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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20088 - pubb. 03/07/2018.

Sospensione cautelare di deliberazioni societarie, arbitrato e competenza concorrente del giudice ordinario


Tribunale di Roma, 22 Aprile 2018. Est. Romano.

Arbitrato - Tutela cautelare - Effettività della tutela giurisdizionale - Competenza concorrente del giudice ordinario

Impugnazione di deliberazioni societarie - Devoluzione in arbitrato - Sospensione delle deliberazioni - Competenza concorrente del giudice ordinario - Sussistenza


Il principio di effettività della tutela giurisdizionale implica necessariamente che gli organi statali assicurino, sempre ed in ogni caso, la disponibilità di una giustizia cautelare che, anche in caso di devoluzione agli arbitri della cognizione su una determinata controversia, renda immediatamente fruibili le esigenze di celerità ed effettività della tutela. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La devoluzione in arbitrato delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni societarie non osta alla competenza concorrente del giudice ordinario in ordine al provvedimento cautelare di sospensione delle deliberazioni medesime. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

Tribunale di Roma

Sezione specializzata in materia di imprese

Sedicesima sezione civile

 

letti gli atti e le deduzioni della parte, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 3 aprile 2017 (con concessione alle parti del termine fino al 6 aprile 2018 per il deposito di note illustrative e fino al 9 aprile 2018 per il deposito di memorie di replica);

 

il Giudice, dott. Guido Romano,

premesso che:

- con ricorso depositato in cancelleria ai sensi dell’art. 2378 c.c. ovvero, in subordine, ai sensi dell’art. 700 c.p.c. in data 9 marzo 2017, la S. s.r.l., in persona del legale rappresentante Sig. G. S., chiedeva al Tribunale di Roma, nel contraddittorio con la C. S.p.A., di «disporre l’immediata sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea dei soci in data 22 dicembre 2017, con immediata reintegra nella carica di amministratore unico del sig. G. S., con tutte le conseguenze di legge»;

- notificato il ricorso ed il pedissequo provvedimento di fissazione dell’udienza, si costituiva la G. S.p.A. la quale concludeva per il rigetto dell’impugnativa;

- all’udienza del 3 aprile 2018, le parti procedevano alla discussione orale della causa all’esito della quale il Giudice riservava la decisione con concessione alle parti del termine fino al 6 aprile 2018 per il deposito di note illustrative e fino al 9 aprile 2018 per il deposito di memorie di replica;

 

osserva quanto segue

1. La G. S.p.A. è una società con capitale sociale interamente versato per € 41.300.000,00 operante nel settore alberghiero. Essa, infatti, è proprietaria di un immobile adibito ad uso alberghiero la cui gestione, sino alla data del 27 dicembre 2017, era affidata alla società La G. Group s.r.l., società unipersonale il cui 100% del capitale sociale appartiene al sig. V. S. e la carica di amministratore unico è affidata alla madre di quest’ultimo Sig.ra M. Sa.

Il capitale sociale della G. S.p.A. è così suddiviso: la S.G.H. s.r.l. è proprietaria di un numero di azioni rappresentative del 50% del capitale sociale; il Sig. Emanuele S. è titolare del 25% del capitale sociale; i Sig.ri V. S. e G. S. detengono, ciascuno, un numero di azioni pari al 12,5% del capitale sociale.

In data 22 dicembre 2017, si teneva l’assemblea della G. S.p.A. con il seguente ordine del giorno: 1. approvazione bilancio di esercizio chiuso al 31.12.2016 e destinazione del risultato di esercizio; 2. comunicazione circa le azioni intraprese a tutela dei diritti e degli interessi della società; 3. determinazione del compenso a favore dell’amministratore unico.

Alla riunione assembleare prendeva parte - oltre all’amministratore unico della società, Sig. G. S. ed ai sindaci Sig.ri Giancarlo Ar. e Roberto Ri. – l’intero capitale sociale: in particolare intervenivano i soci S. s.r.l. (rappresentato dallo stesso Sig. G. S.) e V. S. anche quale portatore delle deleghe conferitegli dagli altri soci G. S. ed Emanuele S.

Per come si evince dal relativo verbale, assumeva la presidenza dell’assemblea il Sig. G. S. Dopo l’illustrazione, da parte dell’amministratore unico, dei principali dati del bilancio chiuso al 31 dicembre 2016, il socio V. S. chiedeva di porre in deliberazione l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico ai sensi dell’art. 2393 c.c. «anche in ragione della mancata riscossione del credito vantato dalla G&G S.p.A. verso la S. s.r.l. di cui lo stesso è amministratore e socio unico pari ad €. 6.200.000,00». Il medesimo Sig. V. S. chiedeva di porre in deliberazione la nomina del nuovo amministratore «stante la revoca ex lege del Sig. G. S. e propone(va) quale amministratore l’avv.to G. As.». A seguito dell’opposizione del socio S. s.r.l., il Sig. V. S. eccepiva che «la delibera di azione di responsabilità verso l’amministratore non necessita di essere posta all’ordine del giorno e può essere iscritta all’ordine del giorno ed assunta ex lege quando è posta in discussione l’approvazione del bilancio». Quindi, l’assemblea deliberava «che venga esercitata l’azione di responsabilità contro G. S. con il voto favorevole del Sig. V. S., in proprio e nella qualità, con conseguente revoca ex lege dello stesso amministratore». A seguito della assunzione di tale deliberazione, poi, il Sig. V. S. proponeva come nuovo amministratore l’avv. G. As.; mentre il socio S. s.r.l. (così deve intendersi il riferimento contenuto nel verbale al Sig. G. S.) proponeva come nuovo amministratore il Sig. Savino S. Tuttavia, il Sig. V. S. si opponeva alla nomina di quest’ultimo «contestando la legittimità del voto espresso dal socio in conflitto di interessi e insiste(va) per la nomina dell’avv. G. As. quale nuovo amministratore opponendosi ex art. 2373 alla designazione e nomina da parte del socio S. di ogni altro possibile nominativo».

A questo punto della riunione, veniva sostituito il presidente dell’assemblea con il dott. Giancarlo Ar. Il nuovo presidente dell’assemblea, quindi, «ove sia riscontrato il conflitto di interesse attesta(va) l’avvenuta delibera di nomina dell’avv. As. G. quale amministratore della società con il voto favorevole del socio V. S. in proprio e nella qualità».

Così ricostruita la vicenda in esame, va ulteriormente premesso che il socio S. s.r.l., nel rispetto della clausola compromissoria prevista dall’art. 33 dello statuto sociale della G. S.p.A., proponeva ricorso al Presidente del Tribunale di Roma per la nomina dell’arbitro unico e notificava alla medesima G. S.p.A. atto di avvio della procedura arbitrale finalizzata alla declaratoria di nullità ovvero all’annullamento delle deliberazioni assunte dall’assemblea tenutasi in data 22 dicembre 2017. In data 9 marzo 2018, peraltro, depositava, presso il Tribunale di Roma, il presente ricorso cautelare per la sospensione dell’efficacia delle medesime deliberazioni.

A fondamento della svolta impugnativa e, quindi, del ricorso per la sospensione dell’efficacia, la S. s.r.l. rappresentava: 1) la invalidità della deliberazione di nomina dell’avv. G. As. quale amministratore unico della G. S.p.A. per: a) violazione del quorum deliberativo; b) illegittima sospensione del diritto di voto del socio S. s.r.l.; 2) la invalidità della deliberazione di proposizione dell’azione sociale di responsabilità perché assunta con il voto determinante del socio, Sig. V. S., in conflitto di interessi.

2. Per parte sua, la G. S.p.A., costituendosi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità della domanda cautelare di sospensione della efficacia delle deliberazioni impugnate spettando il potere di disporre la sospensione cautelare all’arbitro unico ai sensi dell’art. 35, quinto comma, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. In particolare, a tal fine, la società resistente rappresenta che: in data 5 febbraio 2018, la S. s.r.l. notificava l’atto introduttivo del procedimento arbitrale alla G. S.p.A. in persona dell’amministratore Sig. G. As.; con provvedimento del 7 marzo 2018, il Presidente del Tribunale di Roma nominava arbitro unico l’avv. Marina G.; in data 9 marzo 2018, la S. s.r.l. depositava, presso la cancelleria del Tribunale di Roma, il ricorso cautelare volto alla sospensione dell’efficacia della deliberazione; l’arbitro unico fissava per il giorno 4 aprile 2018, la riunione per l’insediamento che, a seguito di un rinvio, si teneva effettivamente il giorno 9 aprile 2018, allorquando il medesimo arbitro unico costituiva il proprio ufficio ed accettava l’incarico.

Ebbene, secondo parte convenuta, anche a volere accedere a quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale - prima della nomina dell’arbitro ovvero prima della costituzione dell’ufficio arbitrale - residua in capo al giudice ordinario un potere cautelare afferente alla sospensione dell’efficacia della deliberazione assembleare di società per azioni, nel caso di specie, la circostanza che la nomina dell’arbitro sia intervenuta precedentemente al deposito del ricorso da parte di S. s.r.l. rende del tutto inammissibile la domanda cautelare per come proposta.

3. Ritiene il Tribunale che l’eccezione non sia fondata.

Ai sensi dell’art. 35 comma quarto d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’art. 669 quinques c.p.c., ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'efficacia della delibera.

La norma ora riportata, se da una parte conferma la tradizionale esclusione del potere cautelare in capo agli arbitri, enuclea una rilevantissima (e, anzi, l’unica) eccezione al principio codicistico (art. 669 quinquies c.p.c.), riservando agli arbitri l’autonomo potere di sospendere l’efficacia della deliberazione assembleare impugnata. La natura cautelare della misura sospensiva rende, quindi, la previsione dell’art. 35, co. 5, un unicum nel sistema della cognizione arbitrale.

Come è noto, peraltro, secondo l’orientamento, dottrinale e giurisprudenziale maggioritario (ma non del tutto univoco), nonostante la devoluzione del potere cautelare agli arbitri, rimane intatta la possibilità di ricorrere al giudice ordinario per ottenere il provvedimento cautelare fino a quando il collegio arbitrale o l’ufficio dell’arbitro unico non si sia materialmente costituito e, dunque, non possa materialmente procedere ad esaminare tempestivamente l’istanza di sospensione dell’efficacia della delibera. Si è, così, correttamente affermato che, stante la modalità di instaurazione del procedimento arbitrale, deve riconoscersi, fino al momento in cui il collegio arbitrale sia costituito, la competenza del giudice ordinario a provvedere sull'istanza di sospensione della delibera impugnata (in questo senso, Trib. Milano, 17 marzo 2009; Trib. Napoli, 6 febbraio 2012; Trib. Napoli, 30 settembre 2005 secondo il quale rimangono al giudice ordinario soltanto alcuni segmenti d'intervento, con particolare riferimento al periodo che va dalla proposizione della domanda arbitrale alla formazione del collegio giudicante o all'accettazione dell'arbitro).

Ciò posto, se non si dubita della competenza del giudice ordinario - potestà, spesso definita concorrente, ma tale terminologia appare impropria, in quanto, come avvertito da autorevole dottrina, nel momento in cui essa viene esercitata non vi è ancora alcun altro soggetto titolare del medesimo potere - nella fase anteriore alla costituzione dell’ufficio arbitrale, occorre ora indagare se l’art. 35 quinto comma abbia voluto assegnare agli arbitri, in materia di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assembleari, un potere cautelare effettivamente esclusivo ovvero concorrente.

Questo Tribunale non ignora che l’orientamento maggioritario, sia in giurisprudenza che in dottrina, sia nel primo senso. Si afferma, infatti, che è esclusiva, ai sensi dell'art. 35 comma 5 d.lg. 17 gennaio 2003 n. 5, la competenza degli arbitri a pronunciare provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia della deliberazione impugnata (Trib. Milano, 4 ottobre 2005; Trib. Napoli, 8 marzo 2010, Trib. Milano, 17 marzo 2009; Trib. Lucca, 27 novembre 2008) con la conseguente inammissibilità della proposizione di un ricorso cautelare nelle more della procedura arbitrale. In questa prospettiva, l'attribuzione agli arbitri del potere di sospendere interlocutoriamente l'efficacia della delibera obliterebbe la possibilità che il giudice statale faccia fronte all'urgenza anche mediante decreto.

Tuttavia, ritiene il Tribunale di non condividere una simile impostazione e di dovere ritenere esistente, in ogni caso, una potestà del giudice ordinario in ordine alla concessione del provvedimento cautelare di sospensione dell’efficacia della deliberazione assembleare.

L’orientamento qui criticato si basa sull’argomento letterale della norma di cui all’art. 35 co. 5 cit. e, in particolare, sull’intercalare «ma» che segue alla riaffermazione del potere statale cautelare ed all’avverbio «sempre» collegato alla competenza arbitrale di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera. Si tratta, a ben vedere, di argomenti assai deboli che possono, anzi, devono essere superati sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della norma e sul collegamento con ulteriori disposizioni codicistiche.

Ma anche sotto il profilo letterale gli argomenti testuali non appaiono per nulla convincenti.

In primo luogo, il «ma» che ricollega le due proposizioni contenute nella disposizione non allude ad alcuna esclusività del potere conferito agli arbitri, spiegandosi, al contrario, con la circostanza che la seconda parte della norma innova, con riferimento ad un determinato settore di intervento (quello della sospensione dell’efficacia delle deliberazioni societarie), il sistema (che esclude la potestà cautelare degli arbitri) che, invece, è ordinariamente confermato dalla prima parte della norma.

Quanto, poi, alla precisazione che agli arbitri compete sempre il potere di disporre la sospensione, merita di essere osservato come «sempre» non sia un sinonimo di «esclusivo», come, al contrario, giunge a concludere l’opposta ricostruzione. In questa prospettiva, la locuzione «sempre» sembra esprimere, più che l'esclusività di tale potere, l'inderogabilità dell'attribuzione del potere stesso, di modo che - una volta che il patto compromissorio abbia previsto la devoluzione in arbitrato delle controversie aventi ad oggetto la validità delle deliberazioni assembleari - gli arbitri dispongono sempre del potere di sospendere la decisione impugnata, senza che possa verificarsi il caso di una impugnazione soggetta alla competenza arbitrale, quanto al merito, e nel contempo sottratta a tale competenza quanto all'appendice dell'impugnazione stessa costituita dalla sospensiva cautelare. Una simile conclusione è, peraltro, sempre sotto il profilo letterale, confermata dalla rubrica dell’art. 35 che è così formulata: «disciplina inderogabile del procedimento arbitrale». Il richiamo all’inderogabilità, contenuto nella rubrica dell’art. 35 e confermato nel quinto comma dall’avverbio «sempre», esclude, in questa prospettiva, che le parti possano, in deroga alla previsione di cui al comma 5, scindere al momento della redazione della clausola compromissoria contenuta nello statuto merito e sospensiva dell'efficacia della delibera impugnata.

Come osservato da una parte della dottrina, quindi, l’art. 35 co. 5 potrebbe essere esaminato non solo come norma attributiva di poteri cautelari ai giudici privati, bensì anche ripartitoria delle competenze cautelari arbitrali e giudiziali. Così, la norma andrebbe letta affermando che gli arbitri sono - inderogabilmente - titolari del potere, accessorio rispetto a quello di pronunciare sul merito della causa, di disporre la sospensione della decisione sociale oggetto di impugnazione, mentre il giudice dello Stato resta depositario del potere di accordare la «tutela cautelare» tout court.

D’altra parte, l’attribuzione agli arbitri del potere di disporre la sospensiva rappresenta il completamento indispensabile della tutela demolitoria. In altri termini, il riconoscimento del potere sospensivo al collegio arbitrale è ispirato non tanto dall’esigenza di innovare la competenza arbitrale in materia cautelare, quanto dall’esigenza di assicurare al collegio arbitrale una più penetrante ed efficace delibazione dell’impugnazione della delibera viziata. In questa prospettiva, dunque, la previsione dell’art. 35, co. 5 sembra essere stata dettata più dalla volontà di ampliare l’ambito delle controversie (societarie) devolvibili in arbitrato – in ossequio ai principi espressi dalla delega parlamentare alla riforma del rito societario e, quindi, anche alla disposizione in esame (art. 12, co. 3, l. 3.10.2001, n. 366) – che dalla intenzione di scalfire la rigidità del dogma di cui all’art. 818 c.p.c. Obiettivo, questo, che sarebbe stato più difficilmente percorribile ove l’ufficio arbitrale fosse sprovvisto di un potere cautelare di disporre la sospensione dell’efficacia della deliberazione che viene impugnata davanti a quell’ufficio.

Tuttavia, ciò che conduce ad affermare, sempre, l’esistenza di un potere cautelare concorrente del giudice ordinario è una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 35. Infatti, è solo il caso di accennarlo stante l’evidenza dei principi espressi, la tutela cautelare ha la finalità di rendere al massimo effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti, di fare in modo cioè che il processo possa effettivamente dare, per quanto praticamente possibile, a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire. Questa finalità costituisce direttiva giuridica vincolante per il legislatore (art. 24 Cost.), il quale non può sottrarsi dall’obbligo di assicurare che la durata dei giudizi ordinari ovvero altre circostanze (come appunto, nel caso di specie, la devoluzione in arbitrato della controversia di merito) frustrino in concreto le ragioni che possono essere riconosciute in sentenza. Non è, dunque, revocabile in dubbio che l'esigenza di garantire che il ricorrente non soffra del tempo necessario ad una pronuncia satisfattiva, sia espressione del più generale principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, rinvenibile negli artt. 24 e 113 Cost., nonché dal principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost.

Ciò posto, ritiene questo Tribunale che il principio di effettività della tutela giurisdizionale implichi necessariamente che gli organi statali assicurino - sempre ed in ogni caso - la disponibilità di una giustizia cautelare che, anche in caso di devoluzione della cognizione su una determinata controversia agli arbitri, renda immediatamente fruibili quelle esigenze di celerità ed effettività della tutela.

Depone a favore della conclusione qui rappresentata anche la circostanza che, secondo quanto disposto dall’art. 816 septies c.p.c. (applicabile anche all’arbitrato societario), gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili determinando la misura dell'anticipazione a carico di ciascuna parte. Ove nessuna delle parti proceda all’anticipazione nel termine fissato dagli arbitri, queste non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento.

Ebbene, ad accedere all’orientamento criticato, si potrebbe verificare la circostanza che la parte che invoca la tutela di un proprio diritto - dopo avere intrapreso il giudizio arbitrale e dopo avere svolto nell’ambito di esso l’istanza cautelare - si veda preclusa la tutela (tanto cautelare che ordinaria di merito) in ragione della impossibilità di procedere al pagamento dell’anticipazione (la cui determinazione, si ricorda, è rimessa agli stessi arbitri) con la conseguenza che essa dovrà “ritornare” davanti al giudice ordinario e qui chiedere nuovamente l’adozione di un provvedimento cautelare.

Ma una tale conclusione appare inaccettabile sotto il profilo della garanzia della effettività della tutela giurisdizionale. Al contrario, considerare la competenza cautelare sempre concorrente tra arbitri e giudice ordinario elimina (o almeno attenua) l’incongruenza ora evidenziata, poiché la parte - nel dubbio in ordine alla possibilità di provvedere all’anticipazione - ben potrebbe, da un lato, promuovere il giudizio arbitrale (perché imposto dalla clausola compromissoria da lui accettata e voluta) e, dall’altro, ricorrere al tribunale per chiedere un provvedimento cautelare di sospensione dell’efficacia della deliberazione, di modo che l’eventuale perenzione del giudizio arbitrale (ed il conseguente “ritorno” alla giustizia ordinaria anche nel merito) non avrebbe comunque conseguenze negative sulla sua posizione e sulla effettività della tutela.

In definitiva, ad avviso di questo Tribunale, deve affermarsi il principio secondo il quale la devoluzione in arbitrato delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni societarie non osta alla competenza - concorrente - del giudice ordinario in ordine al provvedimento cautelare di sospensione delle deliberazioni medesime. D’altra parte, una simile conclusione risulta conforme anche alla scelta compiuta dagli altri ordinamenti che ammettono la cautela arbitrale nei quali è affermato il principio per cui, di regola, la tutela cautelare arbitrale non esclude quella giudiziale.

4. Sempre in via preliminare, parte convenuta evidenzia la cessazione della materia del contendere in ragione della sopravvenuta adozione di altra deliberazione che avrebbe confermato la nomina ad amministratore unico dell’avv. G. As.

In particolare, per come risulta dagli atti, l’avv. G. As. ha convocato una assemblea della G. S.p.A. per il giorno 8 marzo 2018 nel corso della quale, alla presenza del collegio sindacale ed in assenza del socio S. s.r.l. ritualmente convocato, è stata deliberata la ratifica delle cariche sociali, in particolare della nomina dell’amministratore nella persona del predetto avv. G. As.

Anche tale eccezione non risulta fondata.

Va preliminarmente osservato come, ai sensi dell’ottavo comma dell’art. 2378 c.c., l’annullamento della deliberazione (e, quindi, anche la sua sospensione) non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto.

Sul punto, è stato precisato, ai fini del consolidamento dell’effetto sostitutivo, che i soci devono manifestare espressamente un chiaro intento soppressivo del vizio da cui era affetta la precedente deliberazione e la volontà di sostituire la precedente delibera con un'altra esente da vizi (Trib. Bologna, 18 agosto 2005). In altre parole, è essenziale che il rapporto tra le due delibere riveli che lo scopo perseguito dai soci (quello di sostituire la precedente deliberazione che si sospetta essere viziata) sia stato effettivamente raggiunto, mentre non può escludersi che la seconda delibera abbia un contenuto o un oggetto più ampio di quello della delibera sanata.

Sotto il profilo processuale, si evidenzia, poi, che al giudice spetta comunque di valutare la validità della deliberazione sostitutiva: solo dopo avere incidentalmente valutato l’assenza di vizi che afferiscono alla seconda deliberazione, il giudice potrà ritenere esistente l’effetto sostitutivo e dichiarare la cessazione della materia del contendere (e, quindi, soprassedere sulla richiesta di sospensiva).

Ebbene, come evidenziato da parte ricorrente, non può ritenersi che la deliberazione dell’8 marzo 2018 sia effettivamente esente da vizi. Ritiene il Tribunale che - se i soci devono manifestare espressamente l’effetto soppressivo del vizio e la volontà sostitutiva della precedente delibera - tale intento deve necessariamente trasparire non solo dal contenuto della deliberazione, ma anche già dall’avviso di convocazione della seconda assemblea. Diversamente, la «conferma» o la «ratifica» delle precedenti deliberazioni invalidamente assunte sarebbero prese «a sorpresa»: al contrario, i soci devono essere posti nelle condizioni di conoscere che in quella determinata riunione assembleare si discuterà della ratifica della precedente assemblea, potendo, in caso contrario, decidere di non partecipare.

Ciò posto, nel caso di specie, l’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione dell’assemblea recava, al punto 5, la laconica dizione di «cariche sociali». La genericità della dizione non appare idonea a consentire al socio di avvedersi che, nella assemblea dell’8 marzo 2018, si sarebbe discusso in ordine alla conferma dell’avv. G. As. nella carica di amministratore della società.

Conseguentemente, deve giungersi alla conclusione che la deliberazione assunta nel corso dell’assemblea dell’8 marzo 2018, non può dirsi esente, a sua volta, da vizi che ne inficiano la validità.

Segue dalle precedenti considerazioni il rigetto dell’eccezione di cessazione della materia del contendere.

5. Può ora pervenirsi all’esame, nel merito, della istanza, proposta dalla S. s.r.l. di sospendere l’efficacia delle deliberazioni - di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti dell’ex amministratore, Sig. G. S., e di nomina del nuovo amministratore nella persona del Sig. G. As. - assunte dall’assemblea della G. S.p.A. in data 22 dicembre 2017.

La domanda cautelare è solo parzialmente fondata.

Come è noto, ai sensi dell’art. 2378 quarto comma c.c., il giudice investito della domanda di sospensione cautelare provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione della deliberazione. In altre parole, ferma l’esigenza di valutare l’esistenza del fumus boni iuris della impugnazione della deliberazione in questione, il legislatore ha inteso declinare in modo particolare il giudizio sul periculum in mora. Il legislatore ha introdotto una sostanziale deroga al principio generale per il quale il periculum in mora va valutato con riferimento alla posizione soggettiva di colui che chiede la cautela così amplificando, anche sotto questo profilo, la tutela della stabilità degli atti societari che può giungere a conservare l’efficacia di una deliberazione che, sia pure sulla base della cognizione sommaria devoluta al giudice della cautela, appare adottata in violazione della legge o dello statuto.

La norma richiede la valutazione della sussistenza di un nesso causale fra l'esecuzione (ovvero la protrazione dell'efficacia) della deliberazione impugnata ed il pregiudizio temuto e implica l'apprezzamento comparativo della gravità delle conseguenze derivanti, sia al socio impugnante sia alla società, dalla esecuzione e dalla successiva rimozione della deliberazione impugnata. Così, il provvedimento cautelare di sospensione dell’efficacia della delibera potrà essere concesso soltanto ove si ritenga prevalente, rispetto al corrispondente pregiudizio che potrebbe derivare alla società per l’arresto subito alla sua azione, il pregiudizio lamentato dal socio.

- 10 Tanto sommariamente evidenziato con riguardo ai presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione, giova esaminare partitamente le due deliberazioni adottate nel corso dell’assemblea della G. S.p.A. tenutasi in data 22 dicembre 2017.

Quanto alla deliberazione di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità da cui è derivata la revoca d’ufficio dell’amministratore Sig. G. S., ritiene il Tribunale che la domanda cautelare non sia fondata per difetto del requisito del periculum in mora.

Infatti, appare difficilmente concepibile un danno che deriverebbe al socio di una società di capitali per effetto della deliberazione di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore. Al contrario, la società interessata potrebbe ricevere pregiudizio dalla permanenza in carica di un amministratore sospettato del compimento di atti di mala gestio a danno della società medesima. D’altra parte, non può non evidenziarsi come l’amministratore possa essere sempre revocato e che egli potrà poi difendersi nell’ambito del giudizio di responsabilità effettivamente promosso.

Depone, in senso contrario alla sussistenza del requisito del periculum in mora, anche la circostanza che l’assemblea del 22 dicembre 2017 era convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio di funzione amministrativa del Sig. G. S. il quale, dunque, avrebbe così portato a termine il proprio incarico. È vero che l’amministratore sarebbe rimasto in carica in regime di prorogatio (art. 2385 secondo comma c.c.), ma l’attuale conflittualità tra i soci consente di affermare che egli sarebbe stato comunque sostituito da una assemblea appositamente convocata. D’altra parte, merita di essere evidenziato come la stessa odierna ricorrente, nel corso dell’assemblea del 22 dicembre 2017, pur opponendosi all’adozione della deliberazione in argomento, abbia poi proposto altro soggetto alla carica di amministratore.

Nel giudizio comparativo previsto dal quinto comma dell’art. 2378 c.c., anche per tale ragione, deve necessariamente ritenersi che la socia S. s.r.l. non subisca alcun danno dalla decadenza dell’amministratore Sig. G. S.

Quanto, invece, alla deliberazione di nomina del Sig. G. As., deve ricordarsi che, nel corso dell’assemblea del 22 dicembre 2017, al socio S. s.r.l. sia stato impedito di votare sulla base della ritenuta sussistenza di un conflitto di interessi.

Ai sensi dell’art. 2373 c.c., la deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’art. 2377 c.c. qualora possa recarle danno.

Come osservato in dottrina ed in giurisprudenza, la norma costituisce il contemperamento tra la tutela dell'interesse meta individuale al buon andamento della società e quello soggettivo del socio in conflitto: tale contemperamento è raggiunto attraverso un sistema che non priva il soggetto in conflitto del suo potere di intervenire in assemblea e di esercitare il diritto di voto, ma che - 11 istituisce un sindacato, successivo e costruito su parametri ulteriori rispetto al solo conflitto, sul corretto esercizio del medesimo. La riforma del diritto societario, infatti, ha eliminato il previgente divieto di voto del socio ed ha previsto soltanto l'annullabilità della deliberazione assunta con il voto determinante del portatore dell’interesse in conflitto e sempre che tale deliberazione possa recare danno a quest'ultima. Conseguentemente, oggi al socio in conflitto non è richiesto né di astenersi dal voto né di rivelare agli altri soci ed agli amministratori la propria posizione in conflitto, potendo egli scegliere volontariamente di astenersi (art. 2368 comma 3).

Peraltro, sotto il profilo oggettivo, si ha conflitto di interessi allorquando il socio sia portatore di un interesse personale contrastante con quello della società e, più precisamente, quando il socio si trovi nella condizione di essere portatore di un duplice interesse, il primo derivante dalla sua condizione di socio e l'altro che trova la propria fonte all'esterno della società in una particolare condizione del socio. Non è, dunque, sufficiente che il socio miri a realizzare, in tutto o in parte, il proprio interesse personale, occorrendo anche che tale interesse si ponga obiettivamente in contrasto con quello della società e che la deliberazione sia idonea a ledere quest'ultimo interesse. L'interesse del socio deve essere: obiettivo, non essendo sufficiente un semplice motivo; preesistente alla deliberazione in quanto solo così è idoneo ad influenzare il procedimento deliberativo; concreto ed atipico non essendo stato predeterminato dal legislatore;

anche non patrimoniale. Sussiste, infine, una posizione di conflitto anche quando l'interesse che si ponga in contrasto con la società non faccia capo direttamente al socio, ma ad un terzo. In tale ultima ipotesi, però, occorre individuare indici precisi ed univoci in base ai quali possa affermarsi che il socio ha votato in funzione dell'interesse altrui, contrastante, con l'interesse sociale.

Ciò posto, il contenuto della deliberazione del 22 dicembre 2017, non ha chiaramente specificato in cosa sarebbe consistito il presunto conflitto di interessi del socio S. s.r.l. e tale circostanza risulta è rimasta oscura anche nell’ambito del presente giudizio. In particolarmente, anche a volere ritenere che il Sig. G. S. sia stato legittimamente revocato dall’incarico di amministratore della G. S.p.A. per effetto dell’adozione della deliberazione di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità, non si comprendono le ragioni per le quali egli - nella veste di rappresentante del socio S. s.r.l. - non avrebbe poi potuto concorrere all’adozione della deliberazione di nomina del nuovo amministratore unico. Sul punto, giova anche evidenziare come la socia S. s.r.l. avesse - a seguito della dichiarazione di decadenza dalla carica di amministratore unico del Sig. G. S. per effetto della deliberazione di proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti di questi - proposto la nomina ad amministratore della G&G S.p.A. del Sig. Savino S. e, dunque, di un soggetto terzo.

Peraltro, anche a volere prescindere dalle precedenti considerazioni che afferiscono alla stessa esistenza di un interesse del socio S. s.r.l. in conflitto con quello della società resistente, - 12 giova osservare come il socio S. s.r.l. non poteva essere comunque escluso dal voto, dovendosi, semmai, valutare successivamente le conseguenze in ordine a quel voto, sotto il profilo della partecipazione determinante e della potenzialità lesiva della deliberazione così assunta.

In definitiva, la deliberazione di nomina dell’avv. G. As. si presenta, dunque, sotto il profilo del fumus boni iuris, palesemente illegittima.

Quanto al giudizio comparativo, giova osservare che non può ravvisarsi alcun danno che deriverebbe alla società G. S.p.A. dalla sospensione della deliberazione impugnata, potendo l’assemblea tornare a riunirsi anche a breve (nel rispetto del procedimento assembleare che comprende anche la corretta convocazione dei soci) e, quindi, ad individuare un soggetto, anche estraneo alla compagine sociale, che sia espressione di tutti i soci. Al contrario, la socia S. s.r.l. subirebbe un danno dalla permanenza della situazione attuale in quanto la società di cui essa detiene la metà del capitale sociale sarebbe amministrata da un soggetto alla cui nomina non ha concorso.

Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere disposta la sospensione dell’efficacia della deliberazione, assunta dall’assemblea della G. S.p.A. in data 22 dicembre 2017, con la quale è stato nominato ad amministratore della società resistente l’avv. G. As.

6. In ordine alla regolamentazione delle spese, il Tribunale fa presente quanto segue.

In primo luogo, sebbene il presente procedimento cautelare si inserisca nell’ambito del giudizio arbitrale volto ad ottenere la pronunzia di invalidità della deliberazione oggetto del presente giudizio, attesa la separazione delle competenze tra giudizio arbitrale e giudizio (cautelare) ordinario, si deve concludere che gli arbitri non siano competenti a decidere in ordine alle spese sostenute dalle parti in un diverso (ancorché collegato) giudizio.

In particolare, allorquando la cautela venga chiesta ad un giudice diverso da quello competente per il merito, sia che si tratti di un magistrato onorario, sia di arbitri privati o del giudice straniero, è sempre devoluta al giudice della cautela la statuizione sulle spese del giudizio cautelare; da un lato, infatti, non sarebbe possibile, nella specie, investire gli arbitri di una decisione sulle spese di un giudizio in ogni caso estraneo alla sua cognizione e, dall'altro, non sarebbe giustificabile il sacrificio della parte vittoriosa in sede cautelare (arg. da Trib. Napoli 3 ottobre 2006).

Conseguentemente, il Tribunale risulta competente anche a decidere sulle spese processuali.

Tuttavia, in ragione del solo parziale accoglimento della domanda cautelare, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese legali tra le parti nella misura della metà. Parte resistente, rimasta soccombente in ordine alla richiesta di sospensione della deliberazione di nomina del nuovo amministratore, deve essere condannata alla refusione, in favore di parte ricorrente, della restante parte delle suddette spese, che vengono liquidate in dispositivo.

 

p.q.m.

- sospende l’efficacia della deliberazione, assunta dall’assemblea della G. S.p.A. in data 22 dicembre 2017, con la quale è stato nominato ad amministratore della società resistente l’avv. G. As.;

- rigetta per il resto;

- compensa tra le parti le spese legali del presente giudizio nella misura della metà e condanna parte resistente alla refusione, in favore di parte ricorrente, della restante metà delle suddette spese che liquida, per detta parte, in complessivi €. 6.275,00 per compensi oltre rimborso forfettario spese generali al 15%, iva e cpa come per legge.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti.

Roma, 22 aprile 2018

Il Giudice (dott. Guido Romano)