Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7535 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 03 Febbraio 2006, n. 2420. Est. Panebianco.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Liquidazione coatta amministrativa - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - In genere - Legge n. 95 del 1979 - Azione di recupero ex art. 42, secondo comma, legge fall. - Esercizio nella procedura di amministrazione straordinaria - Aiuti concessi dagli Stati - Art. 87 (già 92) del Trattato CE - Configurabilità - Esclusione - Illegittimità dell'intera legge per omessa notifica alla Commissione europea - Sussistenza - Esclusione.



Essendo l'azione di recupero del credito in base al disposto dell'art. 42, comma secondo, legge fall. normalmente esercitabile nel corso di tutte le procedure concorsuali che presuppongono l'accertamento dello stato di insolvenza, nessun carattere "selettivo", configurabile come "aiuto di stato" ai sensi dell'art. 87 (già art. 92) del Trattato CE, può esser ravvisato allorché l'azione stessa sia esercitata nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dalla legge 3 aprile 1979, n. 95 (di conversione in legge, con modif., del d.l. 30 gennaio 1979, n. 26), ancora applicabile per i procedimenti in corso in forza della disposizione transitoria di cui all'art. 106 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e dell'art. 7 della legge 12 dicembre 2002, n. 273 (Cfr. sentenze della Corte di giustizia 17 giugno 1999, nel procedimento C-295/97, e 1 dicembre 1998, nel procedimento C-200/97, nonché ordinanza della stessa Corte 24 luglio 2003, nel procedimento C-297/01); né può affermarsi l'illegittimità dell'intera legge n. 95 del 1979 per mancanza della notifica alla Commissione europea, richiesta dall'art. 92, n. 1, del Trattato, essendo tale notifica necessaria solo in presenza di una situazione qualificabile come aiuto e, in ogni caso, inquadrabile tra gli aiuti "nuovi" (e non già "esistenti", tra i quali, invece, la decisione 16 maggio 2000 della Commissione ha inquadrato - sia pure in contrasto con la decisione della Corte di giustizia 17 giugno 1999, cit. - quelli individuati nella legge in esame). (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - rel. Consigliere -
Dott. CELENTANO Walter - Consigliere -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INTESA BCI GESTIONE CREDITI S.P.A., in persona dei funzionari pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA LARGO FOCHETTI 28, presso l'avvocato FABRIZIO PIETROSANTI, STUDIO PIROLA rappresentato e difeso dall'Avvocato TUCCI GIUSEPPE, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
IMTAP INDUSTRIA MANUFATTURE TESSILI A PALETTI S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 33221/2002 proposto da:
IMTAP INDUSTRIA MANIFATTURE TESSILI A. PAOLETTI S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dell'Ufficio Commissariale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA LARGO MESSICO 3, presso l'Avvocato LUIGI MANZA che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati EUGENIO ROTINI, D'ALESSANDRO VINICIO, BLASIO ELIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
INTESA BCI GESTIONE CREDITI S.P.A., in persona dei Funzionari pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA LARGO FOCHETTI 28, presso l'avvocato FABRIZIO PIETROSANTI, STUDIO PIROLA rappresentato e difeso dall'Avvocato GIUSEPPE TUCCI, giusta mandato a margine del controricorso al ricorso incidentale;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 05/04/2002;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/11/2005 dal Consigliere Dott. Ugo RiccardO PANEBIANCO;
udito per il ricorrente principale l'Avvocato COEN, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto dell'incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del quinto motivo del ricorso principale e rigetto nel resto;
per la inammissibilità del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Cona atto notificato in data 23/07/1985 la s.p.a. IMTAP - Industrie Manifatture Tessili di A. Paoletti ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria conveniva avanti al Tribunale di Grosseto la Cassa di Risparmio di Puglia, chiedendo che fosse dichiarata l'inefficacia ai sensi della L. Fall., art. 44 o la revoca in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, degli accreditamenti e delle compensazioni operati dalla Cassa sul conto corrente bancario della società attrice successivamente al 17/03/1982, vale dopo l'ammissione della società alla amministrazione controllata che aveva preceduto la amministrazione straordinaria disposta il successivo 31 Agosto e che conseguentemente fosse condannata al pagamento della complessiva somma di L. 209.501.274 oltre alla restituzione, con gli interessi successivamente maturati, del libretto al portatore n. 54/3133 ad essa intestato, recante al 31/12/1981 un deposito di L. 33.057.807. Esponeva al riguardo che la Cassa di Risparmio di Puglia, al momento dell'ammissione della IMTAP all'amministrazione controllata, era in possesso del portafoglio cambiario a scadere, ceduto in garanzia dalla stessa IMTAP per il complessivo importo di L. 200.000.000 a fronte di una anticipazione in conto corrente ordinario dell'80% e che la somma di cui chiedeva la condanna corrispondeva all'ammontare dei. pagamenti dei titoli eseguiti dopo il 17/03/1982 a favore della IMTAP ed accreditati dalla Cassa alla società a riduzione della sua esposizione.
Quanto al libretto al portatore, precisava che la Cassa si era rifiutata di restituirlo adducendo che era stato costituito in pegno il 05/08/1976.
La Cassa di Risparmio di Puglia si costituiva, sostenendo che con l'IMTAP era stato stipulato un contratto di sconto, con la conseguenza che l'importo dei titoli riscossi non era soggetto a revocatoria fallimentare e precisando che la somma di cui al libretto al portatore era stata portata in compensazione con il maggior credito vantato dalla Cassa.
Con sentenza non definitiva del 20/02/1992 il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava la Cassa a pagare all'IMTAP le somme riscosse in pagamento dei titoli cambiari ricevuti dalla stessa IMTAP e scaduti dopo l'ammissione alla amministrazione straordinaria (31/08/1982) nonché a restituire il libretto al portatore detenuto illegittimamente.
Entrambe le parti proponevano impugnazione (l'IMTAP lamentando che la condanna era stata limitata agli importi relativi ai titoli con scadenza successiva all'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e la Cassa deducendo che il contratto relativo ai titoli cambiari dovesse essere qualificato come sconto e non già come anticipazione bancaria) ed all'esito del giudizio la Corte d'Appello di Firenze con sentenza del 19/06/1996, in accoglimento dell'appello incidentale della Cassa, respingeva tutte le domande proposte dall'attrice, rilevando che i titoli ceduti alla Cassa non erano stati costituiti in pegno irregolare a garanzia di un'anticipazione ma avevano formato oggetto di sconto, con la conseguenza che la Cassa, ricevendo il pagamento delle cambiali ad essa cedute, aveva riscosso un proprio credito e che pertanto non poteva trovare applicazione il richiamato L. Fall., art. 44; riteneva inoltre, per quanto riguarda il libretto di deposito, che l'esistenza del pegno era stata, riconosciuta dallo stesso Commissario e che quindi la Cassa poteva vantare un valido titolo alla detenzione anche ai sensi della L. Fall., art. 56.
Avverso tale sentenza la IMTAP proponeva ricorso per Cassazione cui resisteva con controricorso la Cassa.
Con sentenza n. 1097/1999 questa Corte accoglieva il ricorso dell'IMTAP e rinviava il procedimento ad altra sezione della stessa Corte d'Appello.
Dopo aver premesso che la controversia relativa alle cambiali atteneva unicamente a quelle scadenti oltre il dodicesimo mese per le quali era stato convenzionalmente previsto che "il portafoglio ... verrà presentato in garanzia al fine di ottenere un'immediata anticipazione dell'80% del valore facciale dei titoli ... e che man mano che il portafoglio rientrerà nei limiti della bancabilità verrà scontato e utilizzato a scarico della anticipazione concessa", osservava la Corte che la sentenza impugnata non aveva verificato come in concreto si erano svolti i rapporti, avuto riguardo anche ai nuovi elementi contenuti nella successiva corrispondenza scambiata fra le parti ed in particolare alla lettera della Cassa del 07/10/1977 con cui si annunciava la concessione di un aumento della "anticipazione su effetti" non bancabili con espresso riferimento non già allo "sconto" ma alla "messa all'incasso degli effetti". Rilevava altresì che la Corte di merito non aveva neppure considerato che le operazioni regolate secondo il modello originario si sarebbero dovute articolare in due distinte fasi: l'una riguardante la presentazione del portafoglio non bancabile e la conseguente apertura di credito nel limite dell'80%, di per sè insufficiente ad attribuire alla girata dei titoli la funzione di cessione di credito che l'art. 1859 c.c. assegna alla girata nello sconto di cambiali; l'altra, trascurata dalla Corte d'Appello, relativa al successivo accredito sul conto corrente dell'importo del singolo credito ceduto, non ancora scaduto, potendo dirsi solo a tale punto concluso il contratto reale di sconto. Con la conseguenza che sarebbe stato necessario accertare se ogni singolo titolo fosse in effetti passato allo sconto prima dell'inizio della procedura con l'accredito sul conto corrente e valutare se alla girata delle cambiali non bancabili, attuata non nella immediata funzione di sconto ma per conseguire l'apertura di credito, dovesse in ogni caso riconoscersi l'effetto della cessione del credito e non invece una girata fiduciaria a scopo limitato di garanzia, implicante un mandato a riscuotere anche nell'interesse del giratario.
Quanto al pegno sul libretto di deposito che la Corte di merito aveva ritenuto sussistente sulla base dell'ammissione del Commissario della amministrazione straordinaria, rilevava che, non risultando da scrittura di data certa come richiede l'art. 2787 c.c., se ne doveva escludere la giuridica esistenza.
Il giudizio veniva quindi riassunto avanti ad altra sezione della Corte d'Appello di Firenze che con sentenza del 05/02 - 05/04/2002 condannava la BANCA INTESA s.p.a., incorporante per fusione la Caripuglia s.p.a. e rappresentata dalla s.p.a. INTESA GESTIONE CREDITI, al pagamento della richiesta somma ed alla restituzione del libretto oltre agli interessi dalla domanda ovvero, relativamente al libretto, con gli interessi maturati se superiori a quelli legali, oltre ancora al maggior danno di cui all'art. 1224 c.c.. Nell'uniformarsi ai principi espressi dalla Corte di legittimità, la Corte d'Appello, richiamando in primo luogo le due fasi in cui si era articolato il complesso rapporto conseguente alla girata dei titoli nonché il contenuto di cui alla lettera 07/10/1977 con cui tale rapporto era stato modificato, osservava che non è ipotizzabile la presenza dello "sconto" allorché, come nel caso in esame, i titoli posti all'incasso vengano accreditati (salvo buon fine) in epoca addirittura successiva alla loro scadenza, con decorrenza peraltro degli interessi passivi sul conto anticipazioni non già fino ad una data anteriore alla scadenza del titolo, corrispondente al momento dell'ipotetico sconto, ma addirittura fino ad una data successiva alla scadenza cartolare del titolo.
Evidenziava poi che le lettere con le quali l'IMTAP, in epoca successiva alla citata missiva, aveva trasmesso i titoli non facevano alcun riferimento ad operazioni di sconto e soprattutto che negli estratti conto relativi al conto anticipazioni i movimenti in avere risultavano annotati, peraltro con valuta sempre successiva a quella della rispettiva movimentazione, con il codice "EF" corrispondente alla causale "Effetto valuta scadenza" e non già con il codice "SC" corrispondente alla causale "Sconto".
Riteneva ancora che, nel computare gli effetti consegnati per l'incasso, dovesse farsi riferimento alla data del 17/03/1982, allorché fu disposta la amministrazione controllata, e non già a quella successiva del 31/08/1982 in cui la società fu posta in amministrazione straordinaria.
Quanto infine all'entità delle somme, rilevava che essa era quantificabile nella misura di L. 209.501.274, pari all'importo dei titoli venuti a maturazione, non essendovi stata al riguardo alcuna contestazione ed essendo venuta meno la ragione per distinguere i titoli scaduti dopo il 31/08/1982 da quelli scaduti in precedenza. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione la INTESA BCI GESTIONE CREDITI S.P.A., già Intesa Gestione Crediti s.p.a., in qualità di procuratrice di Banca Intesa Banca Commerciale Italiana s.p.a., già Banca Intesa s.p.a., deducendo cinque motivi di censura. Resiste con controricorso la IMTAP in amministrazione straordinaria in persona del Commissario che propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
La ricorrente principale resiste con controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l'incidentale, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.
Con il primo motivo del ricorso principale la INTESA BCI GESTIONE CREDITI s.p.a., quale procuratrice della BANCA INTESA COMMERCIALE ITALIANA s.p.a., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 249, 87, 88, 89 e 234 del Trattato U.E. e della decisione della Commissione CE 16/05/2000 con riferimento al D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, art. 1, convertito nella L. 3 marzo 1979, n. 95 ed alla L. Fall., artt. 195 e s.s., artt. 237 e s.s., artt. 203 e 67, D.Lgs. n. 27 del 1999, art. 106, art. 112 c.p.c. nonché difetto di motivazione. Deduce l'incompatibilità della procedura di amministrazione straordinaria prevista dal D.L. n. 26 del 1979 conv. nella L. n. 95 del 1979 - ora abrogata ma applicabile alla fattispecie in virtù della disciplina transitoria prevista dalla D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106 - con i principi del diritto comunitario ed in particolare con le norme contenute negli artt. 92 e s.s. del Trattato di Roma (ora artt. 87 e s.s. del Trattato di Maastricht) riguardanti la disciplina degli aiuti di Stato, con la conseguenza che il Giudice nazionale è tenuto d'ufficio a revocare la sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza della IMTAP in amministrazione straordinaria ed a determinare così la caducazione dell'intera procedura in conformità a varie pronunce della Corte di Giustizia CE ed alla decisione della Commissione CE del 16/05/2000.
Il motivo di ricorso è infondato.
Preliminarmente deve osservarsi che la prospettata censura, anche se dedotta per la prima volta in questa sede di legittimità, è certamente ammissibile in quanto, vertendosi in tema di compatibilità del diritto interno (nella specie la L. n. 95 del 1979) con quello comunitario, la verifica da parte del Giudice nazionale non è condizionata alla deduzione di uno specifico motivo ma, come nell'ipotesi di "ius superveniens" o della normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, può essere compiuta d'ufficio (Cass. 5241/2003; Cass. 18915/2004;
Cass. 21083/2005).
In senso contrario a tali conclusioni non possono considerarsi quelle decisioni di questa Corte che hanno affermato il principio secondo cui la parte che deduce l'incompatibilità di una legge statale con le norme comunitarie in tema di "aiuti di Stato", introducendo un'eccezione in senso sostanziale, ha l'onere di allegare e di provare la ricorrenza nel caso concreto di un aiuto di Stato, senza che il Giudice di merito possa accertare d'ufficio gli elementi utili a tal fine (Cass. 2534/2005; Cass. 5561/2004; Cass. 5241/2003: tutte in tema di amministrazione straordinaria ex lege n. 95 del 1979). Al riguardo è necessario distinguere infatti le ipotesi che richiedono la necessità di accertamenti di fatto da quelle invece in cui una tale necessità non si prospetta. E non v'è dubbio che qualora, come nel caso in esame, venga dedotta l'incompatibilità dell'intera disciplina della L. n. 95 del 1979, o di singole norme sul rilievo che la loro applicazione costituisca di per sè "aiuto di Stato", non è necessario alcun accertamento di fatto e non sussistono pertanto impedimenti per l'esame d'ufficio della questione, diversamente dalla distinta situazione, non ravvisabile nella fattispecie, in cui detta incompatibilità venga dedotta in relazione ad una specifica fruizione di un aiuto di Stato. Venendo ora all'esame della dedotta questione, va subito osservato che il problema è stato già affrontato e risolto in modo uniforme da questa Corte (Cass. 2534/2005; Cass. 21083/2005; Cass. 21082/2005;
Cass. 13165/2004; Cass. 18915/2004) nel senso della esclusione della denunciata incompatibilità ed il Collegio ritiene di dover dare continuità a tale giurisprudenza ormai consolidata. Nè rileva che nelle citate decisioni si discutesse nell'ambito dell'azione revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, mentre nel caso in esame è stata esercitata l'azione per il recupero del credito sulla base della previsione di cui alla L. Fall., art. 42, comma 2, come è stata qualificata da questa Corte con la precedente decisione pronunciata in questo stesso giudizio (Cass. 1097/1999), essendo in contestazione non già la singola azione ma l'intera L. n. 95 del 1979 e quindi anche la parte che consente, in conseguenza della dichiarazione di insolvenza, il recupero delle somme corrisposte successivamente.
Punto di avvio non possono che essere i principi elaborati dalla Corte di Giustizia Europea, attesa l'immediata efficacia nell'ordinamento interno, non solo delle fonti normative comunitarie, ma anche delle pronunce di detta Corte che risultino dichiarative del diritto comunitario (Cass. 168/1991), pur con la doverosa puntualizzazione sui limiti di tali pronunce in quanto, come ha precisato la stessa Corte di Giustizia (sent. Piaggio del 17/06/1999 in causa 295/1997 paragrafo 29 e 50) "nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE la Corte non è competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire sulla compatibilità di un provvedimento nazionale con l'art. 92 del Trattato" (oggi art. 87). Ed infatti la Corte non statuisce sulla L. n. 95 del 1979, ma sulla interpretazione della nozione di aiuto di Stato, ferma restando la verifica da parte del Giudice nazionale sulla portata normativa della legge interna, sia pure alla luce di detta interpretazione. Orbene la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha più volte affermato (17/06/1999 in causa 295/1997-Piaggio; 01/12/1998 in causa 200/97-Ecotrade) che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello istituito dalla L. n. 95 del 1979, derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, da luogo alla concessione di un aiuto ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato (poi divenuto art. 87) allorché sia dimostrato che questa impresa:
- è stata autorizzata a continuare la sua attività economica in circostanze in cui tale eventualità sarebbe stata esclusa nell'ambito della applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o - ha beneficiato di. uno o più vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento.
Da tale enunciazione di principio, riaffermata anche dalla Commissione delle Comunità Europee (16/05/2000), si ricava il convincimento che non già la legge in sè, nella sua totalità, è incompatibile con le disposizioni comunitarie ma solo laddove preveda un regime di aiuto nei termini testè precisati. In breve, non si configura invariabilmente un aiuto di Stato, ma è solo possibile che nei congrui casi una tale conseguenza si verifichi.
È il caso altresì di precisare che, in relazione allo specifico problema in esame dell'applicabilità della L. Fall., art. 42, comma 2, (al pari del problema della proponibilità dell'azione revocatoria discussa nelle richiamate decisioni di questa Corte), poiché ne' la Corte di Giustizia Europea ne' la Commissione se ne sono occupate ne' avrebbero potuto occuparsene per le ragioni sopra esposte, la soluzione non può che essere data dal Giudice nazionale alla luce del richiamato principio sulla nozione di aiuto di Stato. Pertanto, dovendosi ritenere illegittime per incompatibilità non già l'intera legge di cui si discute ma solo, in quanto esistenti, le specifiche previsioni che derogano alla disciplina generale sul fallimento, in tale ambito non è certamente riconducibile l'azione in esame (così come quella revocatoria di cui alla L. Fall., art. 67), trovando applicazione in tutte le procedure concorsuali che presuppongono l'accertamento dello stato d'insolvenza. Nè l'illegittimità dell'intera legge può derivare dalla mancanza della notifica alla Commissione richiesta dall'art. 92, n. 1, del Trattato, essendo questa necessaria solo in presenza di una situazione inquadrabile come aiuto.
Peraltro, a tutto voler concedere, una tale notifica è richiesta per gli aiuti "nuovi" e non anche per quelli "esistenti" (che possono essere erogati finché la Commissione non li dichiarì incompatibili), fra i quali la Commissione (16/05/2000 paragrafi 71 e 72), sia pure in contrasto con la decisione della Corte di Giustizia del 17/06/1999, ha previsto anche quelli individuati nella legge in esame, almeno dal 30/07/1992, in considerazione della legittima aspettativa che la stessa Commissione aveva creato con la presa di posizione assunta con la lettera in pari data con cui era stato precisato che "le misure in questione sarebbero state trattate come "aiuto esistente".
Le esposte conclusioni, relative alla impossibilità di ravvisare un aiuto di Stato nell'azione in esame, trovano peraltro ulteriore precisazione al paragrafo 50 della più volte citata decisione della Commissione (16/05/2000) la quale, dopo aver rilevato che la L. n. 95 del 1979, rinvia per vari aspetti alla legge italiana sul fallimento, distingue le ipotesi in cui "prevede l'applicazione in condizioni non derogatorie ai meccanismi di quest'ultima" da quelle invece per le quali prevede "applicazioni particolari che comportano la concessione di taluni vantaggi specifici e che implicano risorse pubbliche", sottolineando come nel primo caso tali meccanismi "si configurano come misure generali prive di qualsiasi carattere selettivo" e, nel secondo invece, come un regime di aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87 paragrafo 1 del Trattato CE.
È evidente pertanto da tale passaggio della motivazione che il rinvio alla legge italiana sul fallimento da parte della normativa in esame non si configura automaticamente come regime di aiuto, dovendosi escludere una tale ipotesi allorché l'istituto da applicare non si ponga come derogatorio alla procedura fallimentare ma sia esercitabile nelle stesse condizioni previste per la generalità delle imprese, senza alcuna discriminazione. Conseguentemente, essendo l'azione in esame normalmente esercitabile nel corso della procedura fallimentare, nessun carattere selettivo, configurabile come aiuto, può essere ravvisato allorché, nell'ambito dell'amministrazione straordinaria, venga fatta valere al solo fine di recuperare il credito in applicazione del principio della "par condicio creditorum".
Ciò trova riscontro, del resto, nelle conclusioni (paragrafo 74 lett. b) in cui la Commissione non afferma che la L. n. 95 del 1979, costituisce un regime di aiuti di Stato ma solo che "introduce" un tale regime, sintetizzando e rendendo evidente con tale espressione, da coordinarsi con la richiamata motivazione, che non ha inteso considerare incompatibile l'intera normativa ma solo quelle parti che abbiano carattere selettivo e non generali e come tali idonee a configurare la presenza di aiuti di Stato. Nè può sottacersi che la Corte di Giustizia nella decisione più volte richiamata del 17/06/1999, al paragrafo 35, come in altre precedenti (24/05/1978 causa 82/77; 17/03/1993 cause riunite C-72/91 e C-73/91; 30/11/1993 causa C-89/91; 1.12.1998 causa C-207/97 Ecotrade paragro 36;
07/05/1998 cause riunite da C-52/97 a C-54/97), ha precisato come un sistema di aiuti non è individuabile in mancanza di un trasferimento di risorse, diretto od indiretto, alle imprese da parte dello Stato o di altri enti a tal fine designati.
Tali conclusioni non trovano ostacolo nella ordinanza della Corte di Giustizia 24/07/2003 (causa C-297/01) che si è pronunciata sulla D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, il quale, nell'abrogare la L. n. 95 del 1979, ne ha tuttavia mantenuto in vigore, come sopra si è evidenziato, le disposizioni relative ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore. Tale ordinanza infatti si è limitata a confermare le precedenti decisioni della Corte di Giustizia e della Commissione, affermando testualmente che "un regime transitorio, quale quello previsto dalla D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, che proroga l'efficacia di un regime nuovo di aiuti di Stato non notificato alla Commissione e dichiarato incompatibile con il diritto comunitario, costituisce esso stesso un regime nuovo di aiuti di Stato ai sensi degli artt. 87 e 88 CE".
Trattasi in altri termini di un'ulteriore affermazione sull'incompatibilità con la normativa comunitaria del regime di aiuti introdotto con la L. n. 95 del 1979, e prorogato con il D.Lgs. n. 270 del 1999, senza che nulla risulti innovato rispetto alle precedenti decisioni, essendo il riferimento limitato anche in tale ordinanza non già all'intero sistema normativo ma al regime di aiuti, vale a dire a quelle disposizioni che possano costituire benefici concessi dallo Stato alle imprese in amministrazione straordinaria.
Alla luce di tali principi deve essere quindi interpretato la L. n. 279 del 2002, art. 7, il quale ribadisce che alle procedure all'epoca instaurate continuano ad applicarsi le disposizioni transitorie di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 106, e cioè le disposizioni della L. n. 95 del 79, di cui vanno escluse pertanto solo quelle che costituiscono aiuti di Stato.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 383 e 384 c.p.c., artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c., lamentando che la Corte d'Appello, in sede di rinvio, non abbia adeguatamente assolto al compito affidatole dalla Corte di Cassazione che, nel rilevare un difetto di motivazione nella sentenza cassata, aveva demandato al Giudice di rinvio di accertare non solo se alla girata apposta sulle cambiali dovesse attribuirsi funzione di sconto e quindi l'effetto, sotto tale profilo, della cessione di credito ovvero natura fiduciaria a scopo limitato di garanzia, contenente un mandato irrevocabile a riscuotere, ma anche se fosse ipotizzabile già nella prima fase, indipendentemente dallo sconto, una cessione di credito. Accertamento questo che non era stato compiuto.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 383, 384 c.p.c., artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c. con riferimento all'accordo di cui alla lettera del 07/10/1977, alle precedenti pattuizioni ed al comportamento tenuto dalle parti nel corso del rapporto nonché degli artt. 1230 e 1231 c.c. e difetto di motivazione. Lamenta che la Corte d'Appello, dopo l'erronea interpretazione della prima fase contrastante con il senso della sentenza di rinvio, abbia fornito un'errata lettura degli atti riguardanti la seconda, attribuendo ancora una volta alla girata, sulla base della lettera del 07/10/1977 e di quelle successive nonché degli estratticonto relativi al conto anticipazioni, la funzione di garanzia e non già quella di cessione del credito posta in realtà in essere attraverso la realizzazione di un contratto atipico di trasferimento al di fuori della previsione di cui all'art. 1858 c.c. s.s..
Entrambe le censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, sono infondate e prospettano, peraltro, valutazioni di merito che sfuggono al sindacato di questa Corte.
Va rilevato in primo luogo che le doglianze della ricorrente non investono più il problema relativo alla sussistenza di un contratto di sconto ex art. 1858 c.c., la cui esclusione da parte della Corte d'Appello deve ritenersi pertanto accertata definitivamente, ma la diversa questione, anch'essa demandata, come ipotesi alternativa allo sconto, al Giudice di rinvio cui era stato richiesto di verificare anche "se alla girata delle cambiali ... dovesse in ogni caso riconoscersi l'effetto della cessione di credito o non invece ... una girata fiduciaria a scopo limitato di garanzia implicante un mandato a riscuotere anche nell'interesse del giratario".
Nell'ambito di tale specifico profilo viene lamentato che la Corte d'Appello non si sia fatto carico di accertare se la cessione di credito sia avvenuta attraverso la realizzazione di un contratto atipico di trasferimento al di fuori dalla previsione di cui all'art. 1858 c.c..
Non tiene conto però la ricorrente che la valutazione operata dalla Corte d'Appello sul complesso rapporto instauratosi fra le parti, ed in particolare a seguito delle modifiche apportate con la lettera della Cassa di Risparmio del 07/10/1977, investe non solo lo sconto ma sostanzialmente qualsiasi ipotesi di cessione di credito laddove, anche attraverso un raffronto con la diversa regolamentazione precedente, viene evidenziata come contropartita immediata, non l'importo scontato delle cambiali, ma un'apertura di credito di cui la girata dei titoli assumeva la funzione di garanzia e viene altresì sottolineato come, sempre diversamente dalla precedente convenzione ove si faceva riferimento allo sconto, la nuova previsione negoziale imponesse solo di "mettere all'incasso gli effetti non appena si rendano (rendessero n.d.r.) bancabili, salvo buon fine, ed accreditarli il giorno 10 del mese successivo a quello di scadenza".
In tale contesto è evidente che la Corte d'Appello, analizzando le clausole negoziali, abbia inteso escludere ogni ipotesi di cessione di credito, attribuendo alla girata natura fiduciaria a scopo di garanzia implicante un mandato all'incasso (eccesso del mezzo rispetto allo scopo).
Ora, una tale valutazione, essendo immune da vizi logici e giuridici, si sottrae, come si è già anticipato, al sindacato di legittimità. Del resto tale ulteriore accertamento, di cui la Corte d'Appello era stata investita, sottintendeva necessariamente la ricerca di altri elementi di giudizio o di ragioni idonei ad individuare, pur in assenza dello sconto, la esistenza di una cessione. Ma nemmeno la ricorrente è stata in grado di indicare, stante al tenore delle due censure, non solo gli elementi di fatto che sarebbero stati trascurati dalla sentenza impugnata ma neanche i motivi per i quali era da escludere il mero scopo di garanzia assolto dal trasferimento delle cambiali, essendosi limitata a sostenere, attraverso una lettura restrittiva della sentenza impugnata e quindi contrariamente al vero, che la Corte d'Appello non si fosse occupata dell'ulteriore problema affidato al suo giudizio dalla precedente sentenza di questa Corte.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., nonché difetto di motivazione. Lamenta che la Corte d'Appello, in ordine alla questione relativa alla data cui far riferimento ai fin della determinazione del credito e cioè se alla data del provvedimento che dispose la amministrazione controllata (17/03/1982) od a quella successiva del decreto che ammise la società all'amministrazione straordinaria (31/08/1982), abbia deciso nel primo senso, escludendo che si fosse formato il giudicato sul punto nonostante al riguardo nessuna censura fosse stata prospettata con il precedente ricorso in sede di legittimità.
Anche tale censura, di carattere processuale, è infondata, dovendosi ritenere, in base alle stesse considerazioni espresse dalla Corte d'Appello, che sulla dedotta questione - relativa appunto alla data cui far riferimento per il conteggio degli importi dovuti alla società in amministrazione straordinaria ai sensi della L. Fall., art. 42, comma 2, - non si è formato il giudicato.
Poiché la precedente decisione del Tribunale (che aveva fissato la decorrenza dalla data del provvedimento che dispose l'amministrazione straordinaria 31/08/1982 anziché da quella precedente del provvedimento che aveva disposto l'amministrazione controllata 17/03/1982) era stata impugnata a suo tempo con l'appello da parte dell'IMTAP anche su tale punto e poiché la prima sentenza della Corte d'Appello non aveva affrontato il problema in quanto assorbito dalla decisione sulla questione principale - con cui era stata ravvisata la presenza di un contratto di sconto con conseguente rigetto della domanda - non v' è dubbio che a seguito della sentenza n. 1097/1999 di questa Corte siano riemerse anche le questioni dipendenti dalla soluzione sulla questione principale e quindi anche quella in esame, in ordine alla quale le parti sono poste nella stessa posizione assunta nel precedente giudizio di merito. Nè rileva che nel primo giudizio di legittimità tale questione non fosse stata prospettata, non potendo il ricorso proposto in quella sede che riguardare il contenuto della decisione impugnata. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 278 c.p.c., artt. 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c., nonché difetto di motivazione. Sostiene che erroneamente la sentenza qui impugnata ha ritenuto che, in ordine alla somma di L. 209.501.274 riguardante l'importo dei titoli venuti a maturazione con valuta posteriore al 17/03/1982, non fosse stata mossa alcuna contestazione, nonostante la precisazione contenuta nelle conclusioni del primo giudizio avanti alla Corte d'Appello, ed inoltre che altrettanto erroneamente ha ritenuto che non vi sarebbe ormai alcuna ragione di contestazione, stante il riferimento alla data del decreto di ammissione all'amministrazione controllata, per distinguere i titoli scadenti dopo il 31/08/1982 da quelli con scadenza anteriore, come invece aveva statuito il Tribunale che tale distinzione aveva operato e che per tale motivo aveva rimesso gli atti in istruttoria. Al riguardo deduce che in ogni caso sarebbe stato necessario distinguere i titoli per i quali era avvenuto il pagamento da quelli rimasti insoluti.
Anche tale censura è infondata.
Al di là dell'ulteriore considerazione operata sul punto dalla Corte d'Appello, laddove ha rilevato che sull'importo dei titoli maturati non v'era mai stata alcuna contestazione sotto il profilo contabile, l'effettiva "ratio decidendi" è indubbiamente costituita dall'esplicita indicazione della somma di L. 219.501.274 nonché dalla precisazione che essa è pari all'importo dei titoli venuti a maturazione con valuta posteriore al 17/03/1982.
Ora, una tale affermazione, che richiede evidentemente un conteggio dei singoli importi corrispondenti al valore facciale dei titoli, è frutto di un accertamento di fatto che si sottrae, in quanto tale, al sindacato di questa Corte, essendo immune da vizi logici e giuridici, peraltro nemmeno prospettati in modo specifico dalla ricorrente che si è limitata ad un generico richiamo alle contestazioni operate in sede di merito.
Quanto poi alla dedotta necessità di una ulteriore attività istruttoria su cui si era riservato il Tribunale, correttamente la Corte d'Appello l'ha ritenuta superata in considerazione del fatto che non vi era più alcuna ragione (per i rilievi espressi in relazione al precedente quarto motivo di ricorso) di distinguere i titoli scaduti dopo il 31/08/1982 da quelli scaduti dopo il 17/03/1982.
Relativamente infine all'ulteriore deduzione riguardante la necessità di distinguere, attraverso un accertamento di merito, le somme effettivamente riscosse dalla banca dai titoli rimasti insoluti, si tratta di una questione nuova che non risulta prospettata in precedenza e sulla quale nemmeno la ricorrente richiama i propri precedenti scritti difensivi, come invece ha fatto in ordine alla diversa questione poco sopra trattata relativa al periodo di riferimento per la individuazione dei titoli da considerare ai fini in esame.
Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato. Con l'unico motivo del ricorso incidentale la IMTAP in amministrazione straordinaria, in persona del Commissario, denuncia violazione degli artt. 112, 372 c.p.c., artt. 1224 e 1282 c.c.. Lamenta che la Corte d'Appello, nel condannare la controparte agli interessi sulla somma di L. 33.057.807 di cui al libretto di deposito, li abbia fatti decorrere dalla domanda (23/07/1985), liquidando in tal modo solo gli interessi moratori e non anche quelli compensativi o convenzionali con decorrenza 31/12/1981 ai sensi dell'art. 1282 c.c..
La censura è fondata.
Relativamente al libretto al portatore n. 54/3133, la IMTAP in amministrazione straordinaria aveva chiesto con l'atto di citazione introdotto avanti al Tribunale la restituzione della somma di L. 33.057.807 oltre agli interessi, senz'altra precisazione, mentre con l'atto in riassunzione avanti alla Corte d'Appello dopo la decisione della Corte di Cassazione ha richiesto la restituzione del libretto con un deposito di L. 33.057.807 alla data 31/12/1981 con gli interessi successivamente maturati a decorrere da detta data". A seguito della giuridica inesistenza del titolo di prelazione (pegno) dichiarata da questa Corte con la precedente sentenza n. 1097/99 sul rilievo della mancanza di un atto scritto di costituzione del pegno come richiesto dall'art. 2787 c.c., comma 3, è sorto l'obbligo di restituzione da parte della banca e, poiché sin dal momento del suo deposito tale somma era certa, liquida ed esigibile, a tale momento deve farsi certamente riferimento ai fini della decorrenza degli interessi ai sensi dell'art. 1282 c.c., comma 1, riguardante gli interessi corrispettivi.
Nè rileva che l'interessato con l'originario atto di citazione non abbia fatto espresso riferimento agli interessi corrispettivi regolati da tale norma ma abbia proposto al riguardo una domanda generica senza specificare la data ne' se trattasi di interessi moratori o corrispettivi.
Al riguardo va premesso che, potendosi riconoscere gli interessi solo se la parte ne abbia fatto richiesta (non vertendosi in tema di risarcimento del danno) e ponendosi pertanto il problema se ed in quali termini una tale domanda sia stata proposta, vale a dire una questione di ordine processuale, la Corte di Cassazione deve ritenersi investita di un potere-dovere di sindacato pieno con possibilità quindi di procedere non solo alla lettura ma anche all'interpretazione degli atti processuali.
Ora, nel silenzio serbato dalla parte nell'originario atto di citazione in ordine sia alla natura degli interessi dovuti che alla data di decorrenza ed in assenza di elementi di segno contrario, può ben ritenersi che la stessa avesse inteso richiederli dalla data prevista per legge in relazione alla loro natura corrispettiva sopra individuata. Una tale interpretazione della domanda trova peraltro conferma nell'atto di riassunzione in appello in cui, come è stato evidenziato, sono stati espressamente richiesti gli interessi maturati successivamente al deposito della somma capitale (31/12/1981).
Il ricorso incidentale deve essere pertanto accolto con conseguente cassazione sul punto della impugnata sentenza.
Non essendo al riguardo necessari ulteriori accertamenti, ricorrono le condizioni richieste dall'art. 382 c.p.c.,comma 1, per una decisione nel merito. Consegue pertanto la condanna dell'istituto di credito al pagamento degli interessi sulla somma depositata sul libretto di risparmio con decorrenza dal 31/12/1981, anziché dalla domanda, nella misura determinata dalla Corte d'Appello. Quanto alle spese, ritiene il Collegio di poter confermare la totale compensazione disposta dalla Corte d'Appello fino a quella fase in considerazione del fatto che il parziale accoglimento in questa sede in ordine alla decorrenza degli interessi ha costituito un aspetto marginale, anche sotto il profilo giuridico, nel quadro dell'intera vicenda processuale, mentre relativamente al presente giudizio di legittimità non V è motivo per non applicare il principio della soccombenza, tenuto conto dell'esito totalmente favorevole per la IMTAP. Dette spese si liquidano come in dispositivo. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Accoglie l'incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la ricorrente principale al pagamento degli interessi relativi alla somma deposita sul libretto di risparmio al portatore n. 54/3133 con decorrenza del 31/12/1981, anziché dalla domanda, nella misura determinata a Corte d'Appello. Compensa le processuali delle fasi precedenti e condanna la ricorrente principale al pagamento delle, spese del presente giudizio di Cassazione che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorario, oltre alle spese generali ed accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 22 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2006