Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 786 - pubb. 18/02/2002

Gestione patrimoniale: mala gestio e responsabilità della banca

Tribunale Roma, 18 Febbraio 2002. Est. Costa.


Contratto di gestione patrimoniale – Mala gestio – Conflitto di interessi – Responsabilità – Sussistenza.



E’ responsabile di mala gestio -ed è quindi tenuto al risarcimento del danno subito dall’investitore- l’intermediario che nell’ambito di una gestione patrimoniale ceda titoli a basso rischio e ad alto rendimento in cambio di quote di fondi di investimento che si prospettano meno redditizi senza avvisare né ottenere l’autorizzazione del cliente e per di più eseguendo tale operazione in palese conflitto di interessi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 15.3.99, C.B. conveniva in giudizio, dinanzi a questo tribunale, la Unicredito S.p.A. (già Credito Italiano S.p.A.) per sentire dichiarato risolto; per inadempimento dello stesso istituto di credito, il contratto di gestione patrimoniale concluso nel giugno 96, e nel contempo per sentirla condannare al pagamento di quanto ad essa dovuto per effetto dell’inadempimento, quindi £. 15.000.000 a titolo di restituzione delle commissioni versate alla banca; E. 85.225.000 dal giugno 96 all'agosto 2003 per la cedola sui CCT. 612002 e di ulteriori £. 5.225.000 sino al febbraio 2006, oltre al risarcimento del danno per mancato reimpiego di tali rendimenti, Infine, per sentirla condannare al risarcimento dei danni comunque cagionati che quantificava in di £. 850.000.000; il tutto con vittoria di spese e onorari di lite.

A sostegno di tali domande, l'attrice precisava di aver concluso un contratto di gestione patrimoniale con il Credito Italiano S.p.A. nel giugno 96, contraddistinto dal n. 12926, per affidare allo stesso istituto un mandato di gestione del patrimonio dalla stessa conferito costituito da £. 1.200.000.000 in contanti, depositato su un conto corrente, alla stessa intestato, presso il medesimo istituto di credito, nonché da BTP scadenti all'agosto 2003 con rendita annua del 10% e BTP scadenti al febbraio 2006 con rendita annua del 9,5%. Con lo stesso contratto, precisava di aver autorizzato la banca ad acquistare titoli obbligazionari utilizzando la somma contante conferita, mentre i BTP, in quanto titoli ad alto e sicuro rendimento, dovevano essere semplicemente amministrati dalla banca Mediante la riscossione delle cedole periodiche e l'accredito delle somme ricavate. Contrariamente a tali indicazioni, la banca aveva proceduto alla vendita di tutti i BTP al 2003 e di parte di quelli al 2006 pochi giorni dopo il conferimento del patrimonio e del mandato gestorio, per poi impiegare il ricavato di tale vendita nell'acquisto di quote di fondi di investimento (Gesticredit e Rendicredit) di società appartenenti allo stesso gruppo del Credito Italiano, operando, quindi, in evidente condizione di conflitto di interessi e senza la preventiva autorizzazione di essa attrice. Per di più, l'operazione era stata effettuata in Contropartita diretta, ossia sostituendo il BTP con le quote dei fondi per cui dalla stessa le era derivato un. danno notevole, come evidenziato nel prospetto alla data del 30.9.96 (ottenuto solo dopo varie insistenze). La vendita dei BTP, infatti, si era conclusa con una perdita di £. 546.458, per quelli con scadenza al 2003, e di £. 108.662 per gli altri. Pertanto, la banca mandataria aveva sostituito titoli quali i BTP ad alto rendimento con titoli, quali i propri fondi di investimento, di rendimento inferiore, da cui era derivata la perdita iniziale e quella risultante dal rendiconto al marzo 97 di ulteriori £. 33.112.626, e ciò, come detto, in contrasto con le indicazioni ricevute. Atteso l'esito negativo delle citate operazioni, in data 24.6.97 revocava il mandato gestorio alla banca richiedendo, nel contempo, la vendita delle quote di investimento in fondi comuni l'accredito del ricavato su conto corrente alla stessa intestato presso la Rolo Banca, ed altresì il trasferimento dei restanti BTP a quest'ultima banca. Nonostante tale revoca, la convenuta procedeva alla vendita di altri BTP ed all'accredito del ricavato sul proprio conto (£. 1.860.243.197 e £. 1.811.430), ed alle richieste scritte di spiegazioni e di dare esecuzione alle istruzioni impartite in sede di revoca del mandato, nessuna risposta veniva data dalla convenuta. Aggiungeva, ancora, che nonostante le censure espresse dalla Consob, a seguito di suo ricorso, nessun rendiconto finale era stato fornito dalla stessa, né questa aveva specificato dove fosse stata accreditata la cedola del CCT - giugno –2002 scaduta al giugno 97. Evidente risultava quindi l'inadempimento della stessa al contratto di gestione patrimoniale ed altresì la violazione degli obblighi di comportamento posti alla stessa dalla legge 2.01.1991, n. 1, nonchè dagli arti. 1703 e ss. c.c., tra cui sopra tutto quello di rendicontazione ed informazione del cliente che avrebbe impedito la vendita dei BTP, da cui derivava la risoluzione del contratto per fatto e colpa di questa ed il conseguente obbligo risarcitorio per i danni derivati da tali violazioni. Tali danni erano individuabili nel minor realizzo derivante dai BTP e nella perdita subita per la loro vendita e l'acquisto delle quote di fondi comuni, quindi nel ,mancato guadagno di £. 85.225.000 all'anno dal giugno 96 all'agosto 2003 e di ulteriori £. 5.225.000 all'anno per l'ulteriore periodo sino al febbraio 2006, oltre al maggior valore raggiunto da tali titoli attualmente. Infine, andava sommato il mancato accredito della cedola scaduta nel giugno 97 dei CCT, oltre alle commissioni pagate alla banca in esecuzione del contratto risolto per inadempimento della stessa.

Si costituiva l'Unicredito S.p.A. contestando le domande attrici e chiedendone il rigetto. Deduceva, infatti, che l'attrice, diversamente da quanto affermato, aveva conferito l'incarico di acquistare titoli obbligazionari e quote di fondi comuni senza distinguere tra quali risorse utilizzare per tali investimenti, ossia se il contante ovvero i titoli di stato, dunque nessuna violazione del mandato gestorio poteva esserle imputata. Per altro verso, deduceva che nessun obbligo di far ottenere un. vantaggio economico dall'investimento sussisteva sul gestore del patrimonio, qual era essa convenuta, vertendosi in un'obbligazione di mezzi e non di risultato. Né l'attività gestoria era sindacabile negli aspetti discrezionali del suo svolgimento, come pretendeva di fare l'attrice attraverso la valutazione ex post dell'operato e dei risultati ottenuti. Quanto al conflitto di interessi, rilevava che nella specie non sussisteva affatto, giacché l'operazione di acquisto di fondi comuni dello stesso gruppo di essa convenuta era stata espressamente autorizzata, senza limiti, da parte dell'attrice, sicché non vi era stata alcuna inosservanza alle norme di legge. Mentre, per ciò che riguardava il dovere di informazione, faceva presente di aver inviato regolarmente, alle scadenze stabilite, tutti i rendiconti trimestrali all'attrice, e che in ogni caso nessun danno era derivato da tale fatto. Ed ancora, rilevava che la cedola dei CCT scaduta il 1.6.97 era stata regolarmente accreditata il giorno successivo la scadenza. Eccepiva infine che la domanda risolutoria non poteva.essere accolta avendo l'attrice già esercitato il recesso a termini di contratto, sicché l'azione di risoluzione era inammissibile, ed il danno lamentato, per mancato incasso della rendita dei BTP, doveva essere comunque diminuito della rendita e profitto ritratto dalle quote di fondi comuni. Inoltre lo stesso danno non poteva determinarsi giacché quest'ultimo investimento, se portato a compimento nel corso del tempo, avrebbe pututo rivelarsi piùl conveniente, sino ad escludere, quindi, qualsiasi danno; risultato non verificabile per il recesso operato dall'attrice.

Acquisiti i documenti, assunto l'interrogatorio libero delle. parti ed espletata la c.t.u., le parti concludevano come in atti e la causa veniva trattenuta in decisione alla scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le domande attrici sono fondate e vanno accolte.

Tali domande scaturiscono, infatti, dalla contestazione mossa dall'attrice C.B. alla convenuta Unicredito Italiano S.p.A. basata sulla violazione ed inosservanza, da parte di quest'ultima, dei doveri di correttezza e diligenza professionale previsti in generale dalle norme in materia di mandato, in particolare dalla legge 2.01.1991, n. 1 in materia di attività finanziarie, oltre che dal contratto 18.6.96 concluso tra le stesse parti.

Assume l'attrice la responsabilità dell'istituto bancario per il danno ad essa derivatole per avere lo stesso effettuato, senza alcuna espressa e preventiva autorizzazione, la vendita di BTP per 800 milioni di lire al 10% di rendita annuale, e con scadenza all'agosto del 2003, e la vendita di BTP per 55 milioni di lire al 9,5% di rendita annuale, con scadenza al febbraio 2006, per acquistare quote di fondi di investimento Gesticredit e Rendicredit: appartenenti allo stesso istituto mandatario, realizzando in tal modo un'operazione in aperto conflitto di interessi, del quale aveva omesso ogni preventiva rivelazione e comunicazione, ad essa mandante, della natura e dell'estensione. Inoltre, la sussistenza del conflitto d'interessi era resa ancor più evidente dalle modalità con cui l'operazione di vendita dei titoli di Stato dalla stessa posseduti era stata realizzata, giacché l'operazione di vendita di questi e l'acquisto delle quote di fondi comuni era avvenuta in contropartita diretta, ossia i titoli della C.B. erano stati acquisiti, in luogo delle quote, dai citati fondi comuni d'investimento di proprietà della banca mandataria.

Le censure e doglianze richiamate sono fondate e dimostrate dalla documentazione in atti di causa, oltre che dalle difese della banca convenuta.

Occorre in primo luogo evidenziare che non é contestato il fatto dell'acquisto delle quote di fondi comuni della Gesticredit e Rendicredit (peraltro risultante dai rendiconto allegati dall'attrice), né è contestato che tali fondi appartenessero - come sostenuto dall'attrice alla stessa banca. Né ancora che l'operazione di vendita dei BTP e dei contestuale acquisto delle  quote sia avvenuto "in contropartita diretta", ossia sostanzialmente mediante una dazione dei titoli di Stato ai due fondi di investimento per l'acquisto delle quote, di modo che i titoli sono stati acquistati dal citati fondi comuni della banca.

Orbene, a fronte di tale vicenda esecutiva del contratto 18.6.96 (prodotto da entrambe le parti quindi riconosciuto reciprocamente), relativo dalla gestione del patrimonio conferito dall'attrice alla banca convenuta con mandato gestorio, risulta evidente la mala gestio della stessa banca mandataria nell'espletamento dell'incarico affidatole.

In particolare, l'irregolare esecuzione del mandato attiene proprio alla decisione da questa di vendere i titoli di Stato citati, il cui rendimento certo (rispettivamente del 10% e 9,5% per diversi anni) non era paragonabile con la rendita che poteva trarsi da altri tipi di investimento; ed in specie con l'acquisto di fondi comuni. Già tale decisione, non corrispondente ai canoni di diligenza e perizia professionale imposta al gestore istituto bancario, palesa la negativa esecuzione del mandato, dato che l'evidenza della sconvenienza economica dell'operazione (che in base alla professionalità della banca, doveva a questa essere nota) imponeva all'istituto di informare preventivamente il mandante del rischio (rectius: certezza) negativo dell'operazione e di procedere all'esecuzione della stessa solo su espressa richiesta e/o autorizzazione del mandante.

Non solo tale precauzione e diligenza professionale non è stata attuata dalla banca, ma, al contrario, la stessa ha compiuto tale vendita dei BTP (peraltro di rilevante quantità patrimoniale) senza autorizzazione del mandante e senza comunicazione tempestiva dell'esecuzione dell'operazione, tanto da costringere la C.B. a sollecitare in vario modo l'invio dei resoconti (dovuti periodicamente per legge e per contratto) alla stessa banca.

A fronte della rilevante operazione compiuta su circa 850 milioni di BTP, l'omesso tempestivo invio dei resoconti trimestrali, nonostante le pressioni dell'attrice, è indice certo del grado di negligenza espresso in generale dalla convenuta nella gestione del rapporto con la C.B..

L'aspetto, tuttavia, più rilevante sotto il profilo del grado di negligenza e imperizia dimostrato, è rappresentato dal palese conflitto di interessi cui l'operazione in parola dava luogo, trattandosi, come detto, di fondi comuni della stessa banca ovvero da questa controllati, sicché l'acquisto delle quote in contropartita diretta di fatto di risolveva in un vantaggio o potenziale vantaggio della banca a scapito del cliente e mandante C.B.

Va tenuto presente.- quale dato di comune esperienza (anche se la stessa logica deduzione è svolta anche dal c.t.u.) - che i fondi comuni di investimento, essendo costituiti tra l'altro da titoli di. Stato vari (quali BOT e CCT), a rendimento inferiore dei BTP, non

poteva fornire all'attrice un rendimento superiore a quello ritratto dai BTP posseduti da questa ed affidato in gestione alla banca, sicchè la sostituzione di tali BTP con quote di fondi comuni per un verso ha diminuito sensibilmente la rendita fruibile dalla C.B., per altro verso, prodotto un potenziale vantaggio ai fondi in cui gli stessi sono confluiti. Tale vantaggio potenziale o effettivo è fornito infatti dall'acquisizione al fondo Comune di titoli ad alta redditività stabile nel tempo, sicché, ha costituito per i fondi un'operazione di segno certamente positivo.

Poiché i fondi interessati dall'operazione di acquisto erano all’epoca del fatti di. proprietà della convenuta, ed in ogni caso questa era direttamente interessata dall'andamento degli stessi, appare evidente la grave irregolarità manifestata dalla banca nell'esecuzione del mandata di gestione patrimoniale per cui é causa.

Sotto altro profilo, va evidenziato ulteriormente il grado di negligenza espresso dalla banca per via della disponibilità di una somma rilevantissima di denaro contante messa a disposizione dall'attrice per gli investimenti finanziari. Come da questa ribadito e documentato, all'atto di affidamento del mandato gestorio, aveva conferito al patrimonio da gestire la somma di £. 1.200.000.000 contante, oltre £.800.000.000 di BTP al 10% e £.150.000.000 di BTP al 9.5%, sicché sussistevano rilevantissime sostanze finanziarie per eseguire e dare corso al mandato da parte della banca senza intaccare immediatamente la componente più stabile e redditizia del patrimonio conferito. Dagli atti di causa (e la circostanza. non è contestata) risulta che la vendita dei titoli di Stato è avvenuta nei due giorni successivi all'affidamento del mandato.

In ogni caso, la natura dell'incarico da una parte e la potenzialità lesiva dell'operazione per l'attrice doveva indurre la banca ad avvisare ed informare adeguatamente la stessa prima di procedere all'operazione, fermo l'obbligo già sottolineato di ottenere, nel caso di specie, un'autorizzazione preventiva ed espressa per via del particolare conflitto di interessi esistente.

A tale riguardo, nessun pregio può assumere l'eccezione difensiva svolta dalla banca, secondo cui non sarebbe stata necessaria alcuna autorizzazione al compimento di detta operazione giacché si trattata di mandato di gestione patrimoniale senza limiti di sorta, e ricomprensivo delle operazioni in conflitto di interessi.

Deve rilevarsi, in contrario a detta argomentazione difensiva, che l’autorizzazione a compiere operazioni di acquisto di titoli della stessa azienda bancaria o dello stesso gruppo di questa, effettivamente contenuta nel mandato della C.B. non appare in contrasto con il dovere della banca di ottenere dalla stessa l'autorizzazione per l'operazione in contestazione. Infatti, risulta chiara la diversità delle due attività consentite al mandatario nell'uno e nell'altro caso, quindi evidente la relativa separazione dei poteri da questo avuti nelle due ipotesi.

Nella prima, ossia quella prevista dal contratto, si indica solamente la possibilità di effettuare operazioni di investimento anche su titoli della stessa azienda di credito ovvero del gruppo cui la stessa appartiene, nella seconda, quella sostenuta dall'attrice e qui accolta, si rileva che in concreto il conflitto di interessi sotteso dall'operazione è costituito non solo dall'acquisto di fondi comuni dello stesso gruppo economico della convenuta, bensì dal fatto coevo che la vendita dei BTP era obiettivamente sconveniente per l'attrice, e non necessaria al momento della attuazione (non avendo caratteristiche di urgenza tali da non informare preventivamente la titolare) dato che esisteva una cospicua somma contante per gli investimenti da realizzare ed al tempo stesso conveniente per i fondi comuni riferibili alla mandataria. 

Pertanto, appare di tutta evidenza la diversità delle situazioni in esame, atteso che la generale autorizzazione della C.B., di cui al contratto gestorio, ad effettuare investimenti anche in conflitto di interessi, per titoli della stessa mandataria e del suo gruppo, doveva intendersi (in base al principio generale di correttezza e buona fede nell'adempimento delle obbligazioni, ex artt. 1175 e 1375 c.c.) limitata alla somma contante e non anche ex se ai titoli BTP, avendo questi un rendimento superiore a quello di qualunque altro investimento in fondi comuni. Pertanto, appare più che logico e scontato che l'affidamento dei predetti titoli di Stato alla banca per la gestione patrimoniale dovesse riguardare anzitutto la mera riscossione delle cedole periodiche dei rendimenti e il loro reimpiego in fondi comuni o titoli obbligazionari, come previsto dal contratto di gestione, e non la vendita immediata degli stessi, salvo esplicita e diversa decisione del mandante, che nella specie non vi è mai stata.

Non può ritenersi ammissibile che un operatore professionale, qual é l'istituto bancario convenuto (in base all'ulteriore principio della diligenza prevista dall'art. 1176, II comma, c.c., del c.d. bonus argentarius), possa tralasciare una siffatta valutazione di intuitiva percezione anche per il cosiddetto uomo della strada; ed a fortiori nel caso di specie laddove il contratto di gestione patrimoniale si riferiva ad acquisti obbligazionari con minima esposizione al rischio, onde per cui era evidente il contenuto implicito del mandato conferito alla banca di indirizzare gli investimenti demandati in modo da non esporre il mandante a particolari rischi. Ciò doveva realizzarsi preferendo investimenti che non

diminuissero la rendita iniziale del capitale, mentre, al contrario, tale prospettazione è stata subito attuata dalla banca.

Pertanto, nel caso di specie non viene in evidenza la discrezionalità tecnica dell'operatore-estore - rivendicata dalla banca come ambito insindacabile della propria attività - ma- l'uso improprio ed assolutamente irregolare, oltre che tecnicamente errato, di tale autonomia operativa e decisionale sugli investimenti, da cui, in caso di effetti dannosi, deriva la responsabilità del gestore.

La responsabilità della banca emerge inoltre da quanto dalla stessa argomentato in via difensiva, ossia dal fatto di aver compiuto la vendita dei titoli della C.B. nell'ottica di un programma di investimento i cui frutti si sarebbero potuti valutare solo nell'arco di un periodo di tempo prolungato, non potutosi verificare per il recesso dell'attrice e la breve durata del rapporto, nell'ambito  del quale non poteva sindacarsi la discrezionalità dell'operatore.

Orbene; tale tesi si scontra con l'evidenza dei fatti, in quanto, oltre ad essere del tutto generica in ordine alle rendite che l'investimento programmato, secondo le valutazioni  della stessa.banca, avrebbe dato, tali quindi da giustificare in astratto la scelta di vendere titoli particolarmente redditizi, nessuna dimostrazione del buon esito dell'operazione é stata in concreto fornita dalla banca.

Quest'ultima, infatti, pretende di giustificare la scelta di vendere i BTP della C.B. per acquistare nel contempo quote di fondi comuni (con le modalità già viste) giacché aveva valutato -nell'ambito della discrezionalità spettante all'intermediario - la convenienza complessiva dell'operazione. In altri termini, se da una parte la vendita di detti titoli poteva risultare sconveniente per l'alto reddito dagli stessi ritraibile con certezza, dall'altra, tale diminuzione reddituale, sarebbe stata compensata e superata dai maggiori ricavi che dall'investimento complessivo sarebbero derivati all'attrice.

A parte il rilievo che in ogni caso, a fronte di una operazione che dava esito diminutivo del patrimonio, doveva essere specificamente interpellato il titolare del conto di gestione, ossia l'attrice e informato del fatto, resta comunque il fatto rilevante che se la banca progettava una tale operazione di investimento che comprendeva, tra l'altro, anche la cessione di titoli altamente remunerativi, aveva il dovere di rappresentare e illustrare tale programma speculativo al cliente, e non attuare anzitutto la vendita dei citati titoli senza alcun avviso o autorizzazione e lasciare il cliente del tutto all'oscuro circa la visione complessiva del programma in guisa da non consentire allo stesso di valutare se realizzarlo o meno.

Tale omissione di adeguata informazione è assolutamente contraria ai principi normativi che regolano la materia de qua, quali quelli contenuti nella legge 2.01.1991, n. 1 (art. 5, 6 e 9), e quelli generali in tema di obblighi del mandatario di non compiere operazioni contrarie all'interesse del mandante, ovvero operazioni che se note allo stesso non verrebbero approvate e sarebbero tali da portare alla revoca del mandato.

Poiché quanto dedotto dalla convenuta a sua difesa non ha valore esimente, appare evidente come la condotta della stessa, come contestata dall'attrice, trovi giustificazione proprio nell'ambito dell'interesse dalla stessa avuto all'operazione; interesse assolutamente contrario a quello dei mandante. Ne consegue, pertanto, la pronunzia risolutoria del contratto 18:6.96 per fatto e colpa della banca, e la condanna della stessa al risarcimento dei danni subiti dall'attrice.

In merito ai danni, è stata disposta la c.t.u. per accertare l'entità della diminuzione patrimoniale subita dall'attrice per effetto della condotta posta in essere dalla banca.

Tali danni, dato la vicenda che qui occupa e le censure svolte dall'attrice all'operato del gestore, sono concettualmente rappresentati dalla perdita della rendita (cedole) che l'attrice avrebbe ritratto dai BTP sino alla loro naturale scadenza se questi non fossero stati venduti dal gestore, e dalla perdita della rendita derivante dal reimpiego delle predette rendite in ulteriori investimenti secondo quanto previsto dal contratto di gestione: ossia la rendita della rendita.

Quanto alla prima voce del danno, il c t.u. ha calcolato la perdita della rendita dei BTP in complessive £. 534.678.298 al netto delle imposte, quanto alla perdita dell'utile derivante dal reimpiego periodico di detta somma, questo è stato determinato in £. 163.911.688 sino al marzo 99 e in £. 93.225.990 da tale data alla naturale scadenza dei titoli ove gli stessi non fossero stati disinvestiti, sicché il danno risarcibile all'attrice è costituito dalla somma di tali valori, ovverosia £. 791.815.976.

Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla domanda giudiziale all'effettivo soddisfo.

La domanda di maggior danno e rivalutazione è inammissibile in quanto proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, come tale tardiva. In ogni caso, va tenuto presente che il danno liquidato all'attrice è già comprensivo del fenomeno negativo della svalutazione monetaria perché determinato in relazione alla rendita che presumibilmente sarebbe derivata dall'investimento, quindi al di fuori dell'incidenza delta svalutazione.

Le spese di lite, per come già detto, seguono la soccombenza e si liquidano come da separato dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale, definendo il giudizio, così provvede:

1) dichiara risolto per fatto e colpa dell' Unicredito Italiano S.p.A. (già Credito Italiano S.p.A.) il contratto concluso tra le stesse parti in data 18.6.96 per la gestione del patrimonio da parte della banca contraddistinto col n. 12920;

2) condanna l'Unicredito Italiano S.p.A. (già Credito Italiano S.p.A.) al pagamento in favore di C.B. di £. 791.815 976 (euro 408.938,80), a titolo di risarcimento danni, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo;

3) condanna I'Unicredito Italiano S.p.A. a rifondere a C.B. le spese di lite che si liquidano in complessive £. 18.000.000 (euro 9296,22), di cui £. 12.800,000 per onorari di avvocato e £. 5.200.000 per diritti e spese, oltre i.v.a. e c.a.p. come per legge, e spese di c.t.u. anticipate;

4) dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del maggior danno da svalutazione monetario proposta dall'attrice C.B.