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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 9368 - pubb. 05/08/2013.

Sull’infondatezza dell’istanza del debitore di rimessione in istruttoria prefallimentare per attendere il deposito di proposta, piano e documentazione relativi ad una domanda di c.p. ex art. 161, 6° co. l.f.


Tribunale di Perugia, 19 Luglio 2013. Pres., est. Rana.

Fallimento – Chiusura dell’istruttoria prefallimentare e rimessione al Collegio del procedimento per la decisione – Deposito in corso di istruttoria prefallimentare di domanda di concordato con riserva ex art. 161, 6° co. l.f. – Istanza del debitore di rimessione in istruttoria per attendere il deposito di proposta, piano e documentazione – Infondatezza – Decisione sull'istanza di fallimento – Precedenza – Abuso del diritto – Sussistenza – Accesso alla procedura di concordato preventivo – Preclusione.


Nel bilanciamento tra iniziative riconducibili all'autonomia negoziale delle parti (concordato preventivo) ed esigenze di natura pubblicistica al cui soddisfacimento è finalizzata la procedura fallimentare, il tribunale -in presenza di ricorso contenente domanda di concordato con riserva depositato nel corso dell’istruttoria prefallimentare ma non ancora integrato alla data di rimessione del procedimento al Collegio, non essendo scaduto il termine concesso ex art. 161, 6° co. l.f.- trovandosi nell'impossibilità di valutare la serietà e la concreta attuabilità del piano, non è tenuto a rimettere in istruttoria il procedimento, ma deve dare la precedenza alla decisione sulle istanze di fallimento, precludendo al debitore di coltivare l'ammissione al concordato preventivo quando il ricorso allo strumento concordatario si configuri come forma di abuso del diritto, ed emergano, a seguito di istruttoria d'ufficio o su segnalazione del creditore, elementi fattuali concreti indicativi di situazioni illecite o illegittime o comunque dannose per la massa dei creditori, non neutralizzabili neanche dallo strumento offerto dal nuovo secondo comma dell'art. 69 bis l.f. (1) (Raffaella Falini) (riproduzione riservata)

Segnalazione del Dott. Patrizio Caponeri



Il testo integrale

(1) Nella fattispecie esaminata il debitore aveva presentato, nel corso dell’istruttoria ex art. 15 l.f., una domanda di concordato con termine, ancora pendente, per il deposito integrativo ex art. 161 co. 6° l.f., non ancora effettuato alla data della rimessione del procedimento al Collegio per la dichiarazione di fallimento. In base all'erroneo assunto secondo il quale il Tribunale avrebbe dovuto attendere il deposito della proposta, del piano e della documentazione prima di deliberare sulle istanze di fallimento, il debitore chiedeva la rimessione in istruttoria del procedimento per la dichiarazione di fallimento. Il Collegio ha ritenuto infondata l'istanza avanzata ricordando, quanto ai rapporti tra istruttoria prefallimentare e domanda di concordato preventivo depositata nel corso della stessa, che per impedire iniziative dilatorie e strumentali del debitore volte solo ad evitare (o anche solo a procrastinare) la dichiarazione di fallimento, il tribunale, prima di accertare la regolarità formale della domanda e la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 160 e 161 l.f., è tenuto a valutare se l'accoglimento della proposta concordataria sia per la massa dei creditori più vantaggiosa rispetto alla soluzione fallimentare. Pertanto “quando il concordato si fonda su uno stato di insolvenza e la relativa domanda venga depositata nel corso dell'istruttoria prefallimentare la prevalenza della procedura di concordato rispetto al fallimento è giustificata solo se la proposta concordataria è finalizzata a conseguire due, alternativi, obiettivi: (1) – la conservazione imprenditoriale e la ripresa dell'attività produttiva, ovvero (2) – il soddisfacimento dei creditori mediante un modello tipicamente liquidatorio che, però, deve sostanziarsi in un programma più vantaggioso rispetto a quello conseguibile con la liquidazione fallimentare (v. Trib. Perugia, 4 novembre 2009, in www.osservatorio-oci.org ed in www.ilcaso.it). Quanto appena evidenziato postula che il debitore abbia presentato una domanda completa, con allegati piano e proposta. La situazione si complica evidentemente nell'ipotesi in cui il debitore depositi, come nel caso concreto, un ricorso ex art. 161 co. 6° l.f., ossia una domanda di concordato con riserva di integrazione, entro il termine assegnato dal tribunale, mediante proposta, piano e documentazione, sostenendo che la deliberazione sull’istanza di fallimento non possa precedere il deposito integrativo normativamente previsto. Di un simile assunto il Collegio ha rilevato l'integrale infondatezza riassumendone le ragioni nei seguenti punti fondamentali: a) non sussiste un diritto del debitore ad ottenere un rinvio della decisione sulle istanze di fallimento onde consentirgli il ricorso alla procedura di concordato preventivo (v. Cass., 4 settembre 2009, n. 19214, in Mass. Foro it., 2009, 1122); b) il riferimento contenuto nell'ultimo comma dell'art. 161 l.f. all'art. 22 co. 1° l.f. va inteso nel senso che se il concordato con riserva viene presentato in pendenza di procedimento prefallimentare può essere concesso un termine superiore a 60 giorni solo in caso di rigetto dell'istanza di fallimento, ma non certo nel senso che è precluso l'esame delle istanze di fallimento in attesa della scadenza del termine e del completamento della domanda di concordato. Infatti, come osservato in sentenza “un automatismo del genere condurrebbe all'aberrante conseguenza di legittimare condotte dilatorie senza alcuna possibilità di preventivo sindacato da parte dell'autorità giudiziaria”; c) se è vero che il novellato art. 161 l.f. conferma il tendenziale favor del legislatore per la soluzione concordataria, è altrettanto vero che da nessuna disposizione della legge fallimentare può trarsi il legittimo convincimento che la trattazione del procedimento prefallimentare debba essere necessariamente subordinata all'avvenuta definizione del procedimento di concordato preventivo; nè è invocabile la preclusione procedimentale di cui all'art.168 l.f. posto che l'istanza di fallimento non è equiparabile all'atto introduttivo di una procedura esecutiva individuale (v. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Foro it., 2013, I, 1534). Nel caso in esame sono emersi, poi, profili di rilevanza penale nella condotta tenuta dall'amministratore della società debitrice. Tra le altre circostanze, si erano susseguite operazioni univocamente e chiaramente volte al depauperamento del patrimonio della fallenda Old Company (che aveva già deliberato lo scioglimento, la liquidazione, nonché trasferito la propria sede da Perugia a Roma) tramite un contratto d'affitto, avente ad oggetto tutta l'azienda, stipulato con la costituita New Company affittuaria, così da scaricare sulla OldCo le passività anteriori al contratto medesimo consentendo alla NewCo di continuare l'attività di impresa al riparo da possibili aggressioni patrimoniali. Al riguardo il Giudice ha evidenziato che il depauperamento del patrimonio in cui si concreta il delitto di bancarotta può realizzarsi anche con l'affitto d'azienda quando il complesso dei beni affittati esaurisce, come nella vicenda in questione, il compendio aziendale dell'impresa, la quale cessa conseguentemente ogni attività economica con trasferimento della disponibilità di tutti i beni aziendali ad altro soggetto e con effetti vincolanti pregiudizievoli per la massa anche dopo il fallimento stante l'opponibilità del contratto alla luce delle previsioni di cui agli artt. 79 l.f. e 2923 c.c. In definitiva, l'emersione di profili di illiceità (di rilevanza anche penalistica stante il procedimento avviato già in ordine al delitto di cui all’art. 388 c.p.) nelle operazioni tutte riconducibili al comportamento del debitore ha indotto il Tribunale, vista la configurabilità concreta di un abuso del diritto attuato tramite lo strumento concordatario, a dare a fortiori la precedenza all'esame dei presupposti di fallibilità, così come richiesto, peraltro, dal creditore che aveva segnalato suddetti profili insistendo per la dichiarazione di fallimento e così dimostrando di non avere alcun interesse ad una piena informazione sull'iter concordatario. Non sussistendo alcun dubbio in merito alla ricorrenza dei presupposti oggettivo e soggettivo di fallibilità del debitore, ne è conseguita la dichiarazione di fallimento. (Raffaella Falini)