificato per l'indisponibilità dichiarata dal primo attestatore Dott. B., tanto più in presenza di modifiche sostanziali alla proposta e/o al piano.

2. La prima di tali doglianze, sostanzialmente volta a censurare l'assunto della corte distrettuale circa la delegabilità ad uno dei giudici del Collegio delle attività di cui all'udienza L. Fall., ex art. 161, comma 2, non merita accoglimento.

2.1. Invero, le lacune riscontrabili nella disciplina dei procedimenti camerali e di quelli speciali devono colmarsi, in mancanza di deroghe esplicite o implicite, con il ricorso alle norme del rito ordinario (cfr. Cass. n. 26200 del 2015), costituente il paradigma procedimentale del nostro ordinamento, dal quale essi si differenziano soltanto nei limiti espressamente previsti dalla legge. Pertanto, anche nel procedimento camerale applicato a diritti soggettivi - quale innegabilmente si rivela essere anche quello L. Fall., ex art. 162 - che non conosce la figura dell'istruttore, trova applicazione, in difetto di esplicite norme derogative, il principio generale immanente al rito ordinario secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale (cfr. Cass. n. 15100 del 2005; Cass., SU, n. 5629 del 1996).

2.1.1. Va, peraltro, ricordato, da un lato, che, nel procedimento camerale concernente diritti o status non è ravvisabile, nell'attività svolta dal giudice delegato dal collegio, alcuna espropriazione dei poteri riservati a quest'ultimo (cfr. Cass. n. 11351 del 2004); dall'altro, che, in ogni caso, l'attività istruttoria (nella specie, la comparizione del debitore) svolta su delega del collegio da parte di uno dei suoi componenti, in asserita violazione della regola della trattazione collegiale del giudizio, non si traduce automaticamente in un vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c., con conseguente nullità assoluta della relativa pronuncia, occorrendo, a tal fine, la specifica deduzione ed il positivo riscontro che l'attività stessa abbia, in concreto, comportato l'esplicazione di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, riservate dalla legge al collegio (cfr. Cass. n. 6426 del 2014; Cass. n. 12957 del 2011): in parte qua, dunque, il motivo è inammissibile perchè, in violazione del principio desumibile dal combinato disposto dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i) da un lato, non indica specifiche attività, se non decisorie quanto meno sicuramente valutative - diverse dalla sola comparizione del debitore, dalla presentazione della integrazione del piano e dal deposito di altra documentazione, tutte comunque valutate, poi, dal tribunale in sede di decisione collegiale - che sarebbero state compiute, innanzi al giudice delegato dal tribunale, nell'udienza tenutasi innanzi al primo. Il ricorrente, invero, riferisce, in proposito, "essere stati affrontati molteplici aspetti dirimenti ai fini della decisione" (cfr. pag. 15 del ricorso), ma in nessun modo chiarisce come si sarebbe concretamente esplicata l'attività, decisoria o almeno valutativa, del giudice predetto, rispetto ad essi, usurpativa di funzioni proprie del tribunale collegiale; ii) dall'altro, e soprattutto, intende sottoporre a questa Corte una valutazione - invece riservata al giudice di merito - circa il grado di difficoltà e rilevanza delle attività, pacificamente non decisorie, svolte dal delegato medesimo.

2.2. Deve ricordarsi, infine, che i vizi dell'attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma a garanzia dell'eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato error in procedendo, con conseguente onere dell'impugnante di indicare il danno concreto arrecatogli dall'invocata nullità processuale, sicchè quando il ricorrente non chiarisce - come avvenuto nella specie - quale pregiudizio sia concretamente derivato alla sua difesa dall'attività processuale svoltasi innanzi al giudice delegato dal collegio, il motivo di impugnazione si rivela inammissibile (cfr. Cass. n. 15676 del 2014. In senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass. n. 26226 del 2018, nonchè Cass. n. 22978 del 2015, secondo cui "la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorchè quest'ultima - in assenza di tale vizio - non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata").

3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

3.1. Invero, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 3 - nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalla novella introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 - la proposta di concordato preventivo, con il piano e la documentazione analiticamente descritta "devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano". Inoltre, ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 2 "il tribunale, se all'esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui all'art. 160, commi 1 e 2 e art. 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato". Soggiunge, infine, la L. Fall., art. 173, comma 3, che il tribunale deve sempre revocare l'ammissione al concordato, quando "in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato".

3.2. Ora, secondo l'orientamento di questa Corte, nella valutazione delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato preventivo, qualunque sia la sede in cui avvenga (ammissione L. Fall., ex art. 162, comma 2; revoca L. Fall., ex art. 173, comma 3; omologazione L. Fall., ex art. 180, comma 3), al tribunale non è consentito il controllo sulla regolarità ed attendibilità delle scritture contabili, ma è permesso il sindacato sulla veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso, sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica, al fine di consentire ai creditori di valutare, sulla base di dati reali, la convenienza della proposta e la stessa fattibilità del piano (cfr. Cass. n. 7975 del 2017; Cass. n. 2130 del 2014; Cass. n. 12549 del 2014).

3.2.1. E' chiaro, poi, che i dati aziendali non sono quelli risultanti dalle scritture contabili, la cui regolare tenuta ("per un biennio o almeno dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata"), dopo la riforma introdotta dal D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80 del 2005, non è più prevista tra le condizioni di ammissibilità del concordato. I dati aziendali si devono individuare, pertanto, in quelli risultanti dai documenti che devono essere prodotti unitamente al ricorso, ai sensi dell'art. 161, comma 2, lett. a), b), c), vale a dire dall'aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, dalla stato analitico ed estimativo dell'attivo patrimoniale e dall'elenco nominativo dei creditori e dei titolari di diritti reali sui beni del debitore.

3.3. Orbene, è pacifico, nella specie, che: i) l'iniziale relazione del professionista attestatore (Dott. B.), designato dal proponente ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d), risultò sostanzialmente negativa, avendo egli attestato come derivante dalla proposta concordataria una percentuale di soddisfacimento destinata ai creditori chirografari pari al 19%, rivelatasi, dunque, inferiore al limite del 20% previsto per i medesimi creditori, quale presupposto di ammissibilità alla procedura, dalla L. Fall., art. 160, u.c., nel testo, qui utilizzabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 83 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2015; ii) la successiva attestazione del Dott. Mi., depositata unitamente alla prima e definita dal provvedimento oggi impugnato come addendum, ed a dire della corte fiorentina non basata "su modifiche sostanziali della proposta o del piano", indicava, invece, una percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari del 30,55%.

3.3.1. Fermo quanto precede, dalla lettura sistematica delle norme sul concordato riformato emerge come al proponente resti sempre consentita successivamente al deposito della proposta iniziale e nella fase che precede l'ammissione -, soltanto una "integrazione" al piano L. Fall., ex art. 161, comma 2, lett. e), (contenente l'analitica descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, che all'evidenza possono anche mutare nel corso del procedimento, per le ragioni più svariate, anche non dipendenti dal proponente), ovvero la produzione di nuovi documenti (L. Fall., art. 162, comma 1).

3.3.2. Anche successivamente al decreto di ammissione alla procedura reso dal tribunale è ammessa una modifica sostanziale della originaria proposta o del piano (oggi soltanto fino a quindici giorni prima dell'adunanza: L. Fall., art. 172, comma 2, come novellato dal D.L. 27 n. 83 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2015), ma alla proposta o al piano modificato deve sempre accompagnarsi una nuova relazione del professionista attestatore (L. Fall., art. 161, comma 3), tesa evidentemente a corroborare la fattibilità del piano come modificato.

3.3.3. Giammai, invece, è ammesso, per intuibili ragioni di tutela delle finalità, verso il tribunale e nei confronti del ceto creditorio, cui la relazione del professionista deve adempiere, che l'attestatore (indipendentemente dal fatto che si tratti, o meno, della medesima persona fisica che abbia redatto l'attestazione) possa modificare le già rese conclusioni in assenza di modifiche sostanziali della proposta o del piano, posto che l'attendibilità del suo elaborato (certamente valutabile dal giudice di merito. Cfr. Cass. n. 5653 del 2019) può sussistere, o meno, in un determinato momento temporale (e cioè esattamente all'atto del suo deposito nella cancelleria dell'ufficio giudiziario), ma non è certo suscettibile di "sopravvenire" in seguito, quali che siano le modifiche (nella specie, peraltro, ritenute inesistenti dalla corte distrettuale, con accertamento in fatto qui evidentemente insindacabile), pure rilevantissime, apportate dall'imprenditore alla proposta o al piano concordatario originari.

3.3.4. A ciò va solo aggiunto che, pure a voler considerare quell'attestazione sostanzialmente come un unicum, sebbene composta da due parti, proprio il contrasto esistente tra le differenti conclusioni di queste ultime, peraltro rese a brevissima distanza temporale l'una dall'altra, avrebbe innegabilmente inciso, in negativo, sull'indefettibile presupposto di chiarezza e coerenza che l'attestazione stessa avrebbe dovuto possedere per consentire ai creditori una effettiva e consapevole valutazione della proposta concordataria cui era riferita.

4. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto, restando le spese del giudizio di legittimità, fra le sole parti costituite, regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 - che, stante il tenore della pronuncia adottata, "sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto", mentre "spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento".

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la soc. coop. (*) al pagamento, in favore della curatela fallimentare controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020.