Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 341 - pubb. 01/01/2007

Sequestro di azioni, impugnazione di delibera e abuso di potere

Tribunale Biella, 23 Maggio 2005. Est. Eleonora Reggiani.


Società per azioni – Sequestro delle azioni – Legittimazione del singolo amministratore all’impugnazione di delibere assembleari – Sussistenza.

Società per azioni – Impugnazione di delibere assembleari – Legittimazione del consiglio di amministrazione e del singolo amministratore – Distinzione – Fattispecie.

Società per azioni – Delibera assembleare – Abuso o eccesso di potere – Conflitto di interessi – Distinzione.



La legittimazione degli amministratori all’impugnazione delle delibere assembleari sussiste anche nel caso in cui le azioni siano sottoposte a sequestro giudiziario. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Anche dopo la riformulazione dell’art. 2377, co. 2 codice civile, si deve ritenere che la legittimazione all’impugnazione di delibere assembleari di società per azioni spetti al consiglio di amministrazione in forma collegiale quando le delibere vengono impugnate nel solo interesse della società ed al singolo componente del consiglio quando le delibere vengono impugnate nell’interesse personale del singolo amministratore, sia pur connesso allo svolgimento dell’incarico a lui affidato. (Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto la legittimazione di ciascun amministratore ad impugnare la delibera che lo ha revocato anzitempo e che ha approvato l’azione di responsabilità nei suoi confronti) (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il vizio della delibera per abuso o eccesso del potere di voto dei soci votanti a favore è fattispecie diversa dal vizio per adozione della delibera con il voto favorevole del socio in conflitto di interessi. L’abuso di potere, infatti, non presuppone un conflitto tra socio e società, ma un conflitto tra gruppi all’interno della società ove la delibera viene utilizzata in modo fraudolento nell’esclusivo interesse del gruppo votante. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


omissis 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato F. G., F. N. e F. S. – amministratori della M. s.p.a. (M.) e proprietari del 50% delle relative azioni (sottoposte a sequestro giudiziario) - convenivano in giudizio detta società, impugnando la delibera assembleare del 15.09.98, con la quale era stato approvato l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti, la revoca dall’incarico e la nomina di altri amministratori in loro sostituzione, con l’astensione dal voto del custode giudiziario delle azioni sequestrate. Allegavano come unico motivo di impugnazione che la delibera era viziata da abuso di potere di voto, perché l’altro socio (B. B. R., proprietario dell’altro 50% delle azioni M.), l’unico votante, aveva utilizzato la deliberazione per soddisfare il suo personale interesse ad assumere la gestione della società estromettendo gli attori. A sostegno di tale tesi allegavano l’esistenza di un’aspra conflittualità anche giudiziaria tra il socio votante e gli attori in ordine all’effettivo trasferimento delle azioni di questi ultimi al socio votante e l’esistenza di numerose iniziative intraprese da quest’ultimo in seno alla società in danno gli attori (contestazioni di addebiti e licenziamenti disciplinari, denunce ex art. 2408 c.c.). Si riservavano di chiedere la sospensione della delibera.

Alla prima udienza di comparizione si costituiva in giudizio la convenuta, eccependo in via pregiudiziale il difetto di legittimazione degli attori, per avere proposto in qualità di amministratori doglianze che non potevano proporre quali soci (essendo le loro azioni oggetto di sequestro giudiziario) e che comunque l’impugnazione degli amministratori poteva essere fatta solo in forma collegiale. Nel merito evidenziava l’infondatezza dell’unico motivo di impugnazione enunciato, in quanto: non vi era alcun interesse del socio votante ad assumere la gestione della società, dato che già era amministratore delegato e che comunque non era stata revocata dall’incarico di amministratore la moglie di F. G.; non vi era alcun interesse personale del socio votante a far cessare i rapporti di amministrazione degli attori, tenuto conto che la convocazione dell’assemblea era avvenuta su richiesta del collegio sindacale a seguito dell’istruttoria espletata, sia pure dopo la denuncia del socio votante; che non era neppure allegato un interesse personale del socio votante in contrasto con quello della società, non dovendosi confondere il conflitto tra soci con il conflitto tra soci e società; che non era neppure allegato il pericolo di danno alla società, derivante dall’adozione delle delibere impugnate; che invece sussistevano gravissimi motivi che imponevano di interrompere il rapporto di amministrazione, risultanti dagli addebiti disciplinari e dall’istruttoria compiuta dal collegio sindacale, avendo gli attori avviato iniziative per paralizzare l’attività sociale e convogliare la clientela nella società che avevano costituito in diretta concorrenza con la M.. Aggiungeva che la mancata impugnazione della deliberazione del collegio sindacale, che proponeva l’ordine del giorno poi approvato in assemblea, rendeva non impugnabile la decisione assembleare. Si opponeva alla sospensione della delibera impugnata, allegando che la domanda principale non richiedeva l’annullamento ma solo la declaratoria di annullabilità della delibera impugnata, sicché nessuna sospensione era strumentale a tale richiesta; che comunque mancavano i presupposti per la sospensione della delibera e che la relativa richiesta doveva ritenersi finalizzata a dare maggiore vigore alla concorrenza sleale avviata, sollevando così eccezione di dolo.    

Con comparsa depositata alla prima udienza di comparizione, interveniva in giudizio B. B. R., aderendo alle conclusioni della convenuta e proponendo tutte le istanze di quest’ultima.

Nella memoria ex art. 183 c.p.c., datata 28.06.99, gli attori precisavano le domande e le conclusioni.

Nella memoria di replica ex art. 183 c.p.c., datata 27.07.99, la convenuta eccepiva che nel precisare le conclusioni gli attori avevano sostituto la domanda di declaratoria di annullabilità della delibera impugnata con la domanda di annullamento della stessa. Ritenuto che non si trattava di precisazione di domanda ma di nuova domanda, ne eccepiva la tardività  anche con riguardo ai termini di cui all’art. 2377 c.c. Evidenziava che comunque doveva ritenersi rinunciata la richiesta di declaratoria dell’annullabilità e che vi era la carenza di interesse alla proposizione di siffatta domanda.

Nella memoria di replica ex art. 183 c.p.c., datata 27.07.99, l’intervenuto sollevava i medesimi rilievi ed eccezioni della convenuta.

Nella prima memoria ex art. 184 c.p.c. datata 17.12.00, gli attori replicavano alle eccezioni e deduzioni avversarie appena richiamate e nella seconda memoria ex art. 184 c.p.c., datata 07.01.00, la convenuta controdeduceva alle allegazioni avversarie ed eccepiva il mancato deposito di azioni da parte degli attori ai fini della procedibilità della domanda. 

Statuito sulle richieste istruttorie con ordinanza 04.05.00, si procedeva all’interpello degli attori e all’escussione di numerosi testi. Con ordinanza riservata 01.02.01, confermata con ordinanza all’udienza 20.06.01, veniva dichiarata inammissibile, in mancanza dei presupposti di cui all’art. 184 bis c.p.c., una richiesta di produzione documentale della convenuta. Precisate le conclusioni come in epigrafe, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione, previa concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente rilevare che, contrariamente a quanto eccepito dalla convenuta e dal terzo intervenuto, gli attori non risultano aver proposto nuove domande, né risultano aver rinunciato ad alcuna delle domande formulate in atto di citazione, ma hanno semplicemente precisato nella memoria ex art. 183 c.p.c. le conclusioni già formulate in atto di citazione.

A fronte di una immutata rappresentazioni dei fatti costitutivi della pretesa avanzata, nell’atto introduttivo gli attori hanno chiesto di “accertare e dichiarare la nullità, l’annullabilità e, comunque, la invalidità e/o inefficacia della delibera dell’assemblea Ordinaria della M. s.p.a. assunta in data 15.09.98”, mentre nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. hanno chiesto “pronunziarsi la nullità, l’annullamento, la invalidità e/o la inefficacia della delibera dell’assemblea Ordinaria della M. s.p.a. assunta in data 15.09.98.”

In altre parole, nelle conclusioni dell’atto di citazione si legge la richiesta di declaratoria dell’annullabilità della delibera impugnata, mentre nelle conclusioni precisate della prima memoria ex art. 183 c.p.c. si legge la richiesta di annullamento della stessa delibera.

Tuttavia emerge senza alcun dubbio che si tratta di correzione di espressioni usate in modo improprio, e non di proposizione di una nuova domanda, in quanto dalla lettura dell’intero atto di citazione si evince con chiarezza che gli attori hanno agito per ottenere l’annullamento della delibera impugnata  (v. p. 9 atto di citazione: …è interesse degli esponenti che sia dichiarata l’invalidità e, quindi, annullata la delibera 15.9.1998 dell’Assemblea Ordinaria della società M. s.p.a. …).

Com’è noto la domanda giudiziale deve essere interpretata, tenendo come punto di riferimento la volontà della parte, risultante non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte in atto di citazione ma anche dal tenore dell’intero atto che le contiene, e considerando la sostanza della pretesa anche in base alla condotta processuale e alle precisazioni e specificazioni intervenute in corso di causa (così da ultimo Cass. 16.09.04 n. 18653).

E nel caso di specie è evidente che l’interesse degli attori, manifestato già in atto di citazione, è stato quello di ottenere la caducazione della delibera impugnata e che la diversa terminologia operata nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. rispetto all’atto introduttivo non è espressione della proposizione di una nuova azione ma di una mera precisazione terminologica, compiuta proprio nella sede a ciò destinata (prima memoria ex art. 183 c.p.c., destinata alla precisazione di domande, eccezioni e conclusioni).

Non vi è pertanto domanda nuova e tardiva e nessuna rinuncia ad alcuna domanda proposta in atto di citazione.

Non è fondata l’eccezione di difetto di legittimazione all’impugnazione degli attori.

Si consideri che la delibera assembleare impugnata ha approvato: 1) l’esperimento dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori F. G., F. N. e F. S.; 2) la loro revoca; 3) la nomina di nuovi amministratori.

Senza dubbio deve ritenersi che gli attori, in quanto proprietari di azioni, che, alla data della delibera, erano sottoposte a sequestro giudiziario, non avevano la legittimazione ad impugnare detta delibera.

È infatti pacifico in dottrina e in giurisprudenza che nel caso di sequestro giudiziario di azioni, la legittimazione a votare e ad impugnare le delibere assembleari spetti unicamente al custode nominato dal tribunale (v. tra le ultime Trib. Santa Maria Capua Vetere 17.04.02; Trib. Milano 19.03.90).

Rientra infatti nei compiti di custodia ed amministrazione l’esercizio dei diritti sociali relativi alle azioni sequestrate (v. doc. 49 fasc. conv.), tra cui è senza dubbio compreso anche il diritto di impugnare le deliberazioni assembleari.

Peraltro la migliore conferma di tale opinione proviene proprio dal legislatore, che, nell’ambito della più generale riforma del diritto societario (d.l.vo 6/03), ha previsto una specifica disciplina per i vincoli sulle azioni, prevedendo espressamente nel novellato art. 2352 c.c. che il diritto di voto in assemblea, e il conseguente diritto di impugnazione delle deliberazioni assembleari, in caso di sequestro di azioni, sono attribuiti al custode nominato dal tribunale.

Tuttavia gli attori all’epoca dell’adozione della delibera impugnata erano anche amministratori della società convenuta, tant’è che nella delibera è stata revocata la loro nomina ed è stato approvato l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti.

E, com’è noto, ai sensi dell’art. 2377 comma 2 c.c. (nella versione previgente, applicabile alla fattispecie) “Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo possono essere impugnate dagli amministratori, dai sindaci e dai soci assenti o dissenzienti…omissis”.

La convenuta e l’intervenuto nel costituirsi hanno interpretato la disposizione appena richiamata nel senso che, nel caso in cui l’amministrazione della società sia attribuita a un consiglio di amministrazione, la legittimazione ad impugnare le delibere non spetti al singolo amministratore ma al consiglio di amministrazione. Inoltre in comparsa conclusionale la convenuta ha rilevato che, anche a voler ritenere la legittimazione ad impugnare la delibera in capo a ciascun amministratore, tuttavia tale legittimazione deve essere esclusa nel caso di revoca della relativa nomina, non potendo l’amministratore sindacare tale scelta, ma soltanto agire per il risarcimento dei danni, quando essa sia priva di giusta causa (art. 2383 comma 3 c.c. sempre nella versione previgente).

Nonostante la tardività di quest’ultimo rilievo, esso deve comunque essere valutato nel merito, tenuto conto che in esso è prospettata una questione inerente la legittimazione ad agire astrattamente rilevabile d’ufficio.

L’eccezione è tuttavia infondata.

Com’è noto la giurisprudenza di legittimità e di merito ha reiteratamente affermato che in via generale – quando le società sono rette da un consiglio di amministrazione - la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari spetta al consiglio nella sua collegialità e non ai singoli componenti, perché si tratta di un potere attribuito a tutela degli interessi sociali, che dunque deve essere deliberato dall'organo incaricato di detta tutela (il consiglio, appunto, e non i singoli componenti di esso) (v. da ultimo Cass. 05.06.03 n. 8992; 02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562; 24.04.63 n. 1084).

La medesima giurisprudenza ha tuttavia precisato che sussiste la legittimazione all’impugnativa anche del singolo amministratore nel caso in cui si tratti di tutelare interessi a lui personali connessi all’incarico rivestito (Cass. 28.08.95 n. 9040; 02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562), come proprio avviene nel caso di revoca anticipata del mandato (v.ancora Cass. 02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562) o nel caso di approvazione dell’azione di responsabilità nei suoi confronti (Trib. Bologna 15.09.92 e 28.10.92).

In altre parole, a fronte dell’equivoca espressione normativa, la giurisprudenza non ha fatto altro che applicare i principi generali, verificando l’interesse tutelato e la titolarità dello stesso, giungendo a riconoscere la legittimazione del solo organo gestorio collegiale quando si tratta di delibere impugnate nel solo interesse della società e la legittimazione anche del singolo amministratore quando si tratta di delibere impugnate nel suo interesse personale sia pur connesso allo svolgimento dell’incarico affidato.

La riformulazione dell’art. 2377 comma 2 c.c. nel testo ora vigente non ha fornito elementi di novità, avendo mantenuto il semplice richiamo agli amministratori, come soggetti legittimati all’impugnazione, pur precisando la concorrente legittimazione del collegio sindacale, e non dei singoli sindaci, e pur aggiungendo la legittimazione del consiglio di sorveglianza, anche in questo caso prevedendo la legittimazione dell’organo collegiale e non dei singoli componenti.

Non sussistono pertanto ragioni per modificare l’orientamento interpretativo appena richiamato, sicché deve ritenersi esistente la legittimazione di ciascun amministratore ad impugnare la delibera che lo ha revocato anzitempo e che ha approvato l’azione di responsabilità nei suoi  confronti.

Né può ritenersi che l’amministratore non può impugnare la delibera con la quale sia stato revocato, perché in caso di revoca senza giusta causa ha comunque diritto al risarcimento. Si deve infatti considerare che egli ha diritto alla prosecuzione del mandato, fino allo spirare del termine contrattuale, salva ovviamente la giusta causa di revoca (Cass. 02.08.77 n. 3422; 01.03.73 n. 562). Pertanto, nel caso in cui la delibera sia viziata, in base ai principi appena evidenziati, egli ha il potere di impugnarla e, se manca la giusta causa di revoca, ha anche diritto al risarcimento del danno.

Essendo l’impugnazione proposta dagli attori in quanto amministratori, non si pone il problema della procedibilità della domanda per mancato deposito delle azioni.

Non è neppure fondata l’eccezione di intervenuta cessazione della materia del contendere, sollevata dalla convenuta e dall’intervenuto in sede di definitiva precisazione delle conclusioni, fondata sul fatto che comunque gli attori non potrebbero usufruire degli effetti ripristinatori dell’eventuale annullamento, per essere esaurito il periodo di vigenza del consiglio di amministrazione, cui facevano parte.

Si deve in primo luogo rilevare che gli attori non hanno impugnato la delibera assembleare solo per la parte che ha approvato la anticipata revoca del loro mandato, ma anche per la parte in cui ha approvato l’esperimento dell’azione di responsabilità, che non è in alcun modo influenzata dall’intervenuto rinnovo del consiglio di amministrazione.

Inoltre, anche con riguardo alla revoca, deve ritenersi che gli attori hanno senza dubbio manifestato il persistere del loro interesse alla verifica giudiziale della dedotta invalidità della delibera, contestando in modo inequivoco l’eccezione avversaria.

Come ritenuto da una giurisprudenza oramai consolidata, la cessazione della materia del contendere presuppone non solo che sopravvengano, nel corso del giudizio, eventi di natura fattuale o atti volontari delle parti idonei a determinare la totale eliminazione di ogni posizione di contrasto, ma anche che vi sia accordo tra le parti sulla portata delle vicende sopraggiunte e sull'essere venuto meno ogni residuo motivo di contrasto e che vi sia la dichiarazione di non voler proseguire la causa proveniente dalla parte personalmente (o dal difensore munito di procura ad hoc) in origine interessata alla statuizione sul merito della vertenza (v. da ultimo Cass. 08.11.03 n. 16785).

Non è neppure fondata l’eccezione di improponibilità dell’impugnazione in questa sede proposta, per non avere gli attori impugnato la decisione del collegio sindacale che ha deciso di convocare l’assemblea sul corrispondente ordine del giorno.

L’acquiescenza alle decisioni dei sindaci di proporre alla valutazione dell’assemblea l’ordine del giorno, poi approvato, non equivale ad anticipata acquiescenza alle decisioni dell’assemblea stessa. È infatti evidente che, nonostante l’iniziativa sindacale, gli amministratori ben potevano avere interesse a difendersi davanti ai soci, al fine di ottenere una pronuncia assembleare che li scagionasse dalle accuse loro mosse.

Passando al merito della vertenza, occorre fare alcune precisazioni.

Gli attori, nel proporre impugnazione, hanno allegato che la delibera “…è viziata da abuso del potere di voto in quanto l’espressione di voto da parte del socio B. B. R. appare, alla evidenza, sorretta dall’interesse particolare dello stesso di far cessare immediatamente gli amministratori F. G., F. N., F. S. dalle rispettive cariche, per assumere la gestione della società…” (p. 10 atto di citazione). Hanno poi richiamato precedenti giurisprudenziali relativi a delibere ritenute viziate da conflitto di interessi (p. 10 e s. attori citazione) ed infine hanno elencato alcuni fatti, qualificati come indici di antisocialità dell’interesse del socio votante, ma che in realtà si presentano come indici del conflitto esistente tra soci (p. 11 e s. atto di citazione).

Com’è noto l’abuso o eccesso di potere è una figura di derivazione dal diritto amministrativo, ravvisabile nell’ambito societario quando la delibera risulta arbitraria e fraudolentemente preordinata al perseguimento degli interessi del gruppo che l’ha adottata, oppure al perseguimento di fini volutamente lesivi degli interessi del gruppo che non l’ha votata, e sia priva di una propria autonoma giustificazione causale sulla base dei legittimi interessi sociali (così Cass. 19.04.03 n. 6321; 05.05.95 n. 4923; v. anche Cass. 26.10.95 n. 11151; tra la giurisprudenza di merito edita, v. Trib. Roma 22.10.02; Trib. Milano 11.01.02 e 22.06.01; Trib. Palermo 18.05.01; Trib. Como 01.06.00; Trib. Milano 13.05.99; Appello Roma, 21.04.98; Trib. Napoli 25.02.98; Trib. Milano 29.01.98, 20.01.98 e 09.06.94; Trib. Bologna 20.12.93; Trib. Milano 18.05.92).

A fondamento del riconoscimento di tale vizio, la dottrina e la giurisprudenza a volte hanno richiamato il disposto dell’art. 1375 c.c., inserendo i rapporti societari nel generale ambito dei rapporti contrattuali, e altre volte hanno estrapolato dal sistema delle norme societarie una regola generale di correttezza (cfr. Cass. 26.10.95 n. 11151).

Il vizio della delibera per abuso o eccesso del potere di voto dei soci votanti a favore si distingue nettamente dal vizio per adozione della delibera con il voto favorevole del socio in conflitto di interessi, perché non vi è un conflitto tra socio e società, ma un conflitto tra gruppi all’interno della società (e cioè un conflitto tra soci), e la delibera è utilizzata in modo fraudolento esclusivamente per raggiungere risultati a favore del gruppo votante.

In altre parole, la delibera viziata da abuso o eccesso di potere non persegue i suoi fini istituzionali, ma diventa lo strumento fraudolento con il quale il gruppo (o il socio) che l’ha approvata acquista vantaggi per sé o reca danni al gruppo (o al socio) che non l’ha votata. Questo basta ad integrare il dedotto vizio e, a differenza del caso in cui vi sia conflitto di interessi, non è richiesta la prova del pericolo di pregiudizio per la società.

Ovviamente spetta alla parte che allega l’esistenza del vizio provarne l’effettiva sussistenza (Cass. 19.04.03 n. 6321; 05.05.95 n. 4923).

Tenuto conto di quanto appena evidenziato, deve subito rilevarsi che il richiamo, compiuto in atto di citazione, ai precedenti giudiziari relativi a casi di conflitto di interessi (v. supra), non si adatta alla presente fattispecie, tenuto conto che gli stessi attori hanno correttamente qualificato la fattispecie in termini di abuso del potere di voto, allegando infatti eventi che rappresentano un conflitto tra soci (e non tra socio e società), senza dedurre alcun pericolo di danno conseguente all’adozione della delibera (ma soltanto l’uso strumentale della delibera per conseguire il controllo della gestione della società mediante estromissione degli attori).

La domanda è tuttavia infondata.

In primo luogo non risulta che la revoca degli attori sia stata davvero finalizzata al conseguimento da parte del socio votante dell’esclusiva gestione della società mediante estromissione degli attori.

Risultano invece nominati altri amministratori in sostituzione degli attori e non vi è né allegazione né prova di alcun particolare rapporto tra il socio votante, già amministratore delegato della società, e gli altri componenti del consiglio di amministrazione.

Inoltre, la delibera risulta essere stata adottata previa convocazione dell’assemblea da parte del collegio sindacale, che – a seguito della denuncia del socio B. B. R. – e, valutati gli elementi acquisiti, ha sottoposto ai soci  l’opportunità di revocare dall’incarico di amministratori gli attori e di esperire l’azione di responsabilità nei loro confronti.

E già la documentazione e le dichiarazioni acquisite dal collegio sindacale evidenziano l’esistenza di elementi che giustificano l’adozione nei confronti di ciascuno degli attori – e nell’interesse della società - della delibera in questa sede impugnata (cfr. doc. 27, 18-25 e 86 fasc. conv.).

Inoltre, anche valutando solo i comportamenti che sono stati sottoposti all’esame dell’assemblea deliberante, l’istruttoria orale ha confermato la validità delle informazioni acquisite dal collegio sindacale. È infatti risultato confermato che effettivamente F. G. ha mosso frequenti rimproveri ai dipendenti M. per aver richiesto l’acquisto di materiale (v. dich. A. B. B., .A. G. P., L. C., E. L.) necessario per continuare la produzione (v. dich. A. G. P., L. C.) e che di fatto ha sospeso la lavorazione di alcune macchine, provocando ritardi nelle consegne (v. dich. S. B. B., L. C.).

Ed è altresì confermato che effettivamente F. N. insieme ad un’altra persona ha sottratto alla società un disco Zip contenente informazioni sul macchinario lavorato dalla M. (v. dich. B. B. A., G. M. C.; le dichiarazioni del teste P. sono davvero poco attendibili sul punto, tenuto conto che – ove avesse ammesso di aver partecipato alla sottrazione – avrebbe confessato di aver partecipato ad un illecito), che è stato riconosciuto tra il materiale oggetto di sequestro penale presso un’altra società in concorrenza (v. dich. Andrea B. B.).

Infine, gli attori F. S. e F. N. in questa sede non hanno neppure concretamente contestato i rilievi loro mossi, relativi al fatto di aver fotocopiato e portato all’esterno dell’azienda documenti riservati, pur risultanti dall’istruttoria acquisita dal collegio sindacale (v. doc. 11 e 12 fasc. att. e doc. 18 fasc. conv.).

Non risulta pertanto provata la dedotta finalità del socio votante di conseguire con l’adozione della delibera impugnata l’esclusivo controllo della gestione societaria mediante sottrazione dell’amministrazione agli attori.

Inoltre vi sono seri elementi che inducono a ritenere l’esistenza di un interesse della società a rimuovere gli attori dalla gestione e a tutelarsi con un’azione di responsabilità nei loro confronti.

La domanda deve pertanto essere rigettata.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza con riguardo ai rapporti tra la convenuta e gli attori e pertanto gravano su questi ultimi.

Sussistono invece giusti motivi per compensare le spese processuali tra gli attori e l’intervenuto, tenuto conto della spontaneità dell’intervento meramente adesivo e della sostanziale identità di allegazioni e deduzioni rispetto a quelle della convenuta.

P. Q. M.

Il Tribunale di Biella, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 534/98 RG:

1) rigetta le domande degli attori;

2) rigetta ogni altra domanda;

3) dichiara tenuti e condanna gli attori in solido tra loro al pagamento delle spese processuali sostenute dalla convenuta, che liquida in complessivi euro 6921,77 (di cui euro 2571,34 per diritti, euro 3.500,00 per onorari e il resto per spese), oltre Iva e Cpa come per legge;

4) compensa integralmente tra gli attori e l’intervenuto le spese di causa.