Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7457 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 24 Febbraio 2006, n. 4214. Est. Nappi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Azione revocatoria fallimentare - Esperibilità - Condizioni - Limitazione alla sola fase liquidatoria - Configurabilità - Identificazione di detta fase - Criteri - Formale avvio del procedimento di alienazione dei beni - Necessità - Esclusione - Momento della verifica - Riferimento alla data della decisione - Necessità - Cessione del complesso aziendale - Funzione liquidatoria - Configurabilità.



Nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dal d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95 (applicabile "ratione temporis"), l'azione revocatoria fallimentare è esperibile soltanto in relazione alla eventuale fase liquidatoria della procedura, sussistendo tra detta azione e la fase conservativa una incompatibilità logica e di fatto, prima ancora che giuridica. Un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura può tuttavia manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché un'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata non solo alla salvaguardia dell'unità produttiva bensì anche alla tutela delle ragioni dei creditori, che hanno interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali. Ne consegue che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura va accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria: e ciò anche quando, al momento della decisione, sia già intervenuta la cessione dell'intero complesso aziendale, avendo tale cessione funzione di liquidazione, posto che di un risultato di risanamento, senza cessione dei beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l'attività produttiva o di scambio. (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:


SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in Amministrazione straordinaria, domiciliata in Roma, viale Giulio Cesare n. 14, presso l'avv. Romanelli E. che la rappresenta e difende unitamente all'avv. Gallett T., come da mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
IBM Italia s.p.a., domiciliata in Roma in via Lancellotti n. 18, presso gli avv. Dotti V. e Mariano R., che la rappresentano e difendono unitamente all'avv. Favarò A., come da mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
contro
Ministero della difesa;
- intimato -
avverso la sentenza n. 700/2002 della Corte d'Appello di Genova depositata il 17 luglio 2002.
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Nappi Aniello;
udito per la ricorrente l'avv. Santorelli, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Udite le conclusioni del P.M., Dott. APICE Umberto, che ha chiesto l'accoglimento dei motivi 5, 6 e 7, assorbiti gli altri. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 11464 del 4 ottobre 1999 il Tribunale di Genova, in accoglimento dell'azione revocatoria fallimentare proposta dalla Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in Amministrazione straordinaria, dichiarò inefficaci le 3 cessioni in favore della I.B.M. s.p.a. di crediti per circa L. due miliardi vantati dalla società attrice nei confronti del Ministero della difesa italiano.
La sentenza, impugnata in via principale dalla IBM e in via incidentale dal Ministero della difesa, fu riformata con decisione deliberata il 21 febbraio 2002 dalla Corte d'Appello di Genova, che ritenne incompatibile con il diritto comunitario, risolvendosi in un aiuto di Stato, l'azione revocatoria fallimentare esercitata nell'ambito di un procedimento in concreto inteso alla conservazione, anziché alla liquidazione, dell'impresa ammessa all'amministrazione straordinaria.
Contro la decisione d'appello ricorre ora per Cassazione la Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in Amministrazione straordinaria, proponendo otto motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso la I.B.M. s.p.a., mentre nessuna difesa ha spiegato la pubblica amministrazione intimata. Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 87, 88, 249 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455, della L. 3 aprile 1979, n. 95 e successive modifiche, e dell'art. 100 c.p.c., motivazione contraddittoria in ordine a un punto della controversia.
Lamenta che i Giudici del merito, pur avendo escluso la legittimazione della I.B.M. a una diretta tutela comunitaria, in quanto creditrice e non concorrente della Piaggio, hanno contraddittoriamente riconosciuto alla società convenuta l'interesse a far valere la dedotta incompatibilità della L. n. 95 del 1979 con la normativa comunitaria in tema di aiuti di Stato.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 87, 88, 234 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455, della L. 3 aprile 1979, n. 95, e successive modifiche, e delle sentenze della Corte di Giustizia CE 1 dicembre 1998 in causa C. 200/1997 e 17 giugno 1999 in causa C. 295/1997. Sostiene che erroneamente i Giudici del merito hanno supposto di dover applicare le due citate decisioni della Corte europea di giustizia, mentre la compatibilità comunitaria di un aiuto di Stato è regolata esclusivamente dalle decisioni della Commissione, una volta che questa si sia effettivamente pronunciata, come nel caso in esame. Aggiunge che comunque i Giudici del merito hanno erroneamente interpretato le pronunce della Corte europea laddove hanno ritenuto di poter trarre dal mero esame delle disposizioni legislative la conclusione circa l'incompatibilità comunitaria dell'azione revocatoria fallimentare esercitata nonostante la continuazione dell'attività economica dell'impresa in amministrazione straordinaria.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455, della L. 3 aprile 1979, n. 95, e della L. Fall. art. 67.
Lamenta che erroneamente i Giudici del merito abbiano ritenuto di poter considerare come aiuto di Stato la stessa autorizzazione alla continuazione dell'attività di un'impresa insolvente, escludendo l'esigenza di ulteriori accertamenti circa l'effettiva incidenza delle singole misure sulle risorse pubbliche.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce in via subordinata violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 249 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455, e dei principi generali del diritto comunitario.
Lamenta che i Giudici del merito abbiano erroneamente interpretato la decisione della Commissione 16 maggio 2000 2001/212/CE, che ha escluso l'incompatibilità comunitaria della L. n. 95 del 1979, quando l'amministrazione straordinaria non comporti in concreto misure selettive specifiche con impegno di risorse pubbliche, in particolare quando si tratti di misure che non comportino deroghe all'ordinaria disciplina delle procedure concorsuali. Con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 95 del 1979, artt. 1 e 3, della L. Fall. art. 67, degli artt. 87 e 88 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455, e dei principi generali del diritto comunitario in tema di aiuti di Stato, degli artt. 100 e 112 c.p.c.;
vizi di motivazione su un punto decisivo della controversia. Censura innanzitutto l'erronea qualificazione degli effetti dell'azione revocatoria fallimentare come finanziamento forzoso in favore dell'impresa ammessa all'amministrazione straordinaria, atteso che misura non impegna risorse pubbliche.
Eccepisce poi l'eccesso di pronuncia con riferimento alla ritenuta incompatibilità dell'azione revocatoria fallimentare con la fase conservativa della procedura, in quanto tale questione non era stata sollevata nel giudizio di primo grado. E aggiunge che comunque, essendo stato ceduto l'intero complesso aziendale in data 9 novembre 1998, l'azione revocatoria fallimentare risultava fondatamente proposta nel momento in cui intervenne la decisione di primo grado del 4 ottobre 1999.
Con il sesto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 95 del 1979, artt. 1, 2, 6 e 6 bis, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, della L. Fall., artt. 67 e 203, dei principi generali in tema di procedure concorsuali. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto in giurisprudenza, le finalità di liquidazione dell'attivo e di risanamento dell'azienda sono in realtà complementari nella procedura di amministrazione straordinaria, secondo l'originaria disciplina della L. n. 95 del 1979. Sicché deve ritenersi che l'azione revocatoria fallimentare sia esperibile fin dall'apertura del procedimento concorsuale. Mentre anche la nuova disciplina dettata dal D.Lgs. n. 270 del 1999 conferma che va considerata liquidatoria la cessione dell'intero complesso aziendale.
Con il settimo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, per altro profilo, della L. n. 95 del 1979, artt. 1, 2, 6 e 6 bis, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, della L. Fall., artt. 67 e 203, del principi generali in tema di procedure concorsuali, vizi di motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamenta che erroneamente i Giudici del merito abbiano omesso di considerare come atto di liquidazione la cessione a terzi dell'intero complesso aziendale.
Con l'ottavo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 296 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455, e dei principi generali in tema di rapporti tra Giudici nazionali e organi comunitari, e della L. Fall. artt. 33, 99, 205, e dell'art. 2700 c.c., dell'art. 234 del trattato CE ratificato con L. 3 novembre 1992, n. 455.
Lamenta che erroneamente i Giudici del merito hanno disatteso l'eccezione subordinata di inapplicabilità alle produzioni militari della normativa ordinaria in tema di aiuti di Stato.
2. Il primo motivo del ricorso è infondato.
In realtà il diritto comunitario è formato: a) dalle norme dei trattati istitutivi; b) dalle norme di diritto derivato, vale a dire soprattutto dai regolamenti e dalle direttive adottati dagli organi della Comunità; c) dalle sentenze della Corte europea di giustizia, che può intervenire in via principale, per giudicare delle infrazioni contestate a uno Stato membro, o in via pregiudiziale, per pronunciarsi su richiesta di un Giudice nazionale sulla validità e sull'interpretazione del diritto comunitario.
Secondo una giurisprudenza costituzionale che data dal 1984, nelle materie riservate alla competenza normativa delle Comunità europee il Giudice ordinario deve applicare d'ufficio e direttamente la norma comunitaria, riconoscendone la prevalenza sulla legge nazionale eventualmente incompatibile, anteriore o successiva, senza la necessità di una denuncia alla Corte costituzionale, in riferimento all'art. 11 Cost. (C. cost., 5 giugno 1984, n. 170). Si ritiene infatti che l'ordinamento comunitario e l'ordinamento statale siano ®distinti e al tempo stesso coordinati": sicché le norme comunitarie ricevono diretta applicazione nell'ordinamento interno, ma, rimanendo estranee al sistema delle fonti statali, non comportano la caducazione, bensì solo la non applicazione da parte del Giudice nazionale, della norma interna incompatibile, con effetti limitati al caso di specie. Le norme comunitarie possono prevalere anche su quelle costituzionali, ma rimane salvo il limite del rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento e dei diritti inalienabili della persona umana (C. cost., 8 aprile 1991, n. 168, C. cost., 19 aprile 1985, n. 113). E alla Corte costituzionale rimane affidato anche il controllo di legittimità sulle norme interne che contrastino con norme comunitarie non direttamente efficaci, previa pronuncia, eventualmente in via pregiudiziale, della Corte Europea di giustizia circa la validità e la corretta interpretazione della norma sovranazionale(C. cost., 21 marzo 2002, n. 85). Su queste basi la giurisprudenza di questa Corte applica direttamente i regolamenti e le norme comunitarie immediatamente esecutive, eventualmente in deroga alle norme interne incompatibili (Cass., sez. 1^, 22 aprile 1999, n. 3999, m. 525619, Cass., sez. 5^, 9 giugno 2000, n. 7909, m. 537464, Cass. 5^, 10 dicembre 2002, n. 17564, m. 559121); le stesse direttive sono talora riconosciute immediatamente applicabili, sebbene si richieda "che la prescrizione sia incondizionata (sì da non lasciare margine di discrezionalità agli stati membri nella loro attuazione) e sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi), e che, inoltre, lo Stato destinatario - nei cui confronti il singolo faccia valere tale prescrizione - risulti inadempiente per essere inutilmente decorso il termine previsto per dar attuazione alla direttiva medesima" (Cass., sez. 1^, 1 febbraio 2000, n. 1099, m. 533351). In particolare gli artt. 87 e 88 del Trattato CE affidano all'iniziativa della Commissione delle Comunità Europee la soppressione di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, indipendentemente da sollecitazioni di singole imprese. E di recente si è affermato che, "in tema di compatibilità della concessione di aiuti di Stato con l'ordinamento comunitario, le decisioni adottate dalla Commissione delle Comunità Europee ai sensi dell'art. 88 n. 2 del Trattato CE, sebbene prive dei caratteri di generalità ed astrattezza, sono tuttavia dotate di effetto diretto nei confronti dell'ordinamento nazionale, sia pure limitatamente ai rapporti giuridici intercorrenti tra privati e pubblici poteri (c.d. efficacia verticale), e non sono suscettibili di essere sindacate dal Giudice nazionale, il quale ne resta vincolato; nei rapporti tra privati, peraltro, sebbene le predette decisioni non abbiano efficacia diretta, ben difficilmente il Giudice nazionale potrebbe negare natura di aiuto di Stato ad una misura nazionale così qualificata dalla Commissione europea con decisione divenuta inoppugnabile" (Cass., sez. 1^, 28 ottobre 2005, n. 21083, m. 584641, che, in applicazione di tale principio, "ha preso atto che, in riferimento all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la Commissione CE, con decisione n. 2001/212/CE del 16 maggio 2000, ha escluso l'incompatibilità tra l'intera L. 3 aprile 1979, n. 95 e le norme che regolano il mercato comune, affermando che, nell'ambito della predetta legge, configurano aiuti di stato soltanto le disposizioni che prevedono la concessione di vantaggi specifici e l'attribuzione di risorse pubbliche a favore di beneficiari individuabili"). Infatti "detta vincolatività sussiste non solo quando la Commissione abbia ravvisato la denunciata violazione, ma anche nel caso in cui la Commissione medesima abbia escluso il contrasto della normativa nazionale con le prescrizioni del Trattato" (Cass., sez. 1, 17 novembre 2005, n. 23269, m. 584246). 3. Sono fondati e assorbenti invece il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il settimo motivo del ricorso.
Quanto al rapporto tra la L. n. 95 del 1979 e il diritto comunitario, infatti, questa Corte ha già ampiamente chiarito che "il D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, conv., con modif., in L. 3 aprile 1979, n. 95, sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, contrasta - in base alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee 1 dicembre 1998 e - 200/1997 e 17 giugno 1999, nonché alla decisione della Commissione 16 maggio 2000 2001/212/CE, che hanno carattere vincolante - con la normativa comunitaria solo relativamente a quelle disposizioni che prevedono aiuti di Stato non consentiti" (Cass., sez. 1^, 16 luglio 2004, n. 13165, m. 577216). Sicché l'accertamento dell'eventuale incompatibilità con il diritto comunitario delle agevolazioni fiscali eventualmente godute dalla Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in Amministrazione straordinaria, potrebbe comportare l'invalidazione di tali aiuti di Stato, ma non certo la caducazione dell'intera procedura e, di conseguenza, non inciderebbe sull'ammissibilità dell'azione revocatoria, che qui rileva.
Quanto all'ammissibilità dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, che pone un problema esclusivamente di diritto nazionale, la giurisprudenza di questa Corte è certamente orientata ormai nel senso che l'azione revocatoria fallimentare, "essendo ispirata a finalità recuperatorie estranee alla fase conservativa dell'amministrazione straordinaria, è esperibile soltanto in relazione alla eventuale fase liquidatoria ed il suo ambito operativo è da riferirsi necessariamente e correlativamente al momento in cui inizia la liquidazione dei beni" (Cass., sez. 1^, 5 settembre 2003, n. 12936, m. 566562, Cass., sez. 1^, 21 settembre 2004, n. 18915, m. 577264, Cass., sez. 1^, 27 dicembre 1996, n. 11519, m. 501523). E questa condivisibile giurisprudenza non è in contraddizione con il riconoscimento che "nel procedimento concorsuale di amministrazione straordinaria, l'azione revocatoria è esperibile solo dalla data del decreto che dispone l'apertura della procedura e la nomina del commissario, essendo quest'ultimo l'unico soggetto legittimato all'esercizio della suddetta azione, con la conseguenza che il termine di prescrizione della revocatoria fallimentare non decorre dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì solo dalla data del decreto di nomina del commissario governativo, ossia dal momento in cui, a norma dell'art. 2935 c.c., il diritto può essere fatto valere" (Cass., sez. un., 15 giugno 2000, n. 437, m. 537612).
Infatti tra azione revocatoria e fase conservativa
dell'amministrazione straordinaria v'è una incompatibilità logica e di fatto, prima che giuridica. Sicché non rileva ai fini della prescrizione che la destinazione conservativa della procedura escluda la possibilità di agire in revocatoria. E tuttavia un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché un'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, può risultare destinata, nello stesso ambito della procedura prevista dalla L. n. 95 del 1979, non solo alla salvaguardia dell'unità produttiva bensì anche alla tutela della ragioni dei creditori, che hanno evidentemente interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali.
Ne consegue che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura non può non essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria; anche quando, come è avvenuto nel caso in esame, al momento della decisione appunto era stato già alienato l'intero complesso aziendale (Cass., sez. 1^, 22 marzo 2005, n. 6192, m. 580382).
Infatti anche la cessione dell'intero complesso aziendale ha funzione di liquidazione, posto che di un risultato di risanamento, senza liquidazione del beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l'attività produttiva e/o di scambio (L. n. 270 del 1999, art. 27 e 49).
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Genova, che si atterrà ai principi su enunciati. P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e, in accoglimento per guanto di ragione del secondo, del terzo, del quarto, del quinto e del settimo motivo, assorbiti il sesto e l'ottavo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'Appello di Genova in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2006