Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 989 - pubb. 01/10/2007

Impresa agricola, attività connesse, fallimento e requisiti dimensionali

Tribunale Mantova, 30 Agosto 2007. Est. Bernardi.


Imprenditore agricolo – Requisiti – Società commerciale – Oggetto dell’attività – Rilevanza.

Impresa agricola – Commercio di bovini e integratori alimentari – Attività connessa – Natura di attività agricola principale – Prova – Necessità.

Dichiarazione di fallimento di società commerciale – Requisiti dimensionali – Investimenti – Criterio temporale – Applicazione analogica – Ammissibilità.



Anche gli enti costituiti in forma di società commerciale (nel caso di specie s.a.s.) possono assumere la veste di imprenditore agricolo ex art. 2135 c.c. dovendosi avere riguardo unicamente alla natura dell’attività esercitata, quale che sia la complessità organizzativa assunta dall’azienda. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L’attività di commercio di bovini, di mangimi e loro integratori per uso zootecnico nonché di prodotti agricoli in genere non può considerarsi connessa ai sensi dell’art. 2135 I e III co. c.c. ove difetti la prova che essa derivi, in via prevalente, dall’esercizio delle attività c.d. agricole principali (di quelle cioè elencate al primo comma della norma in esame). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In difetto di specifica indicazione normativa dell’arco temporale rilevante ai fini della verifica della sussistenza del requisito degli investimenti previsto dall’art. 1 l.f. nel testo novellato dal d. lgs.5/06, debbono prendersi in considerazione, nel caso di società commerciale, gli ultimi tre esercizi dovendosi fare ricorso, in via analogica, al criterio stabilito nella medesima norma a proposito dei ricavi e fissato altresì nell’art. 14 l.f., avendo riguardo alla data di deposito del ricorso di fallimento. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


omissis 

SENTENZA

Avente per oggetto: dichiarazione di fallimento.

Letto il ricorso n. 42/07 promosso dal Fallimento Realfood s.r.l. in liquidazione  per la dichiarazione di fallimento della società V. di L. A. e C. s.a.s.;  

vista la documentazione allegata;

considerato che la debitrice risulta essere iscritta alla sezione ordinaria della camera di commercio quale impresa agricola e che il collegio è tenuto ad  accertare, senza essere vincolato dalle allegazioni delle parti, se il debitore sia un imprenditore commerciale insolvente;

considerato che anche gli enti costituiti in forma di società commerciale possono assumere la veste di imprenditore agricolo ex art. 2135 c.c. dovendosi avere riguardo unicamente alla natura dell’attività esercitata, quale che sia la complessità organizzativa assunta dall’azienda, sia perché ciò è consentito dall’art. 2249 II co. c.c. sia perchè le norme dettate dal codice civile agli artt. 2082 e segg. c.c. disciplinano in generale l’attività di impresa che può avere natura agricola o commerciale ed essere esercitata in forma individuale o collettiva (tale ultima modalità è inoltre prevista, ma per diversi fini, dall’art. 10 del d. lgs. 228/01);

considerato che ai fini dell'attribuzione della qualifica di imprenditore ciò che assume rilevanza nella società è l'oggetto sociale, quale risulta dall'atto costitutivo e non l'attività in concreto esercitata (cfr. Cass. 28-4-2005 n. 8849; Cass. 26-6-2001 n. 8694; Cass. 4-11-1994 n. 9084; Cass. 10-8-1979 n. 4644; Cass. 22-6-1972 n. 2067; Cass. 10-8-1965 n. 1921) e che l'oggetto sociale della debitrice, oltre all’allevamento di bestiame, contempla lo svolgimento anche delle attività di commercio di bovini, mangimi e loro integratori per uso zootecnico nonché di prodotti agricoli in genere, rientranti come tali nell’ambito di previsione di cui all’art. 2195 n. 2 c.c.;

considerato in particolare che le attività in questione non possono considerarsi connesse ai sensi dell’art. 2135 I e III co. c.c. difettando la prova che la commercializzazione degli animali o dei prodotti sopra indicati derivi, in via prevalente, dall’esercizio delle attività c.d. agricole principali (di quelle cioè elencate al primo comma della norma in esame) ed anzi emergendo dagli atti una presunzione in senso contrario stante l’enorme entità del passivo (oltre € 14.5000.000,00) non compatibile con una attività di allevamento di animali esercitata in conformità del criterio sancito dall’art. 2135 III co. c.c. ed il fatto che parte rilevante delle poste dell’attivo e del passivo è costituita da operazioni di natura strettamente finanziaria, valutazione ulteriormente confortata dalla circostanza che la natura agricola dell’impresa non è neppure stata prospettata dalla difesa della resistente sicché deve concludersi che la Vitalzooo sia da qualificare come imprenditore commerciale;

osservato che, alla stregua del disposto di cui all’art. 1 l.f. nel testo risultante a seguito della novella introdotta con il d.lgs. 5/06, soggiace al fallimento l’imprenditore commerciale che ha, in via alternativa, effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore ad € 300.000 ovvero realizzato ricavi lordi, calcolati nella media degli ultimi tre anni, per un ammontare complessivo superiore ad € 200.000,00;

rilevato, quanto ai ricavi, che dall’istruttoria esperita non risulta il superamento del  parametro normativo;

ritenuto, in ordine agli investimenti, che in difetto di specifica indicazione normativa dell’arco temporale rilevante ai fini dell’indagine vanno presi in considerazione, trattandosi di società commerciale, gli ultimi tre esercizi  dovendosi fare ricorso, in via analogica, al criterio stabilito dall’art. 1 l.f. a proposito dei ricavi e fissato altresì nell’art. 14 l.f., avendo riguardo alla data di deposito del ricorso di fallimento;

osservato che fra gli investimenti va annoverato anche l’attivo circolante  comprensivo anche dei crediti;

considerato che facendo riferimento l’art. 1 l.f. agli investimenti effettuati occorre tener conto del valore degli stessi al momento dell’accertamento e che, a tal fine, è sufficiente che tale dato, nell’arco temporale suddetto, abbia superato il limite di euro 300.000,00 soccorrendo a tal fine la lettera della legge, l’osservazione secondo cui, in prossimità della dichiarazione di fallimento, il patrimonio è di regola in larga misura venuto meno e quindi assume scarso significato ai fini degli accertamenti che il tribunale viene chiamato a svolgere e che l’intento del legislatore è stato quello di introdurre dei criteri volti ad individuare, sia pure in un ambito temporale definito, l’effettiva consistenza non solo del patrimonio aziendale ma anche delle dimensioni assunte, nell’ambito del mercato, dall’impresa insolvente (vedasi in proposito la relazione al decreto legislativo n. 5/06) al fine evidente di sottrarre dall’area della fallibilità le imprese che non raggiungono i ricordati limiti;

osservato che dalle copie (acquisite presso l’amministrazione finanziaria) delle dichiarazioni dei redditi della società debitrice relative agli anni 2004 e 2005 risultano indicati crediti verso terzi pari rispettivamente ad € 2.119.852,00 e ad € 2.781.266,00 (non potendosi invece tener conto dei dati emergenti dal libro degli inventari depositato nel corso dell’udienza ove risulta riportato un generico fondo svalutazione crediti, atteso che non vi è certezza né dell’autore delle annotazioni ivi contenute né del momento della loro redazione, rilevandosi peraltro che la nuova disciplina delle strutture di bilancio delle società prevede che l’appostazione dei crediti avvenga mediante la diretta riduzione del valore iscritto all'attivo) e che non può comunque accogliersi l’assunto difensivo secondo cui non si potrebbe tener conto di tali crediti in quanto sorti in larga misura verso società dichiarate fallite (peraltro solo nel 2005) posto che si tratta di procedure ancora aperte e che non vi è certezza in ordine alle eventuali prospettive di riparto;

ritenuto che lo stato di insolvenza si  desume dall’entità del credito azionato (€ 304.519,14), dall’esposizione complessiva, dall’esito negativo della esperita procedura esecutiva mobiliare nonché della cessazione dell’attività di impresa;

considerato che la procedura non riveste particolare complessità;

ritenuto che questo Tribunale è competente ai sensi dell’art. 9 del  R.D. 16.3.1942 n. 267  poiché  la  sede  principale  dell’impresa  della  società debitrice si trova in M., via P. n. 2;

rilevato che il socio accomandatario L. A. è già stato dichiarato fallito con sentenza di questo tribunale sicché deve pronunciarsi il fallimento unicamente dell’altro socio illimitatamente responsabile;

P.Q.M.

omissis

Così deciso in Mantova, li 30-8-2007.