Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 148 - pubb. 01/07/2007

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Tribunale Marsala, 01 Aprile 2005. Est. Tomaiuoli.


Nuovo diritto societario – Società a responsabilità limitata – Azione sociale di responsabilità – Legittimazione della società – Sussistenza.

Nuovo diritto societario – Azione sociale di responsabilità e di revoca degli amministratori – Deliberazione dell’assemblea – Quorum.

Nuovo diritto societario – Azione sociale di responsabilità degli amministratori – Deliberazione dell’assemblea – Discussione del bilancio – Necessità.

Revoca di amministratori di società – Poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione – Prorogatio – Inapplicabilità.



Non è condivisibile l’argomentazione secondo cui la nuova formulazione normativa contenuta nel d. lgs. n. 6/03 dovrebbe far ritenere l’insussistenza della legittimazione della società ad agire con l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, azione che sarebbe invece rimessa esclusivamente all’iniziativa dei singoli soci, in favore dei quali il rimedio è stato espressamente tipizzato. Depone inequivocabilmente in senso contrario l’espressa previsione normativa di cui al novellato art. 2476 c.c., I comma, c.c., della liquidazione dei danni in favore della società in ipotesi di condanna dell’amministratore vocato in giudizio dal singolo socio, e della contestuale liquidazione delle spese in favore di quest’ultimo ex art. 2476, IV comma, c.c..
Tali previsioni normative, infatti, si giustificano esclusivamente in ragione della veste di sostituto processuale del socio, il che impone di ritenere l’ovvia configurabilità dell’azione in capo alla società sostituita secondo i principi generali propri della sostituzione processuale. In tale ottica solamente si giustifica, poi, l’altra previsione normativa di cui all’art. 2476 c.c., IV comma, c.c., in forza della quale la società può transigere o rinunziare all’azione di responsabilità proposta dal singolo socio nei confronti dell’amministratore: si può, all’evidenza, rinunziare o transigere solo un’azione relativa ad un diritto proprio. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La delibera di promozione dell’azione di responsabilità e quella di revoca degli amministratori, (materie esulanti per ovvi motivi dall’ambito decisionale tipico dei poteri di quest’ultimi) nella nuova disciplina normativa debbono essere prese, dall’assemblea dei soci ex art. 2479 c.c., con la maggioranza di cui all’ultimo comma, a mente del quale “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole dei soci che rappresentato almeno la metà del capitale sociale”. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La norma di cui all’art. 2393 c.c. nel prevedere che la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori possa essere presa “in occasione della discussione” del bilancio, anche se non è indicata nelle materie da trattare, introduce una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari.
La ratio evidente è quella di consentire all’assemblea - nello esame dell’atto più importante degli amministratori, qual è la redazione del bilancio della società - di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della compagine sociale, laddove dalla discussione relativa al detto bilancio emergano delle inadempienze o delle responsabilità degli amministratori, senza dover attendere i tempi di un’altra assemblea ad hoc convocanda.
La dizione adoperata dal legislatore “in occasione della discussione”, allora, deve essere intesa siccome rivolta a consentire l’adozione della deliberazione della responsabilità, anche laddove l’esame del bilancio non arrivi a compimento mediante una delibera di approvazione o di non approvazione dello stesso, ma non può considerarsi comprensiva anche dell’ipotesi in cui nessuna discussione sul concreto andamento gestionale e delle allocazioni attive e passive via sia stato (Trib. Rimini, 24.9.2002 in Giur. It. 2003, 302; Trib. Milano, 15.12.1988, in Giur. It. 1989, I, II, 358; Trib. Verona, 10.11.1989, in Giur. It. 1990, I, 2, 578).
In tale ipotesi, infatti, non ricorre nemmeno il nesso di “occasionalità” richiesto dalla norma, peraltro speciale (e quindi non applicabile al di là dei casi previsti dal legislatore) rispetto al principio generale sopra menzionato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Non è condivisibile la tesi secondo la quale gli amministratori in stato di prorogatio potrebbero compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, dovendosi preferire l’orientamento giurisprudenziale (Cass. Civ., n. 3652/1997), secondo cui gli organi scaduti (o dimissionari) possono compiere atti tanto di ordinaria, quanto di straordinaria amministrazione, non rinvenendosi nelle norme (art. 2385, commi I e II) che prevedono la detta prorogatio alcuna distinzione al riguardo.
Nemmeno è condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale che estende agli amministratori revocati la disciplina della prorogatio (Corte d’Appello Trento, 13.12.2001, in Vita Not. 2002, 887), in quanto rispetto ad essi la rescissione del nesso fiduciario, che è a fondamento del loro mandato, esclude l’operatività dei principi ricavabili dall’art. 2385 c.c. in ipotesi di naturale o volontaria cessazione dalla carica (Trib. Milano, 22.3.1993, in Società, 1993, 1081). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


r.g. n. 175/2005

ORDINANZA

Premesso in fatto.

Con ricorso in corso di causa ex art. 2378 c.c. I. A. - premesso di aver impugnato la delibera adottata dall’assemblea della A. I. & Figli s.r.l., con cui era stata decisa l’azione di responsabilità nei suoi confronti, in qualità di membro del c.d.a. della società e disposta l’immediata revoca dalla carica – chiedeva al giudice della cautela la sospensione dell’esecuzione delle predette delibere e l’adozione dei consequenziali provvedimenti di cui al citato art. 2378 c.c..

A sostegno delle proprie domande, il ricorrente deduceva che le dette delibere erano nulle e/o annullabili, in quanto l’azione sociale di responsabilità non è prevista per le s.r.l. dal nuovo diritto societario; anche a ritenere applicabile alle s.r.l. la norma di cui all’art. 2393 c.c., nel caso di specie era mancata la discussone del bilancio; mancava il quorum deliberativo; gli addebiti mossi all’amministratore erano generici; la revoca automatica a seguito di deliberazione di azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore non è prevista per le s.r.l.; in punto di periculum, evidenziava il danno derivante dall’impossibilità di amministrare, con conseguente mancato controllo dell’andamento della società, ed all’immagine.

Veniva concesso inaudita altera parte il provvedimento di sospensione delle delibere richiesto dal ricorrente.

All’udienza fissata per la comparizione delle parti si costituiva la società odierna reclamata e spiegavano intervento volontario i soci A. A. A., A. G. ed A. A., in seguito estromessi dal giudizio.

La società resistente eccepiva, in punto di fumus boni iuris, la legittimità della delibera impugnata, in ragione della possibilità implicita nel sistema anche per le s.r.l. di proporre azione sociale di responsabilità; nonché della sua adottabilità ex art. 2393 c.c. anche in sede di discussione del bilancio ed a prescindere dalla sua approvazione; della sussistenza del quorumcostitutivo e deliberativo; della riferibilità degli addebiti mossi a condotte i cui effetti si erano prodotti nel bilancio 2003, oggetto di ordine del giorno; dell’applicabilità anche alle s.r.l. della revoca assembleare in caso di proposizione dell’azione sociale; in punto di periculum in mora, l’insussistenza di un grave ed irreparabile pregiudizio a danno del ricorrente, come dimostrato dalla sua attivazione giudiziaria solo un mese e mezzo dopo l’assemblea, ed in ragione dell’impossibilità per gli amministratori di compiere atti straordinari, stante il loro regime diprorogatio, oltre che della previsione nei patti parasociali dell’obbligo del consenso unanime dell’intero c.d.a. per gli atti di particolare importanza ed influenza nella vita sociale; concludeva, pertanto, per il rigetto del ricorso avversario.

Il giudice di prime cure rigettava il ricorso, escludendo la sussistenza tanto del fumus boni iuris che del periculum in mora.

Avverso il predetto provvedimento ha proposto reclamo A. I., dolendosi della sua erroneità, per avere il giudice di prime cure ritenuto l’ammissibilità dell’azione sociale da parte delle s.r.l.; nonché, in ogni caso, l’applicabilità ad essa della disciplina di cui ai commi I e II dell’art. 2393 c.c. dettata in tema di società per azioni; per avere altresì ritenuto non necessaria l’effettiva discussione del bilancio; ed infine per avere escluso il periculum in mora sulla base del divieto contenuto nei patti parasociali di compiere atti straordinari senza il consenso di tutto il c.d.a., così obliterando la natura meramente obbligatoria degli stessi, e senza considerare il pericolo di danno insito, a titolo di esempio, nell’adozione per il futuro di un progetto di bilancio da parte di un c.d.a “a ranghi ridotti”.

Si è costituita la società reclamata, sottolineando la correttezza della decisione cautelare di primo grado, ribadendo tutte le argomentazioni ivi svolte ed eccependo, comunque, la legittimità della delibera impugnata alla luce anche della disciplina vigente ratione temporis al momento della sua adozione ex art. 223 bis, commi I e III, disp. att. trans. c.c..

Ritenuto in diritto.

Il reclamo è infondato ed in quanto tale va rigettato per i motivi di cui appresso.

E’ logicamente preliminare l’esame della questione relativa alla normativa applicabile al caso di specie, oggetto di eccezione di parte, disattesa in primo grado ed espressamente riproposta in sede di memoria di costituzione dalla società reclamata.

L’eccezione è fondata, sia pure sulla base di una ricostruzione ermeneutica differente da quella semplicisticamente indicata dalla parte resistente.

L’art. 223 bis, disp. att. trans. c.c., rubricata “disposizioni transitorie. Sezione V. Disposizioni relative al libro V”, per come modificato da ultimo con l’art. 5 del l. lgs. 6.2.2004, n. 37, ha introdotto una disciplina transitoria del d. lgvo. 6/2003, recante il novellato regime del diritto societario.

A mente del I comma del citato articolo, le società di cui al capo V, VI e VII del titolo V del libro V del codice civile (scilicet: le società per azioni, quelle in accomandita per azioni e quelle a responsabilità limitata) dovevano uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili entro il 30.9.2004.

A tal fine, il legislatore, al III comma dello stesso articolo, ha previsto una normativa di favore in punto di quorum decisionale delle deliberazioni di mero adattamento degli statuti ed atti costitutivi alle norme inderogabili della riforma, oltre che aventi ad oggetto l’introduzione nello statuto di clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni di legge, derogabili con specifica clausola statutaria.

Ha poi previsto, sempre al citato III comma, in fine, che “fino all’avvenuta adozione della modifica statutaria e comunque non oltre il 30.9.2004, per tali società resta in vigore la relativa disciplina statutaria e di legge vigente alla data del 31.12.2003”.

Al V comma, infine, è statuito che “fino alla data indicata al primo comma, le previgenti disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia anche se non sono conformi alle disposizioni inderogabili del presente decreto”.

La riferita formulazione legislativa delle norme in esame è di certo infelice e poco perspicua, come rilevato da tutti gli interpeti all’indomani della riforma e delle successive modifiche.

Appare chiaro, tuttavia, l’intento del legislatore di consentire alle società operanti sul mercato un adeguamento (dal punto di vista temporale) volontario e non coatto degli atti costitutivi e degli statuti ai principi portanti della nuova disciplina, oltre che una loro modulazione in deroga delle previsioni legislative non primarie della riforma, stabilendo all’uopo una sorta di ultrattività della vecchia normativa statutaria e codicistica sino al 30 settembre 2004 (ovvero sino alla modifica degli statuti) in una circoscritta serie di ipotesi enucleabili dalle norme citate.

Dal loro combinato disposto si evince, in buona sostanza, che l’attività delle società di capitali costituite anteriormente all’1.1.2004 è regolata dalla nuova normativa dal momento in cui il relativo atto costitutivo/statuto è stato adeguato alla stessa, nonché, in ogni caso, dall’1.10.2004; nel periodo anteriore all’adeguamento, ed in difetto sino al 30.9.2004, essa è regolata dai patti contenuti nell’atto costitutivo/statuto, ancorché contrastanti con la nuova normativa anche inderogabile; sempre nel periodo anteriore all’adeguamento ed in ogni caso sino al 30.10.2004, nel silenzio dei patti sociali od in presenza di un rinvio alla legge, esse sono disciplinate dalla vecchia normativa, laddove la nuova, pur disponendo diversamente, ammetta una regolamentazione differente; sempre nel periodo anteriore all’adeguamento, ed in difetto sino al 30.9.2004, dalla nuova normativa nei restanti casi.

Occorre verificare, dunque, se nel caso di specie si verta in ipotesi di operatività o meno del singolare “regime transitorio” come sopra tratteggiato.

La risposta è positiva.

La fattispecie portata all’esame del Tribunale - e fondante la richiesta cautelare di sospensione del provvedimento di revoca di amministratore - riguarda un’ipotesi di annullamento di delibera assembleare asseritamente contrastante con la disciplina normativa delle s.r.l. in materia di azione di responsabilità sociale da parte della società e di contestuale revoca assembleare dell’amministratore; ciò a fronte della pacifica assenza nell’atto costitutivo e nello statuto della società reclamata di norme disciplinanti tali evenienze e della mancata adozione da parte della stessa di modifiche statutarie sino al 30.9.2004.

Ciò premesso e stante l’impostazione che precede, va verificata la derogabilità o meno delle nuove norme rilevanti nel caso di specie.

Ritiene il Collegio che la nuova norma applicabile, tanto alla delibera dell’azione di responsabilità che di contestuale revoca dell’amministratore in occasione della prima, sia da individuarsi in quella contenuta nell’ultimo comma dell’art. 2479 c.c., espressamente dichiarata derogabile dal legislatore.

Va condivisa, al riguardo, l’osservazione svolta dal reclamante, secondo cui la mancata riproposizione del rinvio normativo alla disciplina dettata in materia di s.p.a. contenuto nell’art. 2487, II comma, c.c., ante riforma, non consente di ritenere operante per le s.r.l. la regolamentazione dell’azione sociale e della contestuale revoca dell’amministratore dettata dal novellato art. 2393 c.c., in quanto norma speciale che per un determinato tipo di delibera sociale prevede delle maggioranze, deiquorum e delle modalità operative, diverse da quelle generali di cui all’art. 2486 c.c. ante riforma e 2479 c.c. post riforma.

Non è invece in alcun modo condivisibile l’argomentazione (in un primo momento pure sostenuta da una minoritaria dottrina, ma subito disattesa da quella maggioritaria e dalla giurisprudenza) del reclamante, secondo cui la nuova formulazione normativa dovrebbe far ritenere l’insussistenza della legittimazione della società ad agire con l’azione sociale, rimessa esclusivamente all’iniziativa dei singoli soci, in favore dei quali il rimedio è stato espressamente tipizzato.

Depone inequivocabilmente in senso contrario l’espressa previsione normativa di cui al novellato art. 2476 c.c. , I comma, c.c., della liquidazione dei danni in favore della società in ipotesi di condanna dell’amministratore vocato in giudizio dal singolo socio, e della contestuale liquidazione delle spese in favore di quest’ultimo ex art. 2476, IV comma, c.c..

Tali previsioni normative, infatti, si giustificano esclusivamente in ragione della veste di sostituto processuale del socio, il che impone di ritenere l’ovvia configurabilità dell’azione in capo alla società sostituita secondo i principi generali propri della sostituzione processuale.

In tale ottica solamente si giustifica, poi, l’altra previsione normativa di cui all’art. 2476 c.c., IV comma, c.c., in forza della quale la società può transigere o rinunziare all’azione di responsabilità proposta dal singolo socio nei confronti dell’amministratore: si può, all’evidenza, rinunziare o transigere solo un’azione relativa ad un diritto proprio.

 Depone, infine, nel senso sopra detto l’osservazione che una esclusione della legittimazione all’azione sociale in capo alla società, in quanto comportante una significativa compromissione della facoltà costituzionalmente garantita di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, non potrebbe che essere frutto di una espressa limitazione normativa.

Deve ritenersi, dunque, che la delibera di promozione dell’azione di responsabilità e quella di revoca degli amministratori, (materie esulanti per ovvi motivi dall’ambito decisionale tipico dei poteri di quest’ultimi) nella nuova disciplina normativa debbano essere prese, dall’assemblea dei soci ex art. 2479 c.c., con la maggioranza di cui all’ultimo comma, a mente del quale “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole dei soci che rappresentato almeno la metà del capitale sociale”.

Mette conto di precisare che, per quanto riguarda la revoca degli amministratori ad opera di soci, la soluzione contraria tendente ad eliminare dalla generale competenza assembleare tale facoltà, sulla base dell’osservazione che il novellato art. 2479 c.c. prevede solo il potere di nomina degli amministratori, pur sostenuta (per vero, isolatamente) in dottrina in seguito alla riforma, non può essere condivisa.

Essa, infatti, si pone in contrasto con l’amplissima previsione normativa in esame, che consente ai soci di decidere su ogni materia loro riservata dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti che (anche solo) uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongano all’assemblea, la quale nello spirito della novella appare il rinnovato e fondante centro decisionale della rimodellata società a responsabilità limitata.

Si pone, peraltro, in contrasto con il principio generale della revocabilità degli amministratori, discendente dalle norme generali in tema di rapporti tra mandante e mandatario (sottesi alla disciplina codicistica dell’amministratore di società).

Ricorre, allora, nel caso portato all’attenzione del Tribunale l’ipotesi di introduzione di una nuova norma derogabile dallo statuto (art. 2479 c.c., ultimo comma), espressamente dichiarata tale dalla legge, ovverosia l’ipotesi espressamente prevista dall’art. 223 bis, III comma, II parte, disp. att. trans. c.c., quale fondante la possibilità per la società di introdurre nello statuto norme in deroga alle nuove disposizioni normative, con conseguente ultrattività sino al 30.9.2004 della vecchia disciplina (statutaria e codicistica).

Conclusivamente, la delibera assembleare di promozione dell’azione di responsabilità e di revoca nei confronti del reclamante sono sottoposte,ratione temporis, alla “vecchia” normativa di cui all’art. 2393 c.c., alla cui stregua, in questa sede, deve essere valutata la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Abbandonate in sede di reclamo le doglianze relative alla insussistenza deiquorum della delibera societaria impugnata nel giudizio di merito, vanno vagliate quelle relative alla insussistenza della legittimazione della società alla proposizione dell’azione sociale, nonché alla illegittimità della relativa deliberazione (in una con la contestuale revoca dell’amministratore) in occasione della discussione del bilancio ed alla necessità, comunque, di un’effettiva discussione dello stesso.

Le prime due censure sono infondate.

La legittimazione della società ad esperire l’azione sociale si fonda senza dubbio sull’applicabilità al caso di specie, alla luce delle considerazioni sopra svolte, delle “vecchie” norme, ed in particolare di quella di cui all’art. 2393 c.c. ad opera del richiamo di cui all’art. 2487, II comma, c.c. ante riforma (la detta legittimazione, come pure sopra esposto, è peraltro da ritenersi sussistente anche nel vigore della nuova disciplina societaria).

Del pari e per gli stessi motivi, è a dirsi in ordine all’ammissibilità della delibera di promozione dell’azione di responsabilità in occasione della discussione di bilancio (con contestuale revoca dell’amministratore), a prescindere dall’inserimento di tale argomento nell’ordine del giorno dell’assemblea.

E’ fondata, per contro, l’ultima doglianza relativa all’illegittimità della delibera assembleare di promuovimento dell’azione sociale di responsabilità, con conseguente revoca dell’amministratore.

La norma di cui all’art. 2393 c.c. nel prevedere che la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori possa essere presa “in occasione della discussione” del bilancio, anche se non è indicata nelle materie da trattare, introduce una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari.

La ratio evidente è quella di consentire all’assemblea - nello esame dell’atto più importante degli amministratori, qual è la redazione del bilancio della società - di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della compagine sociale, laddove dalla discussione relativa al detto bilancio emergano delle inadempienze o delle responsabilità degli amministratori, senza dover attendere i tempi di un’altra assemblea ad hocconvocanda.

La dizione adoperata dal legislatore “in occasione della discussione”, allora, deve essere intesa siccome rivolta a consentire l’adozione della deliberazione della responsabilità, anche laddove l’esame del bilancio non arrivi a compimento mediante una delibera di approvazione o di non approvazione dello stesso, ma non può considerarsi comprensiva anche dell’ipotesi in cui nessuna discussione sul concreto andamento gestionale e delle allocazioni attive e passive via sia stato (Trib. Rimini, 24.9.2002 in Giur. It. 2003, 302; Trib. Milano, 15.12.1988, in Giur. It. 1989, I, II, 358; Trib. Verona, 10.11.1989, in Giur. It. 1990, I, 2, 578).

In tale ipotesi, infatti, non ricorre nemmeno il nesso di “occasionalità” richiesto dalla norma, peraltro speciale (e quindi non applicabile al di là dei casi previsti dal legislatore) rispetto al principio generale sopra menzionato.

Non può condividersi, pertanto, la tesi estensiva adottata dal giudice di prime cure e da un lontano precedente del Tribunale di Milano (3.2.1958, in Temi, 1958,158), che ritiene sufficiente il mero inserimento nell’ordine del giorno dell’argomento relativo alla discussione sul bilancio a prescindere dalla sua effettiva tenuta, in quanto essa oblitera il dato letterale sopra evidenziato, surrettiziamente operando una non consentita interpretazione analogica di una norma speciale.

L’apprezzabile esigenza sottesa a tale tesi interpretativa di evitare strumentalizzazioni da parte di soci dissenzienti - che potrebbero avere interesse a frapporre ostacoli all’approvazione della delibera assembleare di responsabilità, all’uopo ponendo in essere condotte ostruzionistiche dell’approvazione del bilancio – trova, del resto, già un temperamento, maggiormente rispettoso del tenore letterale della norma, nella sufficienza della discussione sull’andamento gestionale e quindi nella non necessità di una formale approvazione o non approvazione del bilancio.

Nel caso di specie, emerge dalla lettura del verbale della delibera assembleare impugnata che la discussione sul bilancio, nonostante l’apertura formale da parte del Presidente, non fu concretamente tenuta neppure in minima parte, stante l’invito dello stesso a “soprassedere” ed a rinviarla ad altra data, in ragione dell’avvenuto allontanamento di una parte del gruppo sociale e dell’amministratore poi revocato; e che, pertanto, si passò immediatamente alla diretta discussione degli addebiti fondanti l’azione di responsabilità nei confronti dell’odierno reclamante.

La deliberazione impugnata, pertanto, deve ritenersi illegittima per violazione degli artt. 2393, II comma e 2366 c.c., il che consente di ravvisare il fumus boni iuris della pretesa azionata dal reclamante.

Resta da esaminare la sussistenza del periculum in mora, inteso come pregiudizio irreparabile che al ricorrente potrebbe derivare dall’esecuzione della deliberazione impugnata, in attesa della definizione del giudizio di merito, da valutarsi - a norma dell’art. 2378 c.c., IV comma, nuova formulazione, richiamato dall’art. 2479 ter c.c. (applicabile ratione temporis in ragione della sua natura processuale) e recettivo di un precedente orientamento della giurisprudenza di merito - comparativamente al danno che la società potrebbe subire dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione, in maniera tale da effettuare un bilanciamento tra l’interesse ad agire in via cautelare del socio e quello a resistere della società.

Il reclamante, sotto tale profilo, si duole dell’erroneità del provvedimento del primo giudice nella parte in cui ha escluso il pregiudizio grave ed irreparabile, non ravvisando uno squilibrio in seno al consiglio d’amministrazione per effetto della revoca dell’amministratore, in favore del gruppo sociale facente capo al consigliere delegato V. A. ed a discapito del proprio gruppo sociale di riferimento, giungendo ad attribuire valore escludente il detto pregiudizio alla circostanza della scadenza degli amministratori in carica, ormai in regime di prorogatio, ed alla previsione contenuta nei patti parasociali, in forza della quale le decisioni di maggiore rilevanza per la vita sociale non possono essere adottate se non in forza di delibera del c.d.a. presa all’unanimità dei voti.

Tale unica ed articolata doglianza fatta valere in sede di gravame è infondata.

Ritiene il Collegio che la censura debba condividersi nella parte in cui ci si duole dell’esclusione del periculum ritenuta nel provvedimento impugnato, sulla base dell’osservazione che gli amministratori in prorogatio potrebbero compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, dovendosi preferire l’orientamento giurisprudenziale pure citato dal giudice di prime cure (Cass. Civ., n. 3652/1997), secondo cui gli organi scaduti (o dimissionari) possono compiere atti tanto di ordinaria, quanto di straordinaria amministrazione, non rinvenendosi nella norme (art. 2385, commi I e II) che prevedono la detta prorogatio alcuna distinzione al riguardo.

Né, come correttamente eccepito dal reclamante, alcuna rilevanza nell’ottica dell’esclusione del prospettato periculum può avere la previsione contenuta nei patti parasociali di cui si è detto sopra, in ragione della loro non vincolatività nei confronti dei terzi che vengono in contatto con la società e della società medesima.

Il Tribunale, poi, ritiene di non poter prestare adesione a quell’orientamento giurisprudenziale che estende agli amministratori revocati la disciplina della prorogatio (Corte d’Appello Trento, 13.12.2001, in Vita Not. 2002, 887), in quanto rispetto ad essi la rescissione del nesso fiduciario, che è a fondamento del loro mandato, esclude l’operatività dei principi ricavabili dall’art. 2385 c.c. in ipotesi di naturale o volontaria cessazione dalla carica (Trib. Milano, 22.3.1993, in Società, 1993, 1081).

Ciò premesso, deve comunque escludersi la sussistenza del periculum in mora sulla base delle stesse prospettazioni del reclamante, il quale – abbandonata la deduzione del pregiudizio al diritto all’immagine di amministratore, disattesa dal provvedimento impugnato, in tale parte non fatto oggetto di specifica censura - affida il suo gravame unicamente alla mancata considerazione da parte del giudice di prime cure dello squilibrio creatosi in seno al c.d.a. in seguito alla sua revoca, squilibrio che comporterebbe un pericolo di strategia operativa favorevole al gruppo sociale “avversario” e dannoso nei confronti di quello di cui il reclamante è espressione.

Osserva il Collegio che, stante la non vincolatività di cui si è detto dei patti parasociali, ed in assenza di diverse norme statutarie al riguardo, è applicabile la disciplina normativa di cui all’art. 2388 c.c., richiamato dall’art. 2487, II comma, c.c., in forza del quale il consiglio d’amministrazione ben potrebbe deliberare (come in effetti ha deliberato in occasione dell’assemblea del c.d.a del 15.1.2005, avente ad oggetto la redazione del bilancio ed alla quale ha partecipato anche il reclamante in forza della sospensione presidenziale della delibera impugnata) a maggioranza assoluta dei presenti (con quorum costitutivo della maggioranza degli amministratori in carica).

Il che vuol dire, in altri termini, che, anche se la delibera fosse sospesa ed il reclamante reintegrato nel suo posto di amministratore, stante l’assenza permanente dell’altro componente e presidente del c.d.a., egli sarebbe sempre e comunque in minoranza, laddove fosse vero il suo assunto del “blocco” da parte degli altri due amministratori, sì da rendere inutile il provvedimento cautelare invocato.

Ritiene, inoltre, il Tribunale che la ricordata doglianza del reclamante sia, comunque, del tutto generica, non essendo indicato in che cosa consista la presunta e non meglio definita strategia “unidirezionale” del consiglio di amministrazione, né tampoco i paventati danni che potrebbero derivare al ricorrente (ed al suo gruppo sociale di riferimento, posto che rispetto ad esso possa configurarsi in capo al reclamante un interesse giuridico all’azione cautelare) dall’amministrazione da parte degli altri componenti del consiglio d’amministrazione.

L’unico esempio portato dal reclamante e consistente nell’incapacità per il consiglio di amministrazione di redigere l’atto di bilancio - oltre a non risultare indicativo in alcun modo di una strategia gestionale nell’interesse esclusivo di un solo gruppo di soci - risulta per tabulas smentita dalla produzione del verbale del c.d.a dell’11.01.2005, con il quale risulta approvato il progetto di bilancio, nonostante l’opposizione del reclamante e previa apposita ed analitica discussione in ordine alle osservazioni da questi svolte.

Ed anzi, già a monte, la stessa decisione del vicepresidente del c.d.a. di rimandare la discussione sul bilancio ad altra seduta assembleare rispetto a quella all’uopo convocata del 13.9.2004 - a causa della ritenuta necessità di coinvolgere nella detta discussione anche l’amministratore poi revocato ed il gruppo sociale del quale esso sarebbe espressione, allontanatisi per protesta - è indice, invece, di una gestione, allo stato, sostanzialmente democratica ed attenta alle esigenze di tutta la compagine sociale.

Ciò che in vero determina la paralisi operativa della società (in punto soprattutto di approvazione del bilancio, nomina dei nuovi amministratori e redazione del nuovo statuto) - come si evince agevolmente dalla lettura dei verbali di assemblea del 15.12.2004, del 22.11.2004 e del 9.12.2004, oltre che dalla missiva a firma del socio A. A. A. (figlio del reclamante) datata 22.12.2004 - non è lo squilibrio in seno al c.d.a., ma la contrapposizione all’interno della stessa assemblea di due blocchi contrapposti di soci aventi diritto di voto, ciascuno detentore di una quota del 50%.

La tesi del reclamante, poi, è destituita di fondamento già in linea di fatto, laddove si rifletta in primo luogo sulla circostanza che alcuni dei soci appartenenti al gruppo familiare di cui è espressione lo stesso (ovverosia il gruppo facente capo al presidente A. A.), ed in particolare le socie G. ed A. A. (per quanto nude proprietarie di azioni, prive del diritto di voto) si sono espressamente opposte alle iniziative giudiziarie e sociali dell’amministratore revocato, giungendo a spiegare intervento volontario in favore della società reclamata.

Tanto basterebbe ad escludere il periculum già sotto il profilo del pregiudizio derivante al ricorrente dalla protrazione degli effetti della delibera in attesa della definizione del giudizio di merito.

Mette conto di precisare, ad abundantiam, che, sotto il profilo dell’apprezzamento del danno che potrebbe derivare alla società della sospensione cautelare della delibera – e non già, si badi bene, della fondatezza degli addebiti mossi dall’assemblea all’amministratore, che non costituisce l’oggetto del presente giudizio cautelare e nemmeno di quello di merito, ed alla cui cognizione unica sede deputata è il giudizio di responsabilità promosso dalla società - vi è la prova (come correttamente osservato dal giudice di prime cure), apprezzabile in termini di probabilità cautelare, della quantomeno non fruttuosa amministrazione da parte del reclamante.

Essa si desume, in particolare, dalle dichiarazioni del presidente del collegio sindacale - il quale, assunto a sommarie informazioni in primo grado, ha riferito di aver assistito all’affidamento nell’estate del 2002 da parte del presidente del c.d.a. all’amministratore poi revocato della gestione dell’affare relativo alla cooperativa S. Antonio -, unitamente alle incontrovertibili risultanze economiche negative della gestione del detto affare (cfr. verbale di assemblea del 15.9.2004, missiva inviata alla società dall’Avv. C. in data 14.9.2004, estratto conto relativo ai rapporti finanziari tra la società resistente e la Cooperativa S. Antonio, nonché le dichiarazioni rese dal ricorrente in primo grado, dal vicepresidente ed amministratore delegato della società e le già dette dichiarazioni del presidente del collegio sindacale), gestione oggetto peraltro di espresso rimbrotto verbale nei confronti del reclamante da parte del presidente del consiglio di amministrazione A. A. (cfr. dichiarazioni M.), capostipite del gruppo sociale che secondo il primo sarebbe pregiudicato dalla protrazione della sua revoca.

Tali elementi probatori vanno a sommarsi, ai fini della prognosi di sussistenza del pericolo di danno alla società, alla (sia pure in sé) marginale condotta del reclamante di utilizzo a fini privati dell’autovettura jeep Grand Cheeroke di proprietà della società; nonché alla circostanza dell’avvenuto fallimento ed all’ammissione al concordato preventivo di due società di cui il reclamante risulta essere stato vicepresidente del consiglio d’amministrazione ed amministratore unico (rispettivamente I. s.r.l. ed E. s.p.a.); ed infine alla elevazione di numerosi protesti a suo carico, legati allo svolgimento dell’attività di amministratore di detta ultima società (cfr. visura prodotta dalla società reclamata in primo grado sub doc. 20).

Alle luce delle considerazioni che precedono, il reclamo deve essere rigettato per difetto del necessario e concorrente requisito del periculum in mora.

P.Q.M.

Il Tribunale, in funzione di giudice del reclamo, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattese, visti gli artt. 669 terdecies c.p.c. e 23 e ss. d. l.gvo 5/2003, così decide:

rigetta il reclamo.