Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2575 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 02 Marzo 2009, n. 5018. Rel., est. Salvato.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Sentenza dichiarativa - Opposizione - In genere - Erede del debitore - Decorrenza del termine per l'opposizione - Dalla comunicazione della sentenza di fallimento - Fondamento.



Alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 151 del 1980) dell'art. 18, primo comma, della legge fall. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), il principio secondo cui il termine di quindici giorni per l'opposizione alla sentenza di fallimento non decorre"per il debitore" dalla data di affissione della stessa, ma dalla sua comunicazione ai sensi dell'art. 17 della legge fall., si applica anche all'erede del debitore medesimo, non essendo la sua posizione equiparabile, agli effetti di tale disposizione, a quella di qualsiasi altro terzo avente interesse all'opposizione, in quanto egli subentra al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, sostanziali e processuali; né tale conclusione muta, allorché l'accettazione dell'eredità sia avvenuta con beneficio di inventario. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



Massimario, art. 17 l. fall.

Massimario, art. 18 l. fall.


  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. SALVATO Luigi - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fallimento della s.d.f. "CICOIRA Francesco e LUONGO Angelo", nonché dei soci LUONGO Angelo, CICOIRA Virginia e CICOIRA Graziella, in persona del Curatore avv. LISSENA Tancredi - elettivamente domiciliati in ROMA, via XX Settembre, n. 3, presso lo studio del Prof. Avv. SANDULLI Michele, rappresentati e difesi dall'avv. MOSCARIELLO Sergio, in virtù di procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
ACOCELLA Alessandra, quale erede di CICOIRA Graziella elettivamente domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dal prof. avv. PREZIOSI Claudio, in virtù di procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
e
LUONGO Antonio, quale erede con beneficio di inventario di LUONGO Angelo - elettivamente domiciliato in ROMA, via A.Bertoloni, 55, presso lo studio dell'avv. CORBA Filippo Maria, dal quale è rappresentato e difeso, unitamente e disgiuntamente all'avv. MANFREDONIA Faustino, in virtù di procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
e
CICOIRA Virginia, in proprio e quale legale rappresentante della S.d.f. Francesco CICOIRA e Angelo LUONGO - elettivamente domiciliati in ROMA, via Chiana, 35, scala 3, int. 24, rappresentati e difesi dall'avv. MAZZEI Giancarlo, in virtù di procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
e
INPS - Istituto della Previdenza sociale;
MAFFUCCI Vito, DI MILIA Nicola, ZABATTA Pietro Luciano, FATONE Giuseppe, TARTAGLIA Canio, TARTAGLIA Giuseppe, DI GUGLIELMO Michele, RUSSO Canio, DI CECCA Raffaele, ZARRILLI Vito (nato il 29-7-46), DI MAIO Vincenzo e ZARRILLI Vito (nato il 14.9.61); DI CECCA Leonardo;
Banca della Campania s.p.a., già Banca Popolare dell'Irpinia;
Sacclà s.r.l.;
F.lli Ferrara Ceramica e Terrecotte s.r.l.;
Caritas Svizzera, Comitato Fondo di solidarietà del Cratere;
- intimati -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli depositata il 5 settembre 2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;
udito per il ricorrente l'avv. MOSCARIELLO Sergio, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; l'avv. PREZIOSI Claudio per la controricorrente ACOCELLA Alessandra, nella qualità, che ha concluso per il rigetto del ricorso; l'avv. MAZZEI Giancarlo per la controricorrente e ricorrente incidentale, CICOIRA Virginia, in proprio e nella qualità, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso, previa riunione dei ricorsi, per il rigetto del ricorso incidentale; accoglimento del primo motivo del ricorso principale, in subordine del secondo e quarto motivo, nonché del terzo motivo, con assorbimento del quinto motivo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Antonio Luongo, erede beneficiario di Angelo Luongo, con atto di citazione del 30 marzo 1999, proponeva opposizione avverso la sentenza del Tribunale di S.Angelo dei Lombardi del 5 marzo 1999, che aveva dichiarato il fallimento del suo dante causa, quale socio della s.d.f. "Francesco Cicoira e Angelo Luogo (infra, S.d.f.), chiedendone la riforma, sull'assunto che alla data della pronuncia era decorso il termine di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale relativo ad Angelo Luogo, deceduto il 23 novembre 1995 ed escluso dalla società il 31 agosto 1987.
Nel giudizio si costituiva il Curatore del fallimento e la Banca Popolare dell'Irpinia, contestando la fondatezza dell'opposizione. 1.1.- Graziella Cicoira, anch'essa dichiarata fallita con la sentenza sopra indicata, in quanto socia della S.d.f., con distinta citazione del 30 marzo 1999 proponeva opposizione avverso detta pronuncia, contestando la qualità di socia e deducendo, comunque, lo scioglimento del rapporto sociale oltre un anno prima della sentenza. Nel giudizio si costituivano il Curatore del fallimento, la Banca Popolare dell'Irpinia e l'INPS, contestando la fondatezza dell'opposizione.
Si costituivano, inoltre, Maffucci Vito, Di Milia Nicola, Zabatta Pietro Luciano, Fatone Giuseppe, Tartaglia Canio, Tartaglia Giuseppe, Di Guglielmo Michele, Russo Canio, Di Cecca Raffaele, Zarrilli Vito, Di Maio Vincenzo, Zarrilli Vito e Di Cecca Leonardo, eccependo il difetto di legittimazione passiva.
1.2.- Virginia Cicoira, quale socia e legale rappresentante della S.d.f., con atto di citazione dell'8 aprile 1999, proponeva opposizione avverso la citata sentenza, contestando i presupposti della dichiarazione di fallimento.
Nel giudizio si costituivano il Curatore del fallimento, la Banca Popolare dell'Irpinia e Leonardo Di Cecca, contestando la fondatezza dell'opposizione.
1.3.- Il Tribunale di S.Angelo dei Lombardi, con sentenza del 17 maggio 2002: dichiarava inammissibile l'opposizione di Luongo Antonio, in quanto proposta oltre il termine della L.Fall., art. 18;
rigettava l'opposizione proposta da Cicoira Graziella, dalla S.d.f. e da Cicoira Virginia, condannando i soccombenti a pagare le spese del giudizio.
2.- Avverso detta sentenza proponeva appello Cicoira Graziella, contestando la qualità di socia della S.d.f. e comunque deducendo la cessazione del vincolo sociale oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento.
Nel giudizio si costituivano la S.d.f. e Cicoira Virginia, le quali, con appello incidentale, chiedevano la revoca del fallimento, sull'assunto che la società svolgeva attività artigianale. Si costituivano altresì l'INPS, nonché Maffucci Vito, Di Milia Nicola, Zabatta Pietro Luciano, Fatone Giuseppe, Tartaglia Canio, Tartaglia Giuseppe, Di Guglielmo Michele, Russo Canio, Di Cecca Raffaele, Zarrilli Vito, Di Maio Vincenzo, Zarrilli Vito, contestando, sotto diversi profili, l'appello. 2.1.- Antonio Luongo, nella citata qualità, proponeva appello con atto del 30 gennaio 2003, deducendo l'ammissibilità dell'opposizione e la sua fondatezza nel merito.
Si costituiva nel giudizio Leonardo Di Cecca, chiedendo il rigetto del gravame.
2.2.- La Corte d'appello di Napoli, riuniti i giudizi, con sentenza del 5 settembre 2005:
a) in accoglimento dell'appello di Graziella Cicoira e di Luongo Antonio, revocava la dichiarazione di fallimento di entrambi;
b) in parziale accoglimento dell'appello incidentale di Cicoira Virginia rideterminava la quantificazione delle spese del giudizio di primo grado liquidate in favore delle parti vittoriose costituite, rigettandolo nel resto;
c) condannava Cicoira Virginia a pagare le spese del secondo grado in favore del fallimento della S.d.f., dichiarando compensate le spese del grado tra l'appellante principale e le altre parti. 2.3.- Per quanto qui interessa, la sentenza della Corte territoriale:
a) premetteva che Graziella Cicoira, con citazione del 7 ottobre 1994, anteriore di quattro anni rispetto alla sentenza di fallimento, aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Avellino la s.d.f., la CCIAA di Avellino, la Banca Popolare dell'Irpinia e l'INPS, al fine di ottenere sentenza che accertasse l'insussistenza della qualità di socia della S.d.f. ed ordinasse alla CCIAA la cancellazione della relativa iscrizione. La notificazione della citazione era stata preceduta da due diffide di Virginia Cicoira e Graziella Cicoira alla CCIAA di Avellino, diretta ad ottenere la rettifica dell'iscrizione con la quale, ad istanza di Luongo Angelo, erano state indicate quali socie della S.d.f.. Secondo il giudice del merito, l'atto di citazione manifestava la volontà di Graziella Cicoira di recedere, come ritenuto anche dal Tribunale, reputando inoltre - in difformità dalla pronuncia di primo grado - che la circostanza che con tale atto erano stati convenuti in giudizio i creditori a lei noti e che tale atto era stato depositato nel corso dell'istruttoria prefallimentare costituissero mezzi idonei, ai sensi dell'art. 2290 c.c., per portare a conoscenza dei creditori la volontà di recedere.
Pertanto, poiché alla data della sentenza di fallimento (5 marzo 1999) era decorso oltre un anno dalla pubblicizzazione del recesso, il fallimento non avrebbe potuto essere dichiarato ed andava perciò revocato.
b) Riteneva ammissibile l'opposizione proposta da Luongo Antonio, affermando che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 18, nella parte in cui faceva decorrere il termine di 15 giorni per l'opposizione alla sentenza di fallimento da parte del fallito dalla data di affissione della medesima, concerne anche gli eredi, non essendo la loro posizione equiparabile a quella degli altri terzi aventi interesse a proporre opposizione, comportando una differente esegesi una ingiustificata disparità di trattamento tra fattispecie omologhe.
Nel merito, accoglieva l'opposizione, poiché Angelo Luongo era deceduto il 23 novembre 1995, oltre un anno prima del fallimento. c) Rigettava l'appello proposto da Cicoira Virginia, in proprio e quale legale rappresentante della s.d.f., escludendo la natura artigianale della società, poiché la prevalenza del lavoro dei soci risultava esclusa dagli elementi posti in luce dalla sentenza di primo grado e dalle risultanze delle informazioni assunte a mezzo della Guardia di finanza.
d) Accoglieva l'opposizione concernente la quantificazione delle spese di lite, ritenendo che le stesse dovessero essere quantificate avendo riguardo allo scaglione delle cause di valore indeterminabile. 3.- Per la cassazione di detta sentenza hanno proposto ricorso il Fallimento della s.d.f. "Francesco Cicoira e Angelo Luongo", nonché dei soci Angelo Luongo, Virginia Cicoira e Cicoira Graziella, in persona del Curatore avv. LISSENA Tancredi (di seguito, Fallimento), affidato a cinque motivi.
Hanno resistito con controricorso Alessandra Acocella, quale erede di Graziella Cicoira, nonché Antonio Luongo, quale erede beneficiario di antonio luongo; non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.
4.- Questa Corte, con ordinanza resa all'udienza del 19 maggio 2008, ha ordinato la rinnovazione della notificazione nei confronti della S.d.f. Francesco Cicoira e Angelo Luongo, in persona del legale rappresentante Cicoira Virginia e di quest'ultima in proprio, assegnando termine di 50 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza. I ricorrenti hanno provveduto all'integrazione del contraddittorio, mediante notifica in data 4 luglio 2008.
Hanno resistito con controricorso Cicoira Virginia, in proprio e quale legale rappresentante della S.d.f. Francesco Cicoira e Angelo Luongo, i quali hanno proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Ha depositato memoria il Curatore del Fallimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- I ricorsi, principale ed incidentale, avendo ad oggetto la stessa sentenza, vanno riuniti.
1.1.- Il ricorrente principale, come precisato in narrativa, ha tempestivamente proceduto alla notifica del ricorso a Cicoria Virginia, in proprio e nella qualità, nel termine a questo fine fissato dall'ordinanza del 19 maggio 2008.
L'eccezione di inammissibilità sollevata dai ricorrenti incidentali, sul rilievo che l'atto mancava dell'indicazione "atto di integrazione del contraddittorio" è manifestamente infondata, tenuto conto che, nella specie era stata disposta la rinnovazione della notificazione. Peraltro, tanto va rilevato, senza considerare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, anche nel caso dell'atto di integrazione del contraddittorio davanti alla Corte di cassazione l'omissione della indicazione di "atto di integrazione del contraddittorio" non incide sulla validità del medesimo (Cass. n. 9944 del 2004; n. 4144 del 2003; n. 8464 del 1999; v. anche Cass. n. 19395 del 2004)
2.- Il Fallimento, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2285 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria ed erronea (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che la citazione di Graziella Cicoira diretta ad ottenere l'accertamento dell'insussistenza della qualità di socia fosse idonea manifestare la volontà di recedere dalla società, in quanto sarebbe invece logicamente in contrasto con detta volontà.
Con il secondo motivo, è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 2290 c.c., art. 100 disp. att. c.c., nel testo vigente sino al 31.12.2003, L. Fall., art. 15, (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria ed erronea (art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo che, anche ritenendo l'atto di citazione sopra indicato quale atto di recesso dalla società, esso non sarebbe stato portato a conoscenza dei terzi, mediante atti idonei a detto fine. Non sarebbe infatti tale il deposito della citazione nel corso dell'istruttoria prefallimentare, anche per la segretezza che caratterizza tale fase, sicché la motivazione sul punto sarebbe insufficiente.
2.1.- I motivi, da esaminare congiuntamente, perché giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati.
2.1.1.- In linea preliminare, va escluso che, come eccepito da Alessandra Acocella, sulla interpretazione della citazione indicata nei motivi in esame quale atto di recesso si sia formato un giudicato interno.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, si da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente. Siffatta autonomia manca sia nelle mere argomentazioni, sia quando si verte in tema di valutazione di un presupposto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (tra le più recenti, Cass. n. 23747 del 2008; n. 726 del 2006). Ed è questa l'ipotesi ricorrente nella specie, poiché l'interpretazione dell'atto di citazione come diretto esclusivamente a negare l'acquisto della qualità di socio, ovvero anche come atto di recesso, costituiva valutazione del presupposto per accertare l'esistenza delle condizioni per l'assoggettabilità a fallimento di Graziella Cicoira.
2.1.2.- Nel merito, la sentenza impugnata ha correttamente affermato, in riferimento alla L. Fall., art. 147, nel testo qui applicabile ratione temporis, che la decorrenza del termine annuale per la dichiarazione del fallimento del socio receduto decorre dalla data in cui lo scioglimento del rapporto del socio con la società è portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, dando corretta applicazione ad un principio più volte affermato da questa Corte (per tutte, Cass. n. 18927 del 2005; n. 10268 del 2004; v. anche Cass. n. 19304 del 2006).
Siffatto principio, nonostante la denuncia di un vizio di violazione di legge, non è stato affatto contestato con i motivi in esame, i quali censurano esclusivamente: il primo motivo, la contraddittorietà ed illogicità in cui sarebbe incorsa la pronuncia nel desumere dalla citazione, diretta a negare l'assunzione della qualità di socia, la volontà di risolvere il rapporto sociale; il secondo motivo, l'accertamento di fatto operato dal giudice del merito, secondo il quale il recesso sarebbe stato portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei.
Si tratta, come è chiaro, di censure che denunciano entrambe un vizio di motivazione, in quanto concernenti, rispettivamente, l'interpretazione della citazione sopra richiamata e l'idoneità del mezzo utilizzato rispetto al fine di portare a conoscenza dei terzi il recesso.
Al riguardo, giova quindi ribadire che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, non potendo detto vizio consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del, merito rispetto a quello preteso dalla parte (per tutte, Cass. n. 15264 del 2007; n. 13242 del 2007), diversamente risolvendosi il relativo motivo in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito, al quale neppure può imputarsi d'avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi.
Nella specie, nessuno dei mezzi in esame evidenzia un vizio di motivazione censurabile in questa sede.
2.1.3.- Relativamente alle doglianze svolte nel primo motivo, va osservato che nessuna contraddittorietà logica si riscontra nella qualificazione della citazione come diretta comunque a manifestare anche la volontà di recedere dalla società. La contestazione della assunzione della qualità di socio bene poteva essere interpretata quale atto diretto ad ottenere, in ogni caso, una pronuncia di accertamento della sopravvenuta cessazione dell'eventuale qualità di socio. Non sussiste, infatti, incompatibilità logica tra la volontà di ottenere l'accertamento dell'estraneità alla società e l'intento di recedere, poiché il secondo configura una implicazione minore del risultato avuto di mira con la prospettazione svolta in linea principale, avendo la Cicoira, in definitiva, inteso ottenere l'accertamento della inesistenza del rapporto con la società, almeno a far data dagli eventi dedotti con la citazione.
Peraltro, il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, neppure ha riportato il contenuto della citazione e dedotto la violazione di specifici canoni ermeneutici, così da evidenziare, sotto questo profilo, un vizio di motivazione rilevabile in questa sede.
2.1.4.- In relazione alle censure svolte nel secondo motivo, va anzitutto ribadito che l'apprezzamento compiuto dal giudice del merito circa la idoneità del mezzo usato per portare a conoscenza dei terzi il recesso di un socio dalla società di persone è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici (Cass. n. 14962 del 2004), che è quanto si riscontra nel caso qui in esame.
La sentenza impugnata ha ritenuto l'idoneità dei mezzi posti in essere dalla Cicoira, osservando che questa, a seguito del vano inoltro di due diffide alla CCIAA dirette ad ottenere la rettifica dell'iscrizione avvenuta su istanza di Luongo Angelo, aveva instaurato un giudizio avente ad oggetto tale accertamento, proponendolo non solo nei confronti della CCIA e dei soci, ma anche dei "creditori a lei noti", ciò facendo quattro anni prima della sentenza di fallimento (evidenziando, implicitamente, ma chiaramente, l'inesistenza di un intento meramente elusivo dell'assoggettamento alla procedura concorsuale).
Inoltre, ha sottolineato che questo atto era stato prodotto anche nel corso dell'istruttoria prefallimentare, "in modo da rendere edotti della situazione gli altri eventuali creditori della società", concludendo nel senso dell'idoneità di detti mezzi a portare a conoscenza dei creditori l'avvenuto recesso.
Si tratta di una motivazione sufficiente, congrua e logicamente coerente, in quanto risulta chiara l'astratta idoneità degli atti in questione a portare a conoscenza dei creditori l'avvenuta cessazione del rapporto con la società.
Siffatta motivazione è stata censurata con un primo argomento, consistente nella necessità di esteriorizzare ai creditori la volontà di recedere, il quale non considera che un atto giudiziale avente quale unico oggetto proprio questo scopo - in virtù di un'interpretazione sopra ritenuta incensurabile - costituisce, all'evidenza, modalità idonea a detto fine.
Il secondo argomento, consistente nella segretezza dell'istruttoria prefallimentare, che avrebbe impedito ai creditori di avere conoscenza del recesso, non considera che la sentenza ha valorizzato la conoscenza che di tale atto potevano avere i creditori istanti per il fallimento, rispetto ai quali essa non era invocabile. Pertanto, la doglianza, per sostanziarsi nella denuncia di difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, quindi per evidenziare un vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, avrebbe dovuto prospettare che era stata dedotta nella fase di merito l'esistenza di creditori ulteriori rispetto a quelli convenuti nel giudizio ordinario, o che avevano presentato istanza di fallimento, titolari di crediti anteriori alla data in cui il recesso era stato pubblicizzato nei modi sopra indicati, ovvero che rispetto ad alcuni di essi la sentenza di fallimento era sopravvenuta prima della maturazione dell'anno dal quale gli atti erano stati versati nella procedura prefallimentare. Tuttavia la censura non è stata affatto articolata in detti termini, con la conseguenza che difetta anche la riferibilità della denunciata carenza ad un punto decisivo della controversia.
3.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18, (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria ed erronea (art. 360 c.p.c., n. 5)
Secondo l'istante, la L. Fall., art. 18, nel testo risultante dalla sentenza di parziale illegittimità costituzionale n. 151 del 1980, comporta che il termine per la proposizione dell'opposizione alla sentenza di fallimento è di 15 giorni dalla data di affissione per i terzi diversi dal debitore e tale dovrebbe ritenersi anche l'erede, il quale non subentra nella posizione del fallito, soprattutto se, come nella specie, abbia accettato l'eredità con beneficio di inventario.
3.1.- Il motivo è infondato
3.1.1.- La Corte territoriale ha ritenuto ammissibile l'opposizione proposta dall'erede di Angelo Luongo oltre il termine di 15 giorni dalla affissione della sentenza di fallimento, affermando che la posizione del medesimo non potrebbe "essere equiparata, agli effetti della disposizione di legge in oggetto L. Fall., art. 18, a quella di qualsiasi altro terzo avente interesse all'opposizione", pena una ingiustificata disparità di trattamento¯, in virtù di una esegesi che lascerebbe "senza adeguata tutela situazioni che, in caso di sopravvivenza del fallito, avrebbero potuto essere fatte valere dal medesimo".
Questa argomentazione è stata non fondatamente censurata con la sola considerazione che l'erede, per la sua "posizione di terzietà" e per la circostanza che "non subentra nella posizione del de cuius fallito e non risente alcun effetto dalla sentenza" di fallimento, specie se ha accettato l'eredità con il beneficio di inventario, non potrebbe giovarsi della decorrenza del termine stabilita per il fallito. Al riguardo, va premesso che la L. Fall., art. 18, comma 1, nel testo qui applicabile ratione temporis, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, limitatamente alla parte in cui stabiliva "per il debitore" la decorrenza del termine di 15 giorni, per proporre opposizione, dalla data di affissione della sentenza di fallimento (sent. n. 151 del 1980).
In seguito, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la stessa questione sollevata in riferimento ai soggetti diversi dal debitore (sent. n. 273 del 1987), con pronuncia che non ha preso in esame il profilo della applicabilità della L. Fall., art. 18, nel testo risultante dalla sentenza n. 151 del 1980, anche agli eredi del debitore.
La decisione di siffatta questione richiede, quindi, di interpretare il citato sostantivo, introdotto nella norma in esame dalla citata sentenza della Corte costituzionale, procedendo ad un'esegesi diretta ad accertare se la situazione dell'erede del "debitore" sia caratterizzata da profili che permettano di ricondurla a quella di quest'ultimo. Siffatta esegesi va svolta alla luce della regola che impone di privilegiare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, nel testo risultante dalla richiamata dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale. Su detta questione non risultano precedenti di questa Corte, che ha deciso quella, diversa, concernente l'obbligo dell'audizione dell'erede nella fase prefallimentare risolvendola negativamente (salvo che l'erede non sia imprenditore commerciale, o comunque lo diventi in seguito alla prosecuzione dell'impresa ereditaria). Le pronunce che l'hanno affrontata hanno escluso l'obbligo della preventiva audizione, benché abbiano ritenuto sussistente un interesse, morale e patrimoniale, dell'erede ad evitare l'assoggettamento dei beni ereditari al soddisfacimento concorsuale dei creditori del de cuius. La conclusione è stata affermata valorizzando le circostanze che, in detta fase, i poteri di indagine del Tribunale sono preordinati all'accertamento dei presupposti del fallimento, nessuno dei quali incide in modo diretto ed immediato sulla posizione dell'erede e che questo accertamento non "reca ad esso un pregiudizio eliminabile soltanto attraverso la sua partecipazione all'istruttoria prefallimentare" (Cass. n. 2674 del 2000; n. 5869 del 1993; cfr. anche Cass. n. 2594 del 2006). Proprio quest'ultima puntualizzazione rende chiara la specificità della soluzione offerta, concernente appunto la sola fase prefallimentare, poiché le pronunce, significativamente, hanno sottolineato l'esistenza di un interesse diretto dell'erede, e la sua rilevanza, osservando che "non è, poi, contestabile l'azionabilità, a favore dell'erede escluso, del rimedio dell'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell'art. 18 della legge fallimentare" (Cass. n. 5869 del 1993).
La rilevanza di siffatto interesse e la peculiarità della posizione dell'erede, tali da farne escludere l'omologazione a tutti gli altri soggetti che possono proporre opposizione L. Fall., ex art. 18, è chiara, in linea generale, per la considerazione, del tutto pacifica, che l'erede non può qualificarsi terzo rispetto al de cuius, in quanto egli subentra al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, sostanziali e processuali (sotto diversi profili, tra le altre, Cass. n. 5875 del 1997; n. 2563 del 2003; n. 8952 del 2000; n. 7884 del 2008).
Tanto accade anche nel caso dell'erede di un imprenditore dichiarato fallito dopo il decesso, sebbene il fallimento determini l'acquisizione del patrimonio relitto all'attivo fallimentare e la separazione del medesimo da quello degli eredi (se tale effetto non sia già stato ottenuto mediante l'accettazione con beneficio d'inventario), al fine di permettere ai creditori dell'imprenditore defunto, ammessi al fallimento, di soddisfarsi in via preferenziale rispetto ai legatari e ai creditori degli eredi (Cass. n. 12846 del 1998; n. 4053 del 1987), fermo restando che una serie di obblighi previsti a carico del fallito gravano sull'erede e, tra questi - avendo riguardo pur solo a quelli in ordine ai quali non sussiste controversia - vanno ricordati gli obblighi stabiliti del L. Fall., artt. 42 - 45.
Analogamente, colui che accetta l'eredità con beneficio d'inventario, per ciò solo neppure può essere ritenuto terzo. Infatti, egli è e resta erede, sia pure con la rilevante differenza, rispetto al caso di accettazione pura e semplice, della distinzione dei patrimoni e della produzione degli effetti indicati dall'art. 490 c.c., comma 2. Siffatta accettazione non comporta il venire meno della responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti del de cuius, ma soltanto il diritto a non rispondere al di là dei beni ereditati. Ed è appunto per questa posizione che l'accettazione dell'eredita con beneficio di inventario neppure determina il venire meno della legittimazione passiva dell'erede beneficiario per una controversia relativa ai diritti patrimoniali di cui il curatore fallimentare si sia disinteressato, fatti valere nei confronti del patrimonio del de cuius (Cass. n. 62 del 1980).
Ne consegue che la posizione del debitore è differente da quella degli altri interessati all'opposizione (in particolare, dei creditori) ed è omologabile a quella del debitore, conclusione questa già da sola sufficiente a far ritenere che anche per il predetto il termine in esame decorra dalla data della comunicazione della sentenza di fallimento. Siffatta interpretazione è confortata dalla considerazione che le sentenze della Corte costituzionale n. 151 del 1980 e n. 273 del 1987, hanno dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 18, nella parte in cui stabilisce la decorrenza del termine per l'opposizione dalla data dell'affissione per gli interessati diversi dal debitore, valorizzando la non identificabilità di questi, e cioè una ragione non evocabile in relazione all'erede del fallito. Peraltro, la considerazione della posizione dell'erede e della sua identificabilità inducono a reputare che l'interpretazione qui affermata sia la sola costituzionalmente adeguata, tenuto conto della costante giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il diritto di difesa ed il principio del giusto processo (art. 24 Cost., comma 2, Cost.; art. 111 Cost.) impongono di ritenere che la scelta dell'affissione, quale forma di pubblicità idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione di un atto, può essere giustificata solo dalla difficoltà di individuare coloro che possono avere interesse a proporre l'impugnazione stessa, risultando priva, invece, di razionale giustificazione se riferita a soggetti preventivamente individuati dal legislatore (in riferimento a molteplici norme della legge fallimentare, tra le altre, sentenze n. 154 del 2006, in relazione alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; n. 224 del 2004; n. 211 del 2001; oltre, ovviamente, la sentenza n. 151 del 1980; per completezza, vanno poi ricordate le pronunce che hanno comunque affermato la rilevanza della comunicazione, sentenze n. 201 del 1993, n. 538 del 1990, n. 881 del 1988, n. 102 del 1986, n. 303 del 1985, n. 155 del 1980).
In applicazione di detto principio, la pronuncia impugnata è incensurabile nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l'opposizione di Antonio Luongo, proposta con citazione notificata il 30 marzo 1999, e cioè oltre il termine di quindici giorni dall'affissione, ma entro il termine di quindici giorni dalla data di "notifica per estratto" (pg. 23 della sentenza, non è in questione l'eventuale avvenuta comunicazione della pronuncia) della sentenza di fallimento (16 marzo 1999)
4.- Il Fallimento, con il quarto motivo, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2290 c.c., art. 100 disp. att. c.c., nel testo vigente sino al 31.12.2003, L. Fall., artt. 10 e 147 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria ed erronea (art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo che, nel caso di decesso, il termine dell'anno entro il quale il fallimento deve essere dichiarato decorrerebbe dalla data di iscrizione del medesimo nel Registro delle imprese. 4.1.- Il motivo è inammissibile.
4.1.1.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuità, qualora una questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la propone in sede di legittimità ha l'onere, al fine di evitare l'inammissibilità, per novità, della censura, di allegarne l'avvenuta deduzione nella fase di merito, precisando in quale atto ciò abbia fatto, così da dare modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima ancora di esaminare nel merito la questione (per tutte, Cass. n. 20518 del 2008; n. 18440 del 2007; n. 25546 del 2006).
Siffatto onere non è stato adempiuto, come sarebbe stato necessario, dato che nella sentenza non risulta affatto trattata la questione della avvenuta iscrizione dell'atto di decesso di Luongo Angelo (avvenuto il 23 novembre 1995, mentre il fallimento è stato dichiarato con sentenza del 5 marzo 1999) e della rilevanza di tale adempimento al fine della maturazione dell'anno entro il quale può essere dichiarato il fallimento dell'imprenditore (o del socio illimitatamente responsabile) defunto, con conseguente inammissibilità del motivo.
L'infondatezza del terzo motivo e l'inammissibilità del quarto motivo, conducono a ritenere assorbita la questione posta da Luongo Antonio nel controricorso, in ordine alla esclusione dalla società di Angelo Luongo, senza che occorra neppure vagliarne l'ammissibilità.
5.- Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 585 del 1994 (artt. 4, 5 e 6) (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria ed erronea (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui, senza motivazione, il decreto ha ridotto le "spese vive" in Euro 262,00, anziché in Euro 524,56, che era la somma richiesta, liquidando i diritti e gli onorari in misura inferiore ai minimi di tariffa. Ad avviso del ricorrente, anche "rielaborando la nota spese secondo il criterio dell'indeterminatezza, i diritti ammonterebbero ad Euro 3.177,29 e gli onorari ascenderebbero ad Euro 10.070,99" e la Corte territoriale avrebbe dovuto rendersi conto della complessità della causa, considerando che la parcella era stata redatta in modo analitico. In questa parte, la sentenza non reca l'esposizione delle ragioni della liquidazione e della violazione dei minimi della tariffa.
5.1.- Il motivo - che non censura il principio, al quale correttamente ha fatto riferimento la sentenza, secondo il quale, ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari spettanti al difensore in sede di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, il valore della causa va considerato indeterminabile (Cass. S.U. n. 16300 del 2007; Cass. n. 16032 del 2008)- è inammissibile.
5.1.1.- Questa Corte ha costantemente affermato che la parte che censura in sede di legittimità la liquidazione delle spese processuali è tenuta ad indicare in modo specifico ed autosufficiente quali siano le voci della tabella forense non applicate dal giudice del merito, elencando in dettaglio le prestazioni effettuate, per voci ed importi, così consentendo il controllo di tale error in iudicando, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti (Cass. n. 3651 del 2007; n. 2626 del 2004), pena l'inammissibilità del motivo (Cass. n. 17059 del 2007; n. 8160 del 2001).
La doglianza richiede, inoltre, che dall'erronea applicazione delle voci della tariffa applicata sia conseguita la lesione del principio dell'inderogabilità della medesima ed il ricorrente neppure può limitarsi alla generica denuncia dell'avvenuta violazione di detto principio o del mancato riconoscimento di spese che si asserisce essere state documentate; per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tenuto conto della natura del vizio, devono essere dunque specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonché le singole spese non riconosciute (Cass. n. 14744 del 2007; n. 9082 del 2006; n. 13417 del 2001). Nella specie, questo onere non risulta adempiuto, poiché il ricorrente si è limitato ad indicare genericamente (e globalmente) gli importi che, a suo dire, avrebbero dovuto essere liquidati, senza precisare ed indicare le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore asseritamente violate, la cui mancata considerazione avrebbe comportato una violazione dei minimi, con conseguente inammissibilità del mezzo.
6.- Virginia Cicoira, in proprio e nella qualità sopra indicata, con un unico motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2083 c.c., L. Fall., art. 1, comma 2, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
I ricorrenti, dopo avere richiamato le nozioni di piccolo imprenditore e di impresa artigianale posta dalla L. n. 860 del 1956, trascrivendo le relative norme nella parte in cui stabiliscono il numero massimo di dipendenti, concludono affermando: "non pare che i primi giudici abbiano fatto corretta applicazione del substrato normativo che qui interessa, per di più argomentando in modo insufficiente ed apodittico circa la ritenuta dimensione non artigianale della s.d.f. Cicoira-Luongo", in quanto "il numero dei dipendenti come risultante dalla informativa della Guardia di finanza è inferiore al limite legale", "l'esposizione debitoria è la risultante della ben nota pratica bancaria dell'anatocismo", "l'entità dei finanziamenti richiesti è circostanza che non può essere presa in considerazione, trattandosi di argomento inconferente, poiché detti finanziamenti a causa del fallimento non sono mai stati ottenuti".
6.1.- Il ricorso incidentale è ammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'impugnazione proposta per prima assume carattere ed effetti di impugnazione principale, e determina la pendenza dell'unico processo nel quale sono destinate a confluire, per essere decise simultaneamente, tutte le successive impugnazioni eventualmente proposte contro la medesima sentenza. Pertanto, il ricorso per cassazione successivo al primo assume sempre carattere incidentale, ed è ammissibile, qualora sia stato proposto entro il termine di cui all'art. 371 c.p.c., anche se non sia stato rispettato il termine di cui all'art. 327 c.p.c., configurandosi in tal caso come impugnazione incidentale tardiva (per tutte, Cass. n. 14969 del 2007).
In applicazione di detto principio, l'eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale, proposta dal Curatore del fallimento, è infondata, poiché il ricorso incidentale è stato proposto nell'osservanza del termine dell'art. 371 c.p.c..
6.1.1.- Il ricorso incidentale è ammissibile; tuttavia, è inammissibile l'unico motivo nel quale risulta articolato. Il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, a pena d'inammissibilità, deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, dato che, in mancanza, non risulta consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (tra le tante, Cass. n. 214 del 2007; n. 20325 del 2006; n. 21659 del 2005).
La censura, nella parte in cui denuncia un vizio di violazione di legge, in contrasto con detto principio, si risolve nella mera trascrizione delle norme sopra indicate (da pg. 3 a pg. 5 del ricorso), delle quali si afferma poi assertivamente la violazione, con sua conseguente inammissibilità.
Il motivo, nella parte in cui deduce l'erronea ricognizione della fattispecie concreta ed un vizio di motivazione, in contrasto con i principi sopra richiamati in ordine alle modalità da osservare nella denuncia del medesimo (v. supra 2.1.2), consiste, come risulta dalla trascrizione del mezzo, nella mera contrapposizione di un apprezzamento di fatto difforme rispetto a quello emotivamente svolto dal giudice del merito. Inoltre, i ricorrenti incidentali evocano risultanze processuali che avrebbero dovuto dimostrare il vizio della motivazione, omettendo del tutto, in violazione del principio di autosufficienza, sia di esplicitarle, sia di riportarle, trascrivendole, così da non consentire a questa Corte di controllare ex actis la astratta rilevanza di tale asserzione prima ancora di esaminare nel merito la questione, sicché il mezzo è inammissibile. In definitiva, i ricorsi vanno rigettati.
Sussistono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese della presente fase, in considerazione della natura e complessità di alcune delle questioni controverse. P.Q.M.
La Corte:
Riuniti i ricorsi, li rigetta e dichiara compensate tra le parti le spese della presente fase.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2009