Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7536 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 08 Febbraio 2005, n. 2534. Est. Ragonesi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Legge n. 95 del 1979 - Incompatibilità con le norme comunitarie - Fondamento - Limiti - Accertamento che la norma da applicare non configura aiuti di Stato - Necessità.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Legge n. 95 del 1979 - Norma configurante aiuti di Stato - Contrasto della norma con norme comunitarie - Eccezione - Natura sostanziale - Sussistenza - Conseguenze - Elementi di fatto comprovanti la sussistenza del contrasto - Onere di allegazione e prova della parte - Sussistenza - Sovewre del giudice di acquisire d'ufficio gli elementi di fatto.



La Corte di giustizia delle comunità europee (sentenze della quinta sezione 17 giugno 1999, C-295/97, e 1 dicembre 1998, C-200/97, nonchè ordinanza della stessa Corte e sezione, 24 luglio 2003, C-297/01) -alla quale si è conformata la Commissione europea con la decisione del 16 maggio 2000 2001/212/CE- ha ritenuto che la legge n.95 del 1979 (di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. n. 26 del 1979), avente ad oggetto la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, si pone in contrasto con le norme comunitarie esclusivamente nelle parti in cui prevede aiuti di Stato non consentiti, in virtù di un'interpretazione confortata dall'art. 1, lett. d), regolamento Cee 659 del 199, il quale, definendo come aiuti di Stato l'atto in base al quale gli stessi vengono attuati, impone di avere riguardo alle singole norme che, eventualmente, li prevedono. Pertanto, in virtù degli artt. 7, legge n. 273 del 2002 e 106, D.Lgs. n. 270 del 1999, continuano ad essere applicabili alle procedure di amministrazione straordinaria aperte nella vigenza della legge n. 95 del 1979 le norme contenute in quest'ultima legge, qualora esse non configurino aiuti di Stato. (massima ufficiale)

L'eccezione con la quale la parte deduce che una norma di una legge statale (nella specie la legge n. 95 del 1979, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. n. 26 del 1979, avente ad oggetto la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, applicabile 'ratione temporis'), si pone in contrasto con norme comunitarie, in quanto configura un aiuto di Stato alle imprese, costituisce una eccezione in senso sostanziale, poichè mira a dimostrare l'inesistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda e conseguentemente, grava sulla parte che la formula l'onere di provare la ricorrenza nel caso concreto di un aiuto di Stato, allegando gli elementi di fatto necessari a questo scopo, restando escluso che il giudice del merito debba accertare, d'ufficio, l'esistenza di detti elementi, al fine di valutare se la norma debba essere, eventualmente, disapplicata. (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. CELENTANO Walter - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA SCARL, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 6, presso l'avvocato GIUSEPPE ALESSI, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Gabriele Corciulo di Padova, rep. 50163 del 060202;
- ricorrente -
contro
CAVARZERE PRODUZIONE INDUSTRIALE SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del Commissario straordinario pro tempore, elettivamente 2623 domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI CAPRETTARI 70, presso l'avvocato bruno GUARDASCIONE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ALBERTO MAFFEI ALBERTI, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 383/01 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 12/03/01;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25/11/2004 dal Consigliere Dott. Vittorio RAGONESI;
udito per il ricorrente l'Avvocato ALESSI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'Avvocato Maffei che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAFIERO Dario, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 1988, la Cavarzere Produzioni Industriali spa (Cavarzere spa), in amministrazione straordinaria, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Padova, la Banca Antoniana di Padova e Trieste.
L'attrice esponeva che, nell'anno anteriore alla data della sentenza dichiarativa del suo stato di insolvenza, la Cavarzere spa aveva intrattenuto con la Banca convenuta un rapporto di conto corrente bancario ordinario, contraddistinto con il n. 3436/Y, che, come risultava dall'estratto conto contestualmente prodotto, mentre, al 28 febbraio 1983, il conto così acceso presentava un saldo debitore di L. 4.350.318.832, poi, in virtù di rimesse in conto effettuate dalla stessa Cavarzere nel successivo corso dell'anno 1983 e, in particolare, dell'accredito di L. 4.849.500.000 del 1^ marzo 1983, l'esposizione era stata sensibilmente decurtata, tant'è che il rapporto si era chiuso con un saldo debitore, alla data della suddetta sentenza, di L. 1.732.483.564, somma per la quale la Banca era stata ammessa allo stato passivo, come da sua istanza; che, in virtù ditale rimessa, la Banca aveva, quindi, percepito la differenza tra la predetta esposizione al 28 febbraio 1983 ed il saldo debitore a chiusura del conto, ammontante a L. 2.617.835.288 (- 4.350.318.832 meno L. 1.732.483.544) per cui era stata iscritta al passivo della procedura. Soggiungeva che, pertanto, la Banca aveva percepito la somma di L. 2.617.835.288, utilizzando la rimessa della cliente sul conto corrente "scoperto" che aveva concretamente e definitivamente concorso a ridurre il debito della stessa, dichiarata insolvente solo pochi mesi dopo. Sosteneva, quindi, che detta rimessa, nei limiti in cui aveva concorso alla decurtazione dell'esposizione al 28 febbraio 1983, rispetto a quella risultante alla chiusura del conto, costituiva certamente pagamento di debito liquido ed esigibile in favore della Banca, effettuato nell'anno anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza, sicché era revocabile ex art. 67, 2^ comma l.f tenuto anche conto del fatto che la scientia decoctionis in capo alla Banca era provata dalla manifesta decozione della debitrice al 1^ marzo 1983, posto che essa, come le altre società del gruppo Montasi, non aveva neppure provveduto al pagamento dei dipendenti e dei crediti dei bieticoltori inerenti alla campagna saccarifera dell'anno precedente; circostanza, quest'ultima, all'epoca ripetutamente diffusa dalla stampa. Sulla base delle considerazioni che precedono chiedeva che fosse revocata la predetta rimessa effettuata dalla spa Cavarzere a suo favore sul conto corrente ordinario 3436/Y il 1^ marzo 1983, nei limiti in cui le aveva consentito di rientrare della somma corrispondente alla differenza tra saldo debitore al 28 febbraio 1983 e saldo debitore a chiusura del conto e per il quale era stata ammessa al passivo e che fosse condannata a pagare alla procedura la somma di L. 2.617.835.288 o quella diversa accertata nel corso del giudizio, oltre agli interessi legali a far data dal compimento di ogni singolo atto o, in subordine, dal giorno della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, nonché al maggior danno ex art, 1224 CC. per l'intervenuta svalutazione monetaria. Costituitosi il contraddittorio, la convenuta resisteva alle pretese avversarie, chiedendone la reiezione.
Il Tribunale adito, con sentenza in data 20 marzo/15 maggio 1997, revocava la rimessa effettuata il 1 marzo 1983 dalla Cavarzere spa nel c.c. n. 3436/Y da essa intrattenuto con la Banca convenuta e condannava quest'ultima a pagare alla procedura la somma di L. 2.617.835.288, con gli interessi al tasso legale dalla domanda al saldo, nonché, a titolo di maggior danno ex art. 1224. 2^ comma, cc, un ulteriore tasso annuo di interessi, sulla somma capitale di cui sopra, pari al 3%, a partire dalla domanda e fino al 15 dicembre 1990; poneva a carico della convenuta l'onere delle spese processuali. Avverso tale sentenza proponeva appello la Banca Antoniana Veneta soc. coop. p.a. a r.l - successore della Banca Antoniana di Padova e Trieste, in virtù di fusione che, a sostegno del suo gravame, sostanzialmente, deduceva: a) l'insussistenza di danno per l'impresa debitrice, poi insolvente, b) l'insussistenza dello stato di insolvenza nonché l'ignoranza in capo ad essa deducente delle difficoltà in cui si sarebbe trovata la debitrice nella seconda metà del febbraio 1983; c) l'erroneità della decisione del primo giudice laddove aveva escluso il rifiuto del contraddittorio, da parte di essa deducente, circa un allargamento del petitum, al cui riguardo eccepiva la prescrizione. La procedura, costituitasi in giudizio, resisteva al gravame, di cui chiedeva il rigetto.
La Corte d'appello di Venezia rigettava il gravame.
Ricorre per Cassazione la Banca popolare Antoniana Veneta sulla base di due motivi cui resiste con controricorso la Cavarzere produzioni industriali in amministrazione straordinaria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ricorrente con il primo motivo di gravame impugna sotto il profilo della violazione di legge la sentenza di appello laddove ha ritenuto la compatibilita in astratto della normativa in tema di amministrazione straordinaria con quella comunitaria che vieta gli aiuti di Stato sulla scorta della considerazione che l'eventuale incompatibilità va accertata in concreto tramite il riscontro della concessione nel corso della procedura di aiuti alla impresa in difficoltà.
Con il secondo motivo si duole del fatto che la sentenza impugnato abbia escluso che in concreto siano stati concessi aiuti alla Cavarzere, in base alla considerazione che essa banca ricorrente non aveva fornito alcuna prova circa la sussistenza dei detti aiuti, quando invece - a detta della ricorrente - tale circostanza doveva essere accertata d'ufficio.
Venendo all'esame del primo motivo di ricorso occorre anzitutto esaminare la questione se le sentenze della Corte di Giustizia del 1.12. 1998 C-200/97 e del 17.6.99 nonché la decisione della Commissione del 16.5.2000 2001/212/CE, che rivestono carattere vincolante, hanno ritenuto che la legge sull'amministrazione straordinaria n. 95/79 sia nel suo complesso interamente incompatibile con la normativa comunitaria, in quanto in violazione delle norme che impediscono gli aiuti di stato, ovvero che la legge in esame sia incompatibile solo relativamente a quelle disposizioni che comportano violazione del regime degli aiuti di stato. L'esame delle due sentenze della Corte di giustizia citate, tra loro del tutto simili sia nella motivazione che nel dispositivo, non lascia dubbi circa il fatto che i giudici lussemburghesi abbiano ritenuto che la legge 95/79 sia incompatibile con la legislazione comunitaria solo nella parte in cui preveda degli aiuti non consentiti e che, a tal fine, occorre accertare in concreto che nelle singole procedure si sia dato luogo agli aiuti predetti (v. in senso conforme Cass 13165/04 e Cass 18915/04).
In particolare, la sentenza 1.12.98 C-200/97 ha affermato che ricorre l'ipotesi di concessione di un aiuto di Stato quando è dimostrato che una impresa ""è stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe esclusa nell'ambito delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento; o ha beneficiato di uno o più vantaggi, quali: una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione all'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniario una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento".
A sua volta la sentenza della Corte di Giustizia del 17.6.99 ha ribadito - quasi negli stessi termini - che "si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento da luogo alla concessione di un aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, allorché è dimostrato che questa impresa è stata autorizzata a continuare a sua attività economica in circostanze in cui tali eventualità sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o ha beneficiato di uno o più vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento."
Entrambe le sentenze, dunque individuano, come disposizioni della legge 95/79 costituenti aiuti di stato, quelle specificatamente indicate e dianzi riportate che danno luogo alla autorizzazione alla continuazione dell'attività economica in circostanze in cui ciò non sarebbe consentito dalle regole normalmente vigenti in materia di fallimento ovvero concessione di garanzie di stato, di aliquote fiscali ridotte etc.
Tutto ciò sta a dimostrare che le restanti norme della legge 95/79, che non prevedono tali benefici, risultano compatibili con la legislazione comunitaria. La inevitabile conseguenza logica che le due esaminate sentenze traggono dalla affermazione di questi principi è che occorre di volta in volta esaminare in giudizio se ad una impresa ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria siano stati concessi o meno i benefici di cui sopra costituenti aiuti di stato.
La decisione della Commissione del 16.5.2000 risulta essersi pienamente conformata agli anzidetti principi; ne' del resto potrebbe essere diversamente dovendo anche la Commissione adeguarsi ai principi stabiliti dalle pronunce della Corte di Giustizia. In tal senso non appare meritevole di accoglimento la tesi di chi sostiene che la decisione della Commissione abbia innovato rispetto a quanto stabilito dalle sentenze della Corte di Giustizia statuendo che la legge 95/79 è di per sè e nel suo complesso incompatibile con la legislazione comunitaria che pone divieto agli aiuti di stato. La decisione in questione, dopo avere esaminato le diverse ipotesi di aiuti di stato contenute nella legge 95/79, conclude nel senso che " complessivamente al termine di tale analisi si deve concludere che i diversi vantaggi derivanti dalla legge 95/1979 costituiscono un regime di aiuto di stato ai sensi dell'art. 87 par. 1 del trattato CE".
In tal senso la decisione espressamente afferma che "...b) la legge n. 95/1979 recante interventi urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi introduce un regime di aiuti di Stato in favore delle imprese in causa, illegittimamente posto in essere dall'Italia in violazione degli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'articolo 88. Par. 3 del trattato; c)in base alla valutazione sub b) il regime in questione è incompatibile con mercato comune conformemente alle disposizioni dell'articolo 87 par. 1 trattato CE in quanto non può beneficiare di nessuna delle deroghe previste all'articolo 87. paragrafi 2 e 3; d) il regime di cui alla legge n. 95/1979 è stato infine abrogato mediante de legislativo n. 270/1999;".
Alla luce di tali considerazione conclusive la decisione statuisce che "il regime di cui alla legge 95/1979 di conversione del decreto legge n. 26/1979 concernenti interventi urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, che è stato posto in essere dall'Italia in favore delle grandi imprese in crisi, è illegittimo ed incompatibile con il mercato comune". Risulta di tutta evidenza dalla decisione della Commissione in esame che ciò che è stato dichiarato in contrasto con il mercato comune è il "regime" di aiuti contenuti nella legge 95/79 e non già quest'ultima in quanto tale. Tale interpretazione trova conferma in quanto esposto nel paragrafo 50 della decisione ove è espressamente affermato che "le legge n. 95/79 rinvia per vari aspetti alla legge italiana sul fallimento e, laddove prevede l'applicazione in condizioni non derogatorie ai meccanismi di quest'ultima, tali meccanismi e procedure si configurano come misure generali prive di qualsiasi carattere selettivo. Tale legge prevede invece applicazioni particolari che comportano la concessione di taluni vantaggi specifici e che implicano risorse pubbliche, a favore di beneficiari individuabili; in simili casi essa configura un regime di aiuti di stato, ai sensi dell'articolo 87 par. 1 del trattato CE". Dalla lettura di tale paragrafo emerge con tutta evidenza che il regime di aiuti di stato viene individuato nei soli casi di concessione di benefici specifici che implicano il ricorso a risorse pubbliche mentre tale regime è escluso nelle altre ipotesi.
Nè ciò è contraddetto dai paragrafi 55, 56, 57 della decisione invocati dal ricorrente.
Tali paragrafi, infatti, si incentrano sull'esame delle ipotesi specifiche di aiuto di stato individuate dalle sentenze della Corte di Giustizia, e, cioè, la continuazione dell'impresa e gli altri vantaggi (esenzioni fiscali...contributi etc.), affermando che in presenza di tale ipotesi deve comunque presumersi l'esistenza di un aiuto di stato senza dovere esaminare in concreto se effettivamente l'applicazione di detta misura abbia comportato effettivamente l'erogazione di detto aiuto, salva peraltro la possibilità per lo Stato di provare che l'applicazione degli aiuti in questione non ha comportato per lo Stato un onere supplementare rispetto a quello che ne sarebbe derivato dall'applicazione della disposizioni ordinarie in materia di fallimento.
Ciò integra una ipotesi del tutto diversa da quella precedentemente esaminata. Per semplificare, la statuizione della decisione della Commissione si basa su due passaggi consecutivi: il primo passaggio consiste nel dire che, in presenza di una amministrazione straordinaria disposta in applicazione della legge 95/79, per poter dire che vi sia una incompatibilità con la normativa comunitaria in tema di aiuti di stato occorre in concreto esaminare se vi sia stata concessione di detti aiuti così come questi sono stati individuati dalle due sentenze della Corte di Giustizia (continuazione dell'impresa, erogazione di fondi pubblici, benefici fiscali etc) dovendosi escludere in assenza di detti aiuti ogni contrasto con la citata normativa comunitaria; il secondo passaggio consiste nel dire, invece, che una volta accertato che ricorra una delle ipotesi individuate come aiuto di stato e, in particolare quella della continuazione dell'impresa non è necessario esaminare in concreto se detta fattispecie, abbia costituito o meno un effettivo aiuto di Stato poiché ciò deve ritenersi presunto in ragione delle finalità della legge 95/79.
Emerge, quindi, con certezza che gli articoli 55, 56 e 57 della decisione in esame non rilevano in alcun modo ai fini del decidere la questione oggetto di esame se cioè la legge "Prodi" sia incompatibile "ex se" con la normativa comunitaria o se lo siano solo quelle disposizioni in essa contenute che integrano aiuti di Stato. In conclusione dunque, la decisione della Commissione risulta del tutto conforme con le esaminate sentenze della Corte di Giustizia e lascia impregiudicata solo la questione, che può costituire oggetto esclusivamente di accertamento in sede giurisdizionale, se nel caso concreto di singole procedure di amministrazione straordinaria si sia fatto ricorso o meno ad aiuti di stato. Nè una diversa
interpretazione potrebbe basarsi sull'articolo 1 lett. d) del regolamento CE 659/99 che definisce regime di aiuti "atto in base al quale, senza che siano necessarie ulteriori misure di attuazione, possono essere adottate singole misure di aiuto in favore di imprese definite nell'atto in linea generale ed astratta...". Deve infatti necessariamente ritenersi che per "atto" - che può essere qualsiasi disposizione sia normativa che amministrativa - non deve intendersi l'intero corpo del provvedimento legislativo o normativo, e, cioè, nel caso di specie l'intera legge Prodi, ma solo quelle singole disposizioni normative che prevedono la possibilità di erogare aiuti di Stato.
Quanto fin qui osservato non risulta contraddetto dalla ordinanza della Corte di Giustizia 24 luglio 2003 nella causa C- 297/01, che si è pronunciata sull'articolo 106 del decreto legislativo 270/99 che, nell'abrogare la legge 95/79, ne ha tuttavia mantenuto in vigore le disposizioni per i procedimenti in corso al momento della entrata in vigore del citato decreto legislativo. Tale ordinanza, infatti, non ha fatto altro che confermare le precedenti sentenze della Corte di Giustizia nonché la decisione della Commissione stabilendo che il " regime transitorio quale quello previsto dall'articolo 106 del decreto legislativo 270/99 che proroga l'efficacia di un regime nuovo di aiuti di stato non notificato alla commissione e dichiarato incompatibile con il diritto comunitario costituisce esso stesso un regime nuovo di aiuti di stato ai sensi degli artt 87 ed 88 CE ". Il provvedimento in esame, pertanto, conferma ulteriormente la incompatibilità con la normativa comunitaria del "regime" degli aiuti stabiliti dalla legge 95/79 prorogato dal decreto legislativo 270/99 senza nulla innovare rispetto a quanto già in precedenza stabilito, dal momento che anche in tal caso il riferimento è limitato al regime degli aiuti e, cioè, a quelle disposizioni che possono costituire benefici concessi dallo Stato alle imprese in amministrazione straordinaria e non già all'intero sistema normativo. In tal senso va di conseguenza interpretato l'articolo 7 della legge 273/02 che ribadisce che alle procedure all'epoca instaurate continuano ad applicarsi le disposizioni transitorie di cui all'art. 106 del d.l.vo 270/99 e, cioè, le disposizioni della legge 95/79, dovendosi così ritenere che queste ultime risultano applicabili ad esclusione di quelle relative agli aiuti di stato. Ciò del resto è confermato dalla stessa ordinanza della Corte di Giustizia del 24.7.03 laddove precisa che "spetta al giudice del rinvio determinare la portata dell'articolo 106 del d.l.vo 270/99, se del caso alla luce dell'articolo 7 della legge 279/2002, avendo cura di dare un interpretazione quanto più conforme possibile al diritto comunitario, tenuto conto della sentenza Piaggio citata, e della decisione 2001/212 vale a dire una interpretazione che non consenta di concedere nuovi aiuti di stato sul fondamento di tale articolo 106 successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 270/99". In conclusione quindi deve ritenersi la legge 95/79 continua a trovare applicazione nel nostro ordinamento, in virtù delle disposizioni transitorie richiamate, in tutte quelle ipotesi in cui non configuri degli aiuti di stato proibiti dalla normativa comunitaria.
Venendo ora all'esame dell'ultima parte del primo motivo di ricorso, ove si assume che l'esercizio d'impresa concesso nell'amministrazione straordinaria fa si che la revocatoria debba considerarsi comunque un aiuto di Stato a prescindere dal fatto che sia promossa nella fase di esercizio d'impresa od in quella di liquidazione, la sentenza impugnata ha rilevato che nessuna prova è stata fornita dalla ricorrente circa la sussistenza nel caso concreto dei "presupposti" della sua domanda e, cioè, in altri termini, della sussistenza di aiuti di stato, constatando ulteriormente che neppure in relazione alla azione revocatoria, si fa alcun cenno al fatto se la stessa sia avvenuta nella fase riorganizzativa o in quella liquidatoria. Tale motivazione risulta censurata invero soltanto con il secondo motivo di ricorso - che si esaminerà in seguito - e limitatamente al particolare (infondato) profilo che spettava al giudice accertare d'ufficio la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della legge Prodi, mentre nessuna specifica censura viene avanzata per contestare l'affermazione della Corte territoriale circa la mancanza di prova in ordine alla sussistenza di aiuti di stato nel caso di specie.
Si osserva, per quanto concerne in particolare la questione della continuazione dell'esercizio dell'impresa ritenuto aiuto di stato, che nel ricorso la banca ricorrente si limita ad affermare - come già dianzi osservato - che l'inapplicabilità della azione revocatoria prevista dalla legge Prodi discende di per sè dal fatto che una società in amministrazione straordinaria sia autorizzata all'esercizio dell'impresa a nulla rilevando che detta azione sia stata proposta durante il programma di risanamento, mentre non censura in alcun modo la pronuncia del giudice di merito omettendo di dedurre che risulta provato in causa l'avvenuto esercizio d'impresa. Tale deduzione viene svolta soltanto con la memoria ove si deduce che l'esercizio in esame risultava provato in virtù della produzione della Gazzetta Ufficiale in allegato al ricorso per Cassazione. Inutile dire che la censura, se di censura si tratta, è stata presentata tardivamente dovendo la stessa essere proposta con il ricorso e non con la memoria e che la produzione della Gazzetta ufficiale è inammissibile non essendo consentita in sede di legittimità la produzione di nuovi documenti. Dovendosi a ciò aggiungere che, tramite la produzione del detto documento, si chiede a questa Corte lo svolgimento di un accertamento in fatto (quale quello della esistenza dell'autorizzazione all'esercizio dell'impresa, in situazioni tali che sarebbe stata esclusa nella altre procedure liquidatone concorsuali, e dell'effettivo esercizio) che è precluso in questo giudizio di legittimità (Cass 9681/99;Cass 5241/03;Cass 5561/04). In conclusione quindi deve ritenersi, conformemente alla pronuncia del giudice di secondo grado, che non risulta provato alcuno esperimento di esercizio d'impresa nel corso della procedura di amministrazione in esame e che, in ogni caso, non risulta provato che l'azione revocatoria sia stata esperita in tale fase. In conseguenza di ciò deve necessariamente ritenersi che l'azione revocatoria sia stata proposta nella fase di liquidazione senza che sia necessario valutare l'influenza che su di essa abbia avuto l'asserito esercizio d'impresa dal momento che tale circostanza è stata ritenuta non provata dalla Corte d'appello sotto il duplice profilo dianzi indicato e sul punto si è ormai formato in giudicato stante l'assenza di specifica censura sul punto. Poste queste premesse, non può che escludersi che l'azione revocatoria per cui è causa sia da considerarsi un aiuto di stato. Non è infatti dubbio che tale azione non rivesta nell'ambito dell'amministrazione straordinaria alcun carattere selettivo dal momento che è del tutto identica a quella prevista nell'ambito di ogni procedura fondata sul presupposto dell'insolvenza come il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa ed essendo basata sui medesimi requisiti ed essendo volta alla stessa finalità di tutela del ceto creditorio nell'ottica del ripristino della "par condicio creditorum". La banca ricorrente deduce ulteriormente l'inapplicabilità della legge 95/79 in ragione del fatto che la stessa, in quanto contenente aiuti di stato, non è stata notificata alla Commissione ai sensi dell'art. 88 del trattato CE.
A tale proposito premesso che può darsi per acquisita la circostanza, che risulta pacificamente dalla decisione della Commissione del 2000, che l'Italia non ha notificato alla Commissione la legge 95/79, si osserva che per potere ritenere disapplicabili in una fattispecie concreta le norme della legge Prodi costituenti aiuti di Stato occorre prima dimostrare che nella fattispecie stessa si è fatta applicazione di dette norme.
Alla luce di quanto dianzi detto appare del tutto evidente che la notifica alla Commissione di un atto legislativo - nel caso di specie la legge Prodi - che contiene un certo numero di norme, alcune delle quali istituiscono un regime di aiuti di stato, deve ritenersi necessaria solo in relazione a queste ultime, mentre non appare necessaria la notifica relativamente a quelle norme che non costituiscono aiuti di stato.
Ciò necessariamente comporta l'irrilevanza della questione della notifica in esame, essendo questa necessaria solo in presenza di una situazione inquadrabile come aiuto che, in base a quanto detto, risulta nel presente giudizio non dimostrata dovendosi ritenere, quindi, che nel caso di specie si sia data applicazione a quelle norme della legge Prodi che non danno luogo ad aiuto di stato. Anche tale censura è dunque priva di fondamento.
Venendo all'esame del secondo motivo lo stesso si rivela infondato. In virtù di quanto in precedenza detto Risulta chiaro che la legge 95/79 costituisce in generale la normativa di regola applicabile "ratione temporis" alte procedure di amministrazione straordinaria instaurate sotto la sua vigenza e che la stessa non risulta, invece, applicabile solo qualora si ponga in contrasto con la normativa comunitaria limitatamente a quelle disposizioni che prevedono aiuti di stato e delle quali si sia concretamente tatto applicazione nel caso di specie.
La deduzione della sussistenza di tali aiuti, costituisce una eccezione in senso sostanziale, in quanto tramite l'invocazione della non applicabilità della legge 95/79 si tende a paralizzare la domanda avversaria escludendo la sussistenza dei presupposti concreti per il suo accoglimento.
Tale eccezione deve essere non solo tempestivamente dedotta ma anche provata dalla parte che la eccepisce essendo in tale ipotesi indispensabile l'acclaramento di quali aiuti l'impresa abbia in concreto beneficiato per accertare - alla luce di quanto in precedenza detto - l'eventuale incompatibilità delle norme della procedura di amministrazione straordinaria in concreto applicate rispetto alla normativa comunitaria.
L'indagine in questione comporta degli accertamenti in fatto (quale quello della esistenza dell'autorizzazione all'esercizio dell'impresa, in situazioni tali che sarebbe stata esclusa nella altre procedure liquidatone concorsuali, e dell'effettivo esercizio;
ovvero quello di avere beneficiato di altri vantaggi, come la garanzia dello Stato per le obbligazioni contratte nel corso della procedura, la riduzione di imposte, la esenzioni di sanzioni o ammende ecc.) che devono essere quanto meno dedotti dalla parte che deve, in relazione ad essi, fornire le prove necessarie, formulando adeguate richieste istruttorie che costituiscano eventualmente sollecitazione dei mezzi di indagine di cui il giudice può disporre d'ufficio, quale la richiesta di informazioni di cui all'art. 213 c.p.c..
In altri termini, spetta alla parte fornire la prova di tutti gli elementi di fatto inerenti alla fattispecie concreta in relazione alla quale il giudice deve pronunciarsi, mentre è compito di quest'ultimo applicare alla fattispecie così individuata la norma corrispondente. Deve invece escludersi che quest'ultimo, di fronte alla astratta possibilità di applicare delle normative diverse ad una data fattispecie a seconda di come questa si atteggi in concreto, possa d'ufficio acquisire elementi di prova al fine di ricostruire gli esatti connotati della fattispecie sulla quale deve giudicare. Alla luce di queste considerazioni del tutto priva di fondamento appare la censura della banca ricorrente secondo cui sarebbe stato onere del giudice di secondo grado accertare d'ufficio la sussistenza degli elementi di fatto per valutare l'applicabilità o meno nel caso di specie della legge 95/79. Tale assunto, infatti, non ha nulla a che vedere con il principio "iura novit curia" e si rivela in palese contrasto sia con il principio dispositivo della prova che con quello dell'onere della prova ipotizzando un tipo di processo a carattere inquisitorio non previsto dal nostro codice. Risulta dalla sentenza impugnata che nulla di tutto ciò è stato chiesto di provare da parte della banca ricorrente onde del tutto corretta appare la decisione della Corte d'appello che ha escluso nel caso di specie, in assenza di ogni richiesta probatoria, di riconoscere la sussistenza di aiuti di stato erogati in virtù della legge 95/79. Il ricorso va in conclusione respinto.
La banca ricorrente va di conseguenza condannata al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 10.000, 00 per onorari oltre euro 100, 00 di esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la banca ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 10.000,00 per onorari oltre euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2005