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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/10/2013 Scarica PDF

Pegno, usufrutto e sequestro di quote di s.r.l.: tra codice civile e codice antimafia

Roberto Cogliandro, Notaio


Sommario: 1. Premessa; 2. Modalità di costituzione di pegno, usufrutto e sequestro; 3. Limiti alla costituzione dei diritti parziari sulle partecipazioni; 4. Problemi interpretativi del rinvio all'articolo 2352 c.c.; 5. Il diritto di voto  e sue implicazioni; 6. I diritti amministrativi; 7. L'esercizio dei diritti patrimoniali; 8. Il diritto di recesso; 9. Il sequestro ex articolo 41 del codice antimafia.


     

1. L'articolo 2471 bis c.c., con disposizione innovativa rispetto alla disciplina previgente, ammette espressamente che la partecipazione in società a responsabilità limitata possa formare oggetto di pegno, di usufrutto e di sequestro, prevedendo espressamente che: “la partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Salvo quanto disposto dal terzo comma dell'articolo che precede, si applicano le disposizioni dell'art. 2352”.

Mentre per il diritto di pegno e di usufrutto la soluzione normativa vigente era già fatta propria dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, maggiormente dubbia, era nel vigore dell'abrogata normativa codicistica, la legittimità della sottoposizione a sequestro della quota di partecipazione di s.r.l..

Con riferimento a tale ultimo punto, la questione trae origine dalla vexata quaestio della natura giuridica della quota. In realtà, la dottrina[1] e la giurisprudenza[2] prossime alla riforma ritenevano ammissibile il sequestro di quote, estendibile anche al pegno e all'usufrutto di quote, sotto due ordini di profilo: il primo riguarda il fatto che il concetto di res non va ridotto alla mera materialità dell’oggetto di un diritto o di uno status, bensì occorrerà dare la prevalenza ad un oggetto suscettibile di produrre utilità, che è poi la quota di una società a responsabilità limitata; il secondo che il sequestro, e quindi anche il pegno e l'usufrutto, può riguardare anche un bene non suscettibile di materiale consegna o rilascio ex art. 677 c.p.c.

In ordine al primo punto la Suprema Corte[3] è andata più volte affermando che la quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, tale da essere considerata come un bene immateriale equiparato al bene mobile non iscritto in pubblico registro, ai sensi dell’art. 812 c.c. In tal modo, alla quota possono applicarsi, argomentando dall’ultima parte dell’art. 813 c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili ed in particolare la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene[4]. Inoltre, secondo tale orientamento, pur essendovi diversi elementi di differenziazione tra azioni e quota, quest’ultima presenta anch’essa un’entità patrimoniale ben definita del socio, con ulteriori elementi connessi quali il diritto al voto, all’opzione, al capitale, in caso di scioglimento e di liquidazione della società (cosiddetta “oggettivizzazione dell’unitaria situazione soggettiva del socio nell’organizzazione societaria”). Ciò è ribadito, altresì, dall’equiparazione della quota al bene mobile non registrato di cui si trae conferma dagli artt. 2482, secondo comma, e 2483 c.c., ove risulta che la quota può essere oggetto di alienazione e di pegno. Sicchè, e con ciò esplicitando il secondo punto prima accennato, la partecipazione del socio ad una società a responsabilità limitata, pur non cristallizzandosi in un titolo cartolare, così come avviene per le azioni, costituisce un’entità provvista di autonoma qualificazione, assimilabile ai beni mobili ex art. 670 c.p.c.

Resta, pertanto, da sottolineare come la nuova disciplina introdotta dalla riforma abbia confermato l'orientamento consolidatosi in giurisprudenza secondo il quale la quota è assimilabile ad un bene immateriale. Il legislatore, infatti, negli articoli 2471 e 2471 bis, ha espressamente disciplinato l'espropriazione, il pegno, l'usufrutto ed il sequestro della partecipazione, fugando ogni e qualsiasi dubbio in ordine alla natura della stessa quale bene mobile.


2. L'articolo 2471 bis c.c., pur riconoscendo la legittimità della sottoposizione delle quote delle s.r.l. a pegno, usufrutto e sequestro,  nulla prevede in ordine alle modalità attraverso le quali procedere alla costituzione di detti vincoli sulle partecipazioni sociali. Al riguardo la dottrina prevalente[5] ritiene applicabile il procedimento di cui all'articolo 2470 c.c. anche alle ipotesi in esame.

In conseguenza di ciò, l'eventuale conflitto di diritti verrà risolto in applicazione del criterio disposto dall'articolo 2470, comma 3, c.c., per l'ipotesi di doppia alienazione della quota prevarrà colui che, in buona fede, abbia iscritto per primo nel Registro delle Imprese il titolo costitutivo del diritto reale. Ugualmente il deposito del titolo costitutivo per l'iscrizione nel Registro delle imprese costituisce presupposto necessario per l'opponibilità di tali situazioni giuridiche nei confronti della società.

E' doveroso sottolineare come in dottrina si sia affermata un'autorevole presa di posizione contraria alla applicabilità dell'articolo 2470 c.c al caso della costituzione del pegno su quote di una s.r.l.[6].

Secondo questa dottrina per quanto riguarda le modalità di costituzione del pegno bisogna fare riferimento alla nuova disciplina dettata in tema di pignoramento ex articolo 2471 c.c;  vi sarebbe però una applicazione parziale della disciplina del pignoramento, con notifica del pegno alla sola società e successiva iscrizione dell'atto nel Registro delle Imprese chiesta dal creditore che deve a tal fine consegnare copia autentica dell'atto notificato dall'ufficiale giudiziario. Seguendo tale impostazione non sarebbe necessaria la sottoscrizione autentica dell'atto costitutivo del pegno, ma sarebbe sufficiente un atto in forma scritta. L'effetto nei confronti della società decorrerebbe dalla notifica, mentre verso i terzi ulteriori aventi causa l'effetto decorrerebbe dalla iscrizione nel registro delle Imprese. Per quanto attiene invece alla cancellazione dei vincoli sulle partecipazioni sociali, in base a quanto sopra esposto, non sembrerebbe dubbio che la cessazione degli effetti del diritto parziario abbia efficacia solo dopo che le parti dell'operazione o gli amministratori abbiano proceduto all'esecuzione delle formalità presso il Registro delle Imprese.

   

3. Ci si è chiesti se fosse ammissibile un divieto posto dall'autonomia privata alla costituzione di diritti parziari sulle partecipazioni sociali. In primis è bene specificare che detto divieto deve essere contenuto nell'atto costitutivo o in una successiva modifica dello stesso.

Mentre per il pegno e per il diritto di usufrutto sembra legittima una tale previsione statutaria, che dovrà semmai fare i conti con l'attribuzione del diritto di recesso conseguente all'intrasferibilità, in questo caso parziale, della partecipazione sociale[7], ad analoga conclusione non si dovrebbe pervenire in caso di sequestro giudiziario, atteso che quest'ultimo è un mezzo di garanzia apprestato dall'ordinamento per garantire le ragioni dei terzi estranei all'accordo dei costituenti.

Infatti, il vincolo posto attraverso il sequestro sulle quote sociali è volto ad impedire che dalla “libera disponibilità” di quei beni scaturiscano i pericoli per fronteggiare i quali si è proceduto al sequestro stesso. L’affidamento delle quote sequestrate ad un custode – sequestratario ha la sua ragion d'essere proprio nell'esigenza di sottrarre al socio la possibilità di continuare a gestire dette quote esercitando i diritti in esse incorporati. Per impedire la cosiddetta “libera disponibilità” di cui sopra, le quote sociali vengono quindi sequestrate al socio per essere affidate ad un custode, il quale avrà il dovere-potere di esercitare i diritti in esse incorporate. Va da sé, in quest’ottica, che non può ritenersi ammissibile la possibilità per i soci di limitare la costituzione di detto diritto parziario sulle partecipazioni sociali, infatti, se così fosse, l’istituto del sequestro delle quote sociali perderebbe la sua ragion d’essere e soprattutto la finalità per cui è stato previsto dal legislatore.

   

4. Attraverso il rinvio esplicito all'articolo 2352 c.c., il legislatore della riforma, ha esteso alle società a responsabilità limitata la norma dettata in tema di s.p.a. sui profili organizzativi che sono effetto della costituzione di diritti di pegno, usufrutto e sequestro.

Nel primo inciso della seconda parte dell'articolo 2471 bis c.c., viene disposto il rinvio all'articolo 2352 c.c., facendo però salvo quanto disposto dal terzo comma dell'articolo 2471 c.c.. Il terzo comma dell'articolo 2471 c.c. stabilisce le regole operative in caso di espropriazione di partecipazioni non liberamente trasferibili. Data l'estrema sinteticità del richiamo si pongono all'interprete dubbi relativi al contenuto precettivo del richiamo. Sul punto è stato osservato che attraverso l'inciso su menzionato, il legislatore abbia inteso semplicemente ammettere la sottoponibilità a vincoli anche della quota non liberamente trasferibile, atteso il profilo di dubbio derivante dalla idoneità della costituzione del diritto parziario di essere strumento di elusione del limite posto ai costituenti alla circolazione delle partecipazioni[8]. 

Inoltre è stato osservato, almeno per quanto riguarda il pegno ed  il sequestro, come il vincolo sulle partecipazioni possa sfociare in via naturale nell'espropriazione della quota; pertanto, sembra che l'intento del legislatore sia stato quello di ribadire che anche in caso di assegnazione della quota data in pegno o sequestrata le regole dettate in generale in tema di espropriazione forzata mantengono il loro ambito applicativo[9].

Ritornando al rinvio all'articolo 2352 c.c., bisogna rilevare come l'orientamento interpretativo prevalente abbia sottolineato che problemi di non poco conto possono nascere circa l'applicabilità ai vincoli sulle partecipazioni di s.r.l. della norma dettata per i vincoli sulle azioni di s.p.a.[10] .

A tale riguardo vi è anche chi ritiene che alcune delle prescrizione previste dall'articolo 2352 c.c., applicate alle s.r.l., possono portare all'attribuzione in capo del titolare del diritto parziario di poteri ben più penetranti di quelli che vengono posti in capo al titolare di diritti parziari su azioni di s.p.a.[11].

   

5. Il diritto di voto, alla luce del rinvio all'articolo 2352 c.c., nel caso di diritto di pegno o di usufrutto sulle azioni, spetta, salvo diverso accordo, rispettivamente al creditore pignoratizio o all'usufruttuario, mentre in ipotesi di sequestro esso è esercitato dal custode.

Bisogna innanzitutto notare come nel caso in cui si sia optato per il modello alternativo di assunzione delle decisioni assembleari mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto non pare dubbio che il concetto di voto debba essere interpretato nel senso di “decisione”, la quale verrà a sua volta assunta in proporzione alla quota di partecipazione sottoposta a vincolo, salvo che, sia in caso di decisioni assembleari sia nel caso di decisioni extraassembleari, il socio e il titolare del diritto parziario abbiano convenuto, nell'atto di costituzione del vincolo, o di limitare la titolarità del diritto di voto dell'uno e dell'altro con riferimento a determinate materie, o di limitare il diritto di voto di cui essi sono titolari entro una certa percentuale della partecipazione sulla quale è costituito il vincolo. Il diritto di voto resta dunque, salvo diverso accordo, in capo al titolare del diritto parziario, il quale esercita il suddetto diritto in funzione di un  proprio interesse extra sociale di garanzia o di godimento, non essendo tenuto ad attenersi ad eventuali direttive impartite dal socio, ed eventualmente anche in difformità dall'interesse atipico del socio, ossia delle aspettative di quest'ultimo come terzo, uniformandosi comunque ai principi di buona amministrazione. In ogni caso, dovrà essere garantito il rispetto del principio di correttezza e buona fede, la cui applicazione dovrebbe comportare che nelle delibere in cui risulti preminente l'interesse del socio, il titolare del diritto parziario non leda le aspettative di quest'ultimo (e viceversa nel caso in cui il regime legale subisca una deroga pattizia). Con riferimento a tale ultima affermazione, è pressochè pacifico che l'eventuale comportamento abusivo dell'usufruttuario o del creditore pignoratizio non si riflette sulla validità della delibera, potendo più limitatamente implicare il ricorso alla tutela risarcitoria, salvo il caso in cui il titolare del diritto parziario persegua un interesse personale collegato alla protezione della garanzia o del godimento in contrasto con l'interesse sociale, configurabile in tale caso con un conflitto di interessi. Correlativamente si deve riconoscere che il titolare del diritto parziario è soggetto alla responsabilità prevista all'articolo 2476, comma 7, c.c., nella misura in cui intenzionalmente decida o autorizzi il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi, sia in ragione dell'esercizio iure proprio del voto, sia in virtù del suo inserimento nell'organizzazione societaria. Ciò detto, si può osservare che l'usufruttuario o il creditore pignoratizo, cui spetti il voto, avrà il diritto di partecipare a tutte le decisioni da assumere, e pertanto, dovrà essere destinatario sia della convocazione dell'assemblea, sia della richiesta di consultazione scritta o di consenso riservato ai soci, in mancanza il titolare del diritto parziario potrà impugnare le decisioni assunte stante la mancanza  assoluta di informazione ex articolo 2479 ter, comma 3, c.c., ovvero opporsi alla trattazione in caso di assemblea totalitaria; per converso potrà assumere anche il ruolo di promotore di tali iniziative, in base alla disciplina prevista dallo statuto. In ogni caso, il titolare del diritto parziario conserva la facoltà riconosciuta ai soci dall'articolo 2479 c.c. di sollecitare una decisione dei soci su qualunque argomento ritenga rilevante sia unilateralmente qualora la quota su cui insiste il suo diritto parziario raggiunga l'entità richiesta dall'articolo 2479, comma 1, c.c., sia congiuntamente agli altri soci per raggiungere l'aliquota richiesta.

Venendo poi ai problemi centrali che pone il rinvio all'articolo 2352 c.c. non si può far a meno di notare che mentre nelle società per azioni il nuovo sistema normativo ha voluto escludere che i soci possano essere destinatari in via diretta dei poteri gestori, le norme in tema di s.r.l. sembrano consentire, seppur limitatamente che i soci titolari del diritto di voto, possano, per effetto dell'esercizio di tale diritto, decidere operazioni gestorie dell'impresa societaria. In altre parole, sorge il dubbio che, in un modello di s.r.l. improntato ad un sistema personalistico, caratterizzato dall'attribuzione diretta ai soci di poteri gestori, la costituzione di un diritto parziario, sia esso pegno o usufrutto, o la sottoposizione della partecipazione a sequestro, sia idonea a permettere una eccessiva ingerenza nella vita della società al creditore pignoratizio, all'usufruttuario o al custode. Sarebbe stato meglio, probabilmente, creare una norma ad hoc per le società a responsabilità limitata piuttosto che uniformare, mediante il rinvio puro e semplice all’articolo 2352 cc., la disciplina del pegno del sequestro e dell’usufrutto delle quote di s.r.l. a quella dettata in materia di società per azioni, essendo improntati i due tipi di società a modelli diversi.

   

6. Sempre nell'ambito del rinvio fatto dalla normativa di riferimento all'articolo 2352 c.c., esistono diritti diversi da quello di voto, che possono essere annoverati tra i cosiddetti diritti amministrativi, da considerarsi in senso lato, e che possono riassumersi nei seguenti:

a) il diritto di ciascun socio, che non partecipi all'amministrazione della società, di chiedere agli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionista di fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all'amministrazione (articolo 2476, comma 2, c.c.);

b) l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori che può essere promossa da ciascun socio, il quale può chiedere altresì, in caso di gravi irregolarità nella gestione da parte degli amministratori medesimi, che sia adottato un provvedimento cautelare di revoca degli stessi, ( articolo 2476, comma 3, c.c.);

c) il diritto di impugnativa delle delibere assembleari o delle decisioni dei soci assunte, se previsto dallo statuto, in forma extraassembleare[12].

Il richiamato articolo 2352 c.c., prevede che i diritti amministrativi diversi dal voto spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode, il tutto facendo salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice non risulti diversamente.

Alla luce della disposizione appena richiamata, si pongono due ordini di problemi, il primo con riferimento alla derogabilità statutaria dell'ultimo comma dell'articolo 2352 c.c., applicabile per effetto del rinvio operato dall'articolo 2471 bis c.c., il secondo con riferimento all’esatta individuazione dei cosiddetti “diritti particolari” dei soci, che possono riguardare l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili, e che possono essere previsti nell’atto costitutivo, così come previsto all’articolo 2468, comma 3, c.c.

Con riguardo al primo punto, la tesi maggiormente fondata, appare, anche alla luce della “riformata” società  a responsabilità limitata, quella che ritiene derogabile il contenuto precettivo dell'articolo 2352 c.c., dall'autonomia privata. Secondo i sostenitori di tale tesi[13] la derogabilità, che deve essere prevista nell'atto costitutivo, della regola per la quale i diritti amministrativi diversi dal voto spettano sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario è statuita dall'ultimo comma dell'articolo 2352 c.c., il quale prevede che i diritti spettano ad entrambi, “salvo che dal titolo risulti diversamente”. E' proprio lo stesso articolo 2352 c.c., quindi, che stabilisce la derogabilità per volontà delle parti.

Quanto al secondo dei problemi sopra delineati, corre l’obbligo sottolineare che la dottrina prevalente[14] ritiene che proprio in relazione alla molteplicità di fattispecie nelle quali l’autonomia privata potrebbe conformare i particolari diritti, si potrebbe pensare che la sorte dei diritti attribuiti al singolo socio in caso di pegno, usufrutto o sequestro della partecipazione, debba essere valutata caso per caso, in considerazione del concreto contenuto assunto dal particolare diritto all’interno dell’atto costitutivo. Diversamente, e nell’ottica di una interpretazione che non lasci dubbi, potrebbe ritenersi che la personalizzazione della partecipazione sociale conseguente all’attribuzione ai singoli soci dei particolari diritti, porti quale conclusione che i diritti speciali di cui al comma 3 dell’articolo 2468 c.c., rimangano in capo al soci, sia che si tratti di pegno, sia di usufrutto che di sequestro.[15]

   

7. Il diritto agli utili spetta all'usufruttuario e al creditore pignoratizio, alla luce delle disposizioni contenute rispettivamente negli articoli 981 c.c. e 2791 c.c.. Nel caso in cui il diritto parziario sorga o cessi nel corso dell'esercizio sociale, fermo restando che nei rapporti con la società la legittimazione a percepire il dividendo spetta al possessore qualificato del titolo secondo le regole consuete, nei rapporti inter partes si applica in caso di usufrutto l'articolo 984, comma 2, c.c., mentre nel caso di pegno l'intero dividendo è attribuito al creditore pignoratizio (in caso di costituzione in corso di esercizio), al socio (in caso di cessazione nello stesso periodo). 

In caso di aumento di capitale  a pagamento, per effetto del rinvio operato dall'articolo 2471 bis c.c. al comma 2 dell'articolo 2352 c.c., la quota di partecipazione acquistata dal socio in esercizio del proprio diritto di opzione viene acquistata dal socio debitore o nudo proprietario, libera da pegno o da usufrutto.

La problematicità del rinvio starebbe nel fatto che l'unicità della partecipazione sociale si opporrebbe alla creazione di una quota parte della partecipazione medesima libera da vincoli, laddove nelle società azionarie ciò sarebbe ammesso dalla molteplicità delle azioni appunto[16].

Il problema appare comunque superato; infatti, come già accennato, non sembra condivisibile la tesi per la quale la partecipazione in società a responsabilità limitata, in assenza di diversa opzione statutaria, non sia naturalmente divisibile. Anzi, la norma richiamata dall'art. 2471 bis c.c., in commento, porta a ritenere che la quota di s.r.l. sia divisibile anche in assenza di un'apposita clausola statutaria, e che in caso di clausola creata dall'autonomia privata contraria alla divisibilità della quota sorga il dubbio dell'applicabilità della norma di cui all'art. 2496 c.c., nella parte in cui attribuisce un diritto di recesso ad nutum in caso di intrasferibilità, in tal caso parziale, delle partecipazioni.

Si osserva, infine, che l'articolo 2471 bis c.c., rinvia integralmente all'art. 2352 c.c., e, quindi, anche al suo comma 3, dove è disposto che nel caso di aumento di capitale gratuito, il pegno, l'usufrutto e il sequestro si estendono alle azioni nuova emissione. Tale disposizione è inderogabile, sono pertanto illegittime le clausole statutarie che escludono l'estensione del pegno, dell'usufrutto o del sequestro di partecipazioni agli aumenti di capitale ex art. 2481 ter c.c., (omologo dell'articolo 2442 c.c. per le S.r.l.).  La ratio dell’estensione del pegno dell’usufrutto e del sequestro sarebbe da ravvisare nel fatto che nel caso di aumento di capitale gratuito, vi è una pura espansione nominale del capitale nei confronti di un patrimoni il cui valore economico, a seguito dell’operazione, in realtà resta immutato. L’aumento, infatti, si sostanzia in un immediato e diretto trasferimento del valore da un titolo (la riserva) ad un altro (il capitale) nell’ambito del patrimonio della società, il quale mantiene la sua originaria consistenza in quanto solo qualitativamente modificato.

   

8. Il problema relativo alla spettanza del diritto o meglio del potere di recesso in caso di sottoposizione della partecipazione societaria ad un diritto parziario, era già stato affrontato nel corso del regime normativo ante riforma. La giurisprudenza[17], che aveva avuto modo di pronunciarsi in merito alla questione, aveva ritenuto che il recesso spettasse unicamente al socio, concretandosi nel suo esercizio un vero e proprio atto dispositivo della partecipazione. Tale impostazione sembra essere confermata anche nel nuovo sistema normativo, atteso che  non sembra possa qualificarsi il recesso come “diritto amministrativo diverso” dal diritto di voto[18]. Come appena detto, già prima della riforma, in giurisprudenza, ma anche in dottrina, si registrava una quasi unanime convergenza nell’attribuire la titolarità del diritto di recesso in capo al socio, il tutto nel silenzio dell’articolo 2352 c.c.. Il punto di avvio dell’argomentazione era individuato nella considerazione che il diritto di recesso si sostanzia in un atto di disposizione dell’intera partecipazione, che appare incompatibile con gli interessi di cui risultano portatori il creditore pignoratizio, il custode e l’usufruttuario, diretti per i primi due alla conservazione e custodia del bene per finalità garantistico-satisfattiva, e, per l’altro al godimento del bene, senza possibilità di alterazione della destinazione economica, e, comunque, con obbligo di restituzione. Bisogna rilevare che, nonostante l’intervenuta riforma, la nuova versione dell’articolo 2352 c.c., pur ampliando il novero dei precetti, non si esprime esplicitamente in merito al diritto di recesso. A tal proposito, appare ragionevole ritenere che il legislatore abbia ritenuto valido e consolidato il precedente orientamento in merito al diritto di recesso, considerando di non doverlo modificare con la creazione di una norma ad hoc. Alla luce di quanto appena detto, pertanto,  anche dopo la riforma il diritto di recesso spetta al socio.

Viceversa appaiono problematici i presupposti che permettono al socio la possibilità di esercitare il diritto di recesso, laddove il voto sia attribuito al creditore pignoratizio, all'usufruttuario o al custode. Sul punto, limitatamente alle ipotesi in cui il diritto di recesso è attribuito per effetto della contrarietà o dell'astensione circa una decisione dei soci, è stata avanzata l'ipotesi di poter far riferimento alla figura dell'abuso di potere del creditore pignoratizio, dell'usufruttuario o del custode per permetterne l'esercizio in capo al socio[19].

In realtà l’argomento relativo alla titolarità del diritto di recesso deve essere analizzato tenendo conto dei diversi diritti parziari e delle diverse opinioni. Con riferimento al pegno, ad esempio, il diritto di recesso può essere considerato sia un diritto patrimoniale sia un diritto amministrativo, ciò ha impedito il formarsi di un’opinione unanime circa la sua spettanza, che, anteriormente alla riforma, era riconosciuto quale prerogativa del socio debitore con automatica conversione dell’oggetto della garanzia sulla somma liquidata[20]. Tale conclusione deriva dalla considerazione che il socio è considerato unico arbitro della sua partecipazione sociale. Di contro si è formata l’opinione di chi ritiene che laddove il diritto di recesso sia conseguenza di una decisione sociale, il suo esercizio non potrà discendere da una scelta discrezionale del socio debitore, ma sarà subordinato al mancato concorso del creditore pignoratizio (salvo patto contrario sul voto) alla decisione assunta.

Quanto all’usufrutto, la titolarità del diritto di recesso in capo al nudo proprietario, è sostenuta in considerazione del fatto che il riconoscimento dei diritti amministrativi in capo al’usufruttuario, non comporta un automatico riconoscimento in capo a costui del potere di disporre, che andrebbe in contrasto con la disciplina civilistica dell’istituto, laddove impone all’usufruttuario di rispettare la destinazione economica del bene[21].

Quanto infine al sequestro, si ritiene[22] che la titolarità del diritto di recesso spetti al socio in quanto il suo esercizio integra un atto dispositivo della partecipazione sociale, poco coerente con la cautela meramente conservativa esercitata dal custode. Per questo motivo si ritiene maggiormente plausibile che il diritto potestativo de quo spetti al socio, salvo poi dover valutare caso per caso, con riferimento a ciascun tipo do sequestro, le condizioni di esercizio e gli effetti..

   

9. Il Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 – di seguito “Decreto” - ha introdotto il Codice delle leggi antimafia e delle misure di  prevenzione,  nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione  antimafia, in attuazione della legge delega 13 agosto 2010, n. 136,

Il Decreto ha l’aspirazione di istituire un “diritto della criminalità organizzata”  ed,  in questa direzione, è condivisibile l'opera di razionalizzazione delle frammentarie norme che hanno spesso disorganicamente disciplinato la materia delle misure di prevenzione.

In realtà, l’imponente codice licenziato dal legislatore, che consta di 120 articoli, impone la necessità di focalizzare l’attenzione su alcuni temi di grande rilevanza.

La gestione patrimoniale dei sequestri antimafia è disciplinata dal capo III del D.Lgs. n.159/2011, ed in particolare dall’art. 35 all’art. 42.

In particolare, e sintetizzando i punti principali delle norme in esame, ai sensi dell’art. 35 il Tribunale, con il decreto che dispone il sequestro, nomina il giudice delegato alla procedura e l’amministratore giudiziario, il quale deve essere necessariamente iscritto all'istituito Albo nazionale degli amministratori giudiziari, e, nel caso di imprese, all’albo speciale sezione di  esperti in gestione aziendale, istituiti presso il Ministero di Grazia e Giustizia.

L'amministratore giudiziario, espressamente qualificato dalla legge come pubblico ufficiale, ha il compito di provvedere alla custodia,  alla conservazione e all'amministrazione dei beni  sequestrati, anche  al  fine di incrementarne la redditività, e può essere revocato dal Tribunale nel caso di grave irregolarità o di incapacità gestionale.

Al riguardo, una prima osservazione critica si rileva nella facoltà riconosciuta alla Agenzia Nazionale, ai sensi dell’art. 38, di potere chiedere al Tribunale la revoca dell’amministratore già nel procedimento di sequestro, prevedendosi cosi una discutibile ed inopportuna ingerenza nel rapporto fiduciario Amministratore-Organo giurisdizionale da parte della Agenzia, alla quale tra l’altro nella prima fase procedimentale non viene riconosciuta alcuna potestà gestionale.

A seguito dell’immissione in possesso dei beni sequestrati, ai sensi dell’art. 36 – e successivamente ex art. 41 - l'amministratore deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata dei  beni sequestrati, che deve contenere, tra i requisiti più rilevanti, lo stato e la consistenza dei singoli beni ovvero delle singole aziende; il presumibile valore di mercato dei beni quale stimato dall'amministratore stesso; gli eventuali diritti di terzi sui beni sequestrati; le difformità tra l’inventario e i beni risultanti dalle scritture contabili; la sussistenza delle concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa  dell'attività.

Anche in tal caso non può che evidenziarsi una criticità derivante dal mancato coordinamento temporale tra la relazione ex art. 36 e quella prevista dall’art. 41 dello stesso codice.

Difatti, mentre il primo articolo stabilisce che “nel caso di beni organizzati in azienda” l’Amministratore deve presentare la relazione entro 30 giorni dalla nomina - prorogabili di ulteriori 90 - la seconda norma prevede che “nel caso di aziende” (e quindi per il medesimo compendio sequestrato) l’Amministratore deve presentare al Tribunale una relazione particolareggiata entro sei mesi sullo stato e sulla consistenza dei beni aziendali sequestrati.

Per superare tale apparente sovrapposizione di relazioni su identici compendi aziendali in tempi diversi, si ritiene più aderente allo spirito delle norme esaminate l’interpretazione secondo la quale la relazione dell’amministratore da presentare per l’art. 36 entro 30 giorni avrebbe valenza  “preliminare” al fine di offrire, oltre alla descrizione dettagliata dei beni statici, anche una sintetica panoramica sulla struttura aziendale e sulle sue dinamiche, fermo restando il deposito della relazione ex art. 41 nei sei mesi successivi che dovrà puntualmente e dettagliatamente riportare tutte le attività svolte dall’amministratore e tutte le notizie inerenti l’impresa sequestrata, anche alla luce delle direttive sulla gestione che deve impartire il Giudice Delegato ai sensi dell’art. 40.

Ai sensi dell’art 37 l'amministratore giudiziario, in parallelo a quanto previsto dalla normativa fallimentare per il curatore, deve tenere un registro ove annota le operazioni relative alla sua amministrazione, e deve tenere una contabilità separata della gestione per i diversi soggetti o beni sequestrati.

Tale norma, correttamente inserita per garantire una più trasparente gestione, collima però con quanto previsto dal successivo art. 42, secondo cui l’amministratore può attingere da tutte le somme nella sua disponibilità gestoria per la conservazione e l'amministrazione  dei  beni, nonché per le spese della procedura.

Difatti la possibilità che l’amministratore possa indistintamente utilizzare le somme di cui dispone contrasta con l’obbligo della separata contabilità, anche ai fini del rendiconto di gestione.

In virtù dell’art. 41, l’amministratore giudiziario può compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione, nonché gli atti il cui valore il giudice delegato indica quali ordinari, tenendo conto del complesso aziendale sequestrato, mentre per quelli di straordinaria amministrazione, indicati esemplificativamente all’art. 40, è necessaria l’autorizzazione del Giudice Delegato.

Una interessante novità del Decreto è rappresentata dalla facoltà riconosciuta al pubblico ministero, al proposto e ad ogni altro interessato, di proporre reclamo al Giudice avverso gli atti dell'amministratore giudiziario.

Al riguardo, e nonostante la generica formulazione della norma, si ritiene che gli atti reclamabili non possano che essere solo quelli di straordinaria amministrazione, al fine di evitare un inammissibile eterocontrollo della gestione ordinaria spettante solo al Tribunale nominante.

Infine, sempre ai sensi dell’art. 41, i rapporti giuridici connessi all'amministrazione dell'azienda sono regolati dalle norme del Codice civile, ove non espressamente altrimenti disposto.

Vista la peculiarità della materia, si ritiene sarebbe stato meglio modificare il capoverso con,  “in quanto compatibili”, atteso che  la finalità delle misure di prevenzione, tendenti a colpire i patrimoni illecitamente accumulati, prevalgono in molti casi sulle norme civilistiche, che invece naturalmente disciplinano i rapporti di natura squisitamente negoziale, senza la evidente necessità di alcuna verifica della eventuale mafiosità del sotteso rapporto contrattuale .

In particolare il comma 6, dell’articolo 41, stabilisce che, nel caso di sequestro di partecipazioni societarie, che assicurino le maggioranze necessarie per legge, l’amministratore giudiziario può, previa autorizzazione del giudice delegato: a) convocare l’assemblea per la sostituzione degli amministratori; b) impugnare le delibere societarie di trasferimento della sede sociale, di trasformazione, fusione, incorporazione o estinzione della società, nonché di ogni altra modifica dello statuto che possa arrecare pregiudizio agli interessi dell’amministrazione giudiziari. Orbene, è facile cogliere dalla lettura dell’appena citato comma 6 dell’articolo 41, una penetrante ingerenza dell’organo di controllo, che si ritiene sia giustificata dal delicato ambito su cui va ad incidere, ed è sostanzialmente volta a tutelare la società attraverso la conservazione e l’amministrazione di quanto sequestrato, da un lato, e a colpire i patrimoni illecitamente accumulati dall’altro. 

Il tutto comunque fermo restando l’applicazione normativa societaria vigente e disciplinata nel codice civile.



[1] A. ASQUINI, Usufrutto di quote e di azioni, in Riv. dir. comm., 1947, I, p. 14 ss.; U. MIELE, Forma di esecuzione del sequestro giudiziario di quota di società a responsabilità limitata, in Nuova Riv. dir., 1950, II, p. 52 ss.; F. DI SABATO, Effetti del sequestro di azioni (o di quote di s.r.l.) sui diritti pertinenti alla gestione sociale, con particolare riguardo al diritto di voto e al diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea, in Foro pad., 1956, p. 46 ss.; B. BIONDI, Osservazioni circa la natura giuridica della quota di srl, in B.B.T.C., 1957, I, p. 543; F. ALCAMO, In tema di sequestro giudiziario di quota di società a responsabilità limitata, in Giur. Sic., 1959, p. 476 ss.; G. MAGRONE, Brevi osservazioni sul sequestro della quota di società a responsabilità limitata, in B.B.T.C., 1960, II, p. 267 ss.; A. CANDIAN, Il diritto del socio nelle società c.d. di capitali, natura giuridica, in Dir. fall., 1961, I, p. 257 ss.; S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, sub art. 670, p. 165 ss.; C. CALVOSA, Il processo cautelare (i sequestri e i provvedimenti d’urgenza), Torino, 1970, p. 346, G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca (artt. 2472-2479 bis), Bologna-Roma, 1971, sub art. 2475, p. 55; F. FERRARA jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1975, p. 617; COTTINO, op. cit., p. 802 ss.; RACUGNO, op. ult. cit., p. 307; Id, Panorami di giurisprudenza; Società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 1983, I, p. 293; E. PROTETTI, Il sequestro di quote di s.r.l., in Le Società, 1986, p. 839 ss.; G. MUSCOLO, Società di capitali e sequestro giudiziario di partecipazioni sociali e di azienda, in Le Società, 2000, p. 26-27; D. FICO, Il sequestro di quote di società a responsabilità limitata, in Dir. e Prat. delle Soc., 2002, p. 26 ss.    

[2] App. Palermo 28 novembre 1958, in Foro it., 1959, I, c. 1988; Trib. Torino 29 aprile 1978, in Giur comm., 1978, II, p. 880; Trib. Napoli 18 maggio 1981, in Giur. Comm., 1982, p. 364, con nota di RACUGNO; Trib. Roma 19 aprile 1986, in Le Società, 1986, p. 839; Cass. 12 dicembre 1986, n. 7409, in Foro it., 1987, I, c. 1101, con nota di DONATI; Trib. Milano 21 gennaio 1987, in Le Società, 1987, p. 622; Trib. Napoli 6 aprile 1987, in Le Società, 1987, p. 644; Cass. 3 novembre 1989, n. 4603, in Le Società, 1990, p. 302; Trib. Chiavari 6 giugno 1990, cit., p. 208; Trib. Bologna 20 novembre 1991, in Le Società, 1992, p. 691, con nota di L. F. PAOLUCCI; Cass. 23 gennaio 1997, n. 697, in Le Società, 1997, p. 647, con nota di F. PICONE; Trib. Como 13 novembre 1999, in Le Società, 1999, p. 731; Cass. 26 maggio 2000, n. 6957, in Le Società, 2000, p. 1331, con nota di F. COLLIA.

[3] Da ultimo cfr. Cass. 26 maggio 2000, n. 6957, cit.

[4] Per il collegamento tra l’art. 812, comma 3, c.c. e l’art. 813, seconda parte, c.c., cfr. ASQUINI, op. cit., p. 13, nota 2; B. BIONDI, Forma ed effetti della donazione di quote sociali, in Foro it., 1960, I, c. 161. Tale impostazione è stata del resto confermata dalla Suprema Corte (Cass. 23 gennaio 1997, n. 697, cit., con nota di F. PICONE; Cass. 1 ottobre 1997, n. 9577, in Giur. comm., 1999, p. 531, con nota di R. ROSSI) anche dopo la legge 12 agosto 1993, n. 310, che ha aggiunto all’art. 2479 c.c. un quarto comma che introduce l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese degli atti di trasferimento di quote di società di capitali; contra S. CHIARLONI, Il pignoramento di quote di s.r.l. si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, in Giur. it., 1995, p. 153 e Trib. Milano 28 marzo 2000, in Le Società, 2000, p. 1460, le quali alla luce della legge 310/93 hanno ritenuto la quota assoggettabile al regime dei beni mobili immateriali iscritti in un pubblico registro (art. 2683 c.c.).

[5] Cfr. Commentario COTTINO G., Vol. 2, p. 1833. In giurisprudenza cfr., Trib. Bologna 26 ottobre 1995, in Giur. Comm., 1997, II, p. 477. 

[6] Cfr. Salanitro, I vincoli sulle quote di società a responsabilità limitata, in Banca e Borsa, 2004, pp. 7-8.

[7] Cfr. Pinnarò M., commento all'art. 2471 bis, in Commentario Niccolini – Stagno d’Alcontres, p. 1522 ss..

[8] Cfr. M. Tola, Usufrutto, pegno e sequestro, in Aa. Vv., La nuova s. r. l., Milano, 2005, p. 161 ss..

[9] Cfr. M. Tola, op. cit., p. 163, ove l'autore riferisce che la norma “sembra presupporre proprio questa possibilità, limitandosi a prescrivere le modalità con cui deve operarsi il trasferimento della quota ogniqualvolta dalla costituzione del diritto parziario possa derivarne l'attribuzione a terzi; modalità che sembrano dover trovare applicazione anche in caso di sequestro destinato a concludersi con la vendita o assegnazione della quota”.

[10] Cfr. Poli, Commento all'articolo 2471 bis, in Commentario Maffei – Alberti, p. 1876-1877, dove l'autore denotando il mutato contesto normativo rispetto alla prevalente e precedente impostazione, rileva che il contenuto della partecipazione  di s.r.l. si è modificato con il risultato di avvicinare la partecipazione al modello delle società personali.

[11] In tal senso G. Piccinini, Commento all'art. 2471 bis c.c., p. 210 ss.

[12] Cfr. Poli, Commento all'articolo 2471 bis, p. 1884, il quale ritiene impugnabile anche le delibere del consiglio di amministrazione, laddove si ritenga che in materia si configuri una lacuna delle s.r.l., e che tale lacuna sia colmabile mediante l'applicazione analogica dell'articolo 2488, comma 4, c.c, ultima parte.

[13] In tal senso, cfr. Poli, Commento all'articolo 2471 bis, op. cit., p. 1896, il quale ritiene che tra le diverse tipologie di intervento statutario siano possibili clausole che invece di incidere sulla possibilità di costituire diritti parziari sulla partecipazione sociale, limitino semplicemente le conseguenze sul piano dei diritti spettanti al creditore pignoratizio o all'usufruttuario, ad esempio, statuendo, ex ante, la spettanza esclusiva del voto e degli altri diritti a rilevanza organizzativa in capo al socio, anche se lo stesso sia debitore pignoratizo o nudo proprietario delle quote. 

[14] In tal senso M. Maltoni, La partecipazione sociali, in Caccavale – F. Magliulo – M. Maltoni – F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, p. 198.

[15] Così  S. Poli, op. cit., p. 1892.

[16] Cfr. S. Poli, Commento all'art. 2471 bis, c.c., pag. 1886, ove l'autore ritine che il trapianto della norma in esame alla partecipazione non azionaria si traduce in una sorta di divisione legale della quota all'esito della quale, nell'ambito dell'unitaria partecipazione, ve ne è un a parte soggetta a pegno o usufrutto (con conseguente attribuzione di alcuni diritti sociali al titolare del diritto parziario) e un'altra (quella accresciuta in sede di sottoscrizione dell'aumento di capitale a pagamento) libera da vincoli.

[17] Cfr. Cass., 12 luglio 2002, n. 10144, in Società, 2003, p. 1237 ss., con nota di M. Lisanti.

[18] In tal senso A. Morano, La costituzione in pegno di azioni e quote di società di capitali, in Riv. not., 2004, I, p. 1157, il quale ricorda come “il diritto di recesso sia tradizionalmente annoverato tra i diritti patrimoniali inerenti all'azione”, e quindi anche alla partecipazione in s.r.l..

[19] In tal senso G. Presti, Questioni in tema di recesso nelle società di capitali, in Giur. Comm., 1982, I, p. 105, il quale ritiene che l'abuso di potere, se accertato, permetterebbe di risolvere un problema che nel momento organizzativo vedrebbe pregiudicate le aspettative del socio, posto che la società, in caso di voto favorevole del titolare del diritto parziario, non potrebbe accettare l'esercizio del diritto di recesso da parte del socio, in quanto si concretizzerebbero comportamenti contraddittori fondati su diversi diritti avente fonte nel medesimo titolo rappresentativo.

[20] In tal senso, Asquini, op. cit., p. 26; Zanarone, Delle società a responsabilità limitata, in Il codice civile, Milano, 2010.

[21] Così Zanarone, op. cit., p. 730.

[22] Così Poli, op. cit.


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