Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 365 - pubb. 01/01/2007

Banca, contratto di commissione, dovere di correttezza e buona fede

Cassazione civile, sez. III, 09 Gennaio 1997, n. 108. Est. Nicastro.


Intermediazione finanziaria – Contratto di commissione – Dovere di informazione dell’operatore professionale – Sussistenza.



La buona fede che deve presiedere alla formazione dei contratti in generale e di quelli di mandato e commissione in particolare comporta che il soggetto - sia esso un soggetto individuale, quale un agente di cambio, o collettivo, quale una banca - cui viene affidato l'incarico di acquistare titoli, e che, esercitando professionalmente tale attività, conosce i limiti oggettivi dell'operazione, sia tenuto, prima di assumere l'incarico (e cioè nel corso della stipula) ad informare i clienti in ordine ai titoli stessi. Tale obbligo può venir meno soltanto allorché il committente si presenti già pienamente informato, senza che sia possibile, in proposito, fare esclusivo riferimento alla natura dei titoli.


 


omissis

Fatto

Con ricorso del 16 maggio 1985 Eugenio e Giorgio Pennè, premesso che la Banca Popolare di Lodi, da loro incaricata, nel 1981, dell'acquisto di duemila azioni della società Cooperativa Farmaceutica (CO.FA.), per le quali avevano versato la somma di L. 18.078.230, non ne aveva procurato la consegna, e che il contratto doveva ritenersi, pertanto, risolto, chiedevano al Presidente del Tribunale di Lodi ingiungersi alla Banca la restituzione di detta somma, oltre accessori di legge.

Avverso il decreto, provvisoriamente esecutivo, la Banca, eseguito il pagamento, proponeva opposizione contestando sia l'ammissibilità del procedimento monitorio, sia l'inadempimento imputatole.

Costituitosi il contraddittorio, i Pennè sostenevano la violazione degli obblighi incombenti sulla mandataria, con conseguente legittimità della "revoca - recesso del mandato" e chiedevano, in ogni caso, dichiararsi risolto "per fatto e colpa" dell'opponente il contratto, ex art. 1735 c.c., con la sua condanna al risarcimento dei danni.

Nel processo interveniva volontariamente Giuseppe Pennè, padre degli opposti, per sostenerne le ragioni; assumeva che la somma impiegata nell'acquisto dei titoli era stata prelevata dal proprio deposito in conto corrente presso la Banca , e di avere consentito al prelievo a quel sol fine, in difetto del cui raggiungimento la somma gli doveva essere restituita. L'intervento chiedeva quindi la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

Con sentenza del 25 novembre 1988 - 18 marzo 1989, il Tribunale accoglieva l'opposizione revocando il decreto ingiuntivo e condannando Eugenio e Giorgio Pennè alla restituzione della somma loro corrisposta dalla Banca; respingeva la domanda dell'intervenuto.

La sentenza, appellata da tutti i Pennè, veniva confermata dalla Corte di appello di Milano con quella ora impugnata, del 18 maggio 1993 - 15 marzo 1994.

Premesso che con la comparsa conclusionale gli appellanti avevano provveduto ad emendare le istanze conclusive, limitandole alla risoluzione del contratto di commissione per colpa della Banca Popolare di Lodi, sia in quanto non aveva loro trasferito la proprietà e procurato la disponibilità materiale delle azioni, sia, in subordine, per inadempimento ai doveri di informazione inerenti alla stipulazione ed all'esecuzione del contratto (con implicita rinuncia delle altre domande ed eccezioni), con riferimento agli specifici motivi di gravame la Corte riteneva che:

a) il decreto ingiuntivo può trovare fondamento esclusivamente su un diritto già sorto e non già su una pronuncia implicita di sentenza costitutiva di risoluzione per inadempimento contrattuale;

b) sulla natura del contratto - di commissione e non di compravendita (com'era ormai pacifico secondo gli stessi committenti, almeno "nella fase terminale" del giudizio) - non incidevano le locuzioni talora improprie, dei fissati bollati e delle cd.e "contabili", aventi funzione essenzialmente informativa e documentaria, secondo gli usi bancari e di borsa;

c) la libera commerciabilità dei titoli, a norma dell'art. 2523 c.c., non comporta necessariamente l'efficacia del contratto di compravendita nei confronti della società, qualora non sia stata autorizzata dagli amministratori. Dalla documentazione in atti risultava che la Banca aveva acquisito la disponibilità delle azioni, a mezzo di un agente di cambio, ed aveva richiesto alla società emittente, che le deteneva, la relativa intestazione, inoltrando la domanda di ammissione a soci dei Pennè. Era stata la società ad opporre che, a termini dell'art. 15 dello statuto sociale, le azioni non potevano essere cedute senza suo consenso, invitando a sanare "la complessa situazione creatasi". Il corretto svolgimento dell'incarico esigeva la semplice messa a disposizione della società emittente dei titoli necessari per il completamento della cessione intercorsa tra gli interessati, attraverso le autorizzazioni degli amministratori, fasi autonome ed integrative, di cui non potevasi far carico alla Banca;

d) l'intendimento di addivenire ad un investimento sicuro attiene ai motivi soggettivi, tenuto anche conto che l'ordine, per le sue peculiarità - concerneva, infatti, titoli di società non quotata in borsa e nemmeno negoziati al cd. mercato ristretto (estranei quindi ai mercati regolamentati) -, presupponeva scelte specifiche e selettive, per le quali - a prescindere dal fatto che la l. 2 gennaio 1991, n. 1, è entrata in vigore solo successivamente - non incombeva all'intermediaria alcuno specifico obbligo di informazione, quale quello proprio dei promotori di servizi finanziari.

e) la suesposte conclusioni comportavano anche il rigetto della domanda di Giuseppe Pennè. A prescindere dalla contraddittorietà delle varie posizioni assunte dall'intervenuto, la Banca aveva eseguito, infatti, l'ordine di acquisto delle azioni.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i Pennè, affidandosi a sette motivi, illustrati da successiva memoria.

La Banca Popolare di Lodi si è limitata a depositare procura e fascicolo delle precedenti fasi di giudizio.


Diritto

omissis

3. - Con il quarto ed il quinto (autonomo, anche se non numerato) motivo, e con riferimento al contratto di commissione ritenuto dalla Corte di Appello, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 1705, 1710, c. 2, 1715, 1718 e 1731 c.c., nonché l'omesso esame di elementi decisivi e contraddittorietà della motivazione, con riferimento agli obblighi di diligenza propri del mandatario , cui va assimilato il commissionario, ed al loro adempimento:

a) gli obblighi di diligenza, cui è tenuto il commissionario, investirebbe - secondo i ricorrenti - anche la fase postcontrattuale, sino al raggiungimento dello scopo da parte dei committenti. La Banca Popolare di Lodi non si sarebbe attenuta a tali obblighi, prelevando dal conto il corrispettivo delle azioni, effettuandone il pagamento senza averne conseguito contestualmente la consegna, e limitandosi a scrivere alla Cooperativa Farmaceutica per l'intestazione. Ove, viceversa, non fosse stato possibile ottenere l'effettivo trasferimento, avrebbe dovuto, usando l'ordinaria diligenza, non eseguire quel pagamento (sicché imputet sibi se lo ha eseguito).

Dall'ultima lettera, del 14 dicembre 1983, era rimasta poi inerte, abbandonando i clienti privi di tutela: è proprio dalla documentazione esibita dalla controinteressata che si desumerebbe la violazione dei suoi obblighi.

b) gli artt. 1722, n. 2, e 1723 c.c. consentono la revoca del mandato nel momento in cui non ne sia possibile, per qualsiasi ragione, l'esecuzione ed allorché ricorra una giusta causa - sempre che il mandato non sia stato eseguito -. Dalla revoca deriva l'obbligo di immediata riconsegna della somma versata, con rivalutazione ed interessi, ed il risarcimento del danno, sicché appare legittimo il ricorso al procedimento di ingiunzione, fondato sui fissati bollati prodotti.

Come si evince dagli stessi documenti di controparte, nella specie tratterebbesi di mandato "che interviene con un contratto di compravendita" in cui oggetto della vendita sono non già il fissato bollato, bensì le azioni, mai trasferite. Per l'art. 1528 c.c. il pagamento del prezzo deve eseguirsi al momento e nel luogo in cui avviene la consegna dei documenti, sicché la Banca "mai avrebbe dovuto pagare il prezzo, se non al momento della consegna dei documenti, attestanti la traslazione del diritto".

4. - Ai motivi riassunti è connesso il sesto, che attiene agli obblighi di informazione che incombono sul commissionario, ed assume, sotto alcuni profili, carattere di pregiudizialità.

Con quest'ultimo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1375, 1710 e 1175 c. 2 c.c., nonché omessa o insufficiente motivazione. L'obbligo di informazione rappresenterebbe "il momento centrale" nell'attività di intermediazione mobiliare. Ciò si evince chiaramente dall'art. 6 della l. 2 gennaio 1991, n. 1; discenderebbe comunque - anche a ritenere inapplicabile tale legge - dal principio di buona fede e correttezza che debbono presiedere ad ogni contratto, da cui derivano una serie di obblighi integrativi che, se inadempiuti, ne legittimano la risoluzione e sono fonti di responsabilità.

A tale obbligo la Banca avrebbe mancato tanto nel momento delle trattative e nel corso dell'esecuzione, omettendo di informare i clienti circa la natura del contratto da stipulare e dei valori che l'agente di cambio andava ad acquistare, quanto, infine, successivamente all'acquisto, facendo inoltrare la domanda di ammissione a socio solo a distanza di parecchi mesi (circostanza che confermerebbe la mancata conoscenza, nei mandanti, della natura e dei limiti delle azioni acquistate), omettendo di informarli circa l'esito della loro domanda e di rispondere persino ad una specifica richiesta del difensore.

Con ciò la Banca avrebbe mancato anche all'obbligo imposto dall'art. 1710, c. 2, c.c., di rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato, quale, nella specie, la complessa procedura per ottenere il placet del consiglio di amministrazione della CO.FA. (che forse lo stesso ufficio titoli della Banca ignorava, sicché non si vedrebbe come avrebbero potuto conoscerla due semplici risparmiatori).

Se adeguatamente informati, i ricorrenti non avrebbero certo intrapreso quel tipo di operazione, indirizzandosi verso investimenti meno aleatori. In ordine alle espressioni stampigliate sui duplicati di vendita, considerate di stile dalla Corte di merito, si sottolinea che per l'art. 1370 c.c. le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli e formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro.

L'imperizia evidenziata e gli inadempimenti della Banca integrerebbero la gravità richiesta dall'art. 1475 c.c. per la risoluzione del contratto.

5. - Le censure che propongono una serie di problematiche non sempre tra loro coerenti, appaiono fondate nei limiti di seguito chiariti.

È indubbio che la l. 2 gennaio 1991, n. 1, che, disciplinando l'attività di intermediazione mobiliare, detta, all'art. 6, i "principi generali e le norme di comportamento" che vi debbono presiedere, non è applicabile alla fattispecie in esame, essendo entrata in vigore successivamente alla stipula del contratto.

La buona fede che devo presiedere alla formazione dei contratti in generale e di quelli di mandato e commissione (che qui interessano) in particolare, comporta tuttavia che il soggetto - sia esso un soggetto individuale, quale un agente di cambio, o collettivo, quale una banca - cui viene affidato l'incarico di acquistare titoli, e che, esercitando professionalmente tale attività, conosce i limiti oggettivi dell'operazione, sia tenuto, prima di assumere l'incarico (e cioè nel corso della stipula) ad informare i clienti in ordine degli stessi. Tale obbligo può venir meno soltanto allorché il committente si presenti già pienamente informato, senza che sia possibile, in proposito, fare esclusivo riferimento alla natura dei titoli. La Banca Popolare di Lodi non poteva esimersi quindi, nell'accettare l'incarico, dall'informare i fratelli Pennè sulla necessità di acquisire l'autorizzazione degli amministratori della CO.FA., ai fini della opponibilità dell'acquisto alla Cooperativa, a norma dell'art. 2523 c.c..

L'avvenuta esecuzione della commissione esclude la rilevanza di eventuali successive violazioni dell'obbligo di informazione, cui i ricorrenti ne riconnettono la revocabilità, dacché la revoca può essere esercitata solo finché l'affare non sia stato concluso (art. 1734 c.c.). Ne consegue l'infondatezza della censura relativa alla legittimità del ricorso al procedimento di ingiunzione, che sulla revoca si fonda.

Sotto altro profili, è noto (e se ne è accennato anche in precedenza) che, costituendo la commissione una forma particolare di mandato senza rappresentanza, in forza del quale il commissionario acquista in nome e per conto altrui (artt. 1731, 1705 e 1706 c.c.), ne discende l'obbligo del commissionario di ritrasferire la cosa acquistata al committente, facendogliene acquistare la proprietà, in adempimento dell'obbligazione assunta. Oggetto del trasferimento non è, tuttavia, il fissato bollato, che documenta l'operazione, anche ai fini fiscali, ma le azioni od i titoli.

L'ordine di borsa, in forza del quale una banca si sia impegnata ad acquistare ed a trasferire al cliente la proprietà di un certo numero di azioni nominative di una società cooperativa a responsabilità, ha ad oggetto, peraltro, il trasferimento di cose determinate solo nel genere, nell'ambito del quale la proprietà si trasmette esclusivamente, a norma dell'art. 1378 c.c., mediante "individuazione" dei beni che ne formano oggetto, non essendo sufficiente la messa a disposizione delle azioni presso la società (Cass. 15 novembre 1995, n. 11.834, in causa Belloni contro Credito Commerciale s.p.a. e numerose altre banche, concernente specificatamente azioni della Cooperativa Farmaceutica a r.l. CO.FA.). In mancanza, la Banca (come, eventualmente, l'agente di cambio) viene meno ad una delle principali obbligazioni che discendono dal contratto di commissione. Problema diverso è, invece, quello degli effetti della cessione nei confronti della società, che l'art. 2523 c.c. subordina all'autorizzazione degli amministratori, estranea alla conclusione ed all'adempimento del contratto di commissione (salvi gli obblighi di informazione di cui prima si è discusso).

Negli indicati limiti i motivi debbono essere, pertanto, accolti, rimanendo assorbite le ulteriori doglianze.

omissis