Civile


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/05/2024 Scarica PDF

Risarcimento del danno non patrimoniale cagionato da condotta illecita dell’amministrazione. Un interessante caso giurisprudenziale

Massimo Niro, ex Magistrato


Sommario: 1. Il caso sottoposto al T.A.R. Piemonte; 2. La decisione del T.A.R. e le sue ragioni giuridiche; 3. Profili di danno non patrimoniale dedotti e concretamente risarcibili.

 

 

1. Il caso sottoposto al T.A.R. Piemonte

Un recentissimo caso giurisprudenziale è stato giustamente segnalato nella stampa quotidiana e specializzata[1]: è il caso sollevato da un Agente Scelto della Polizia Penitenziaria con ricorso depositato nel 2022 presso il T.A.R. Piemonte, con il quale chiedeva “il risarcimento del danno non patrimoniale subito per la condotta dell’amministrazione consistita nell’averlo sottoposto, in relazione ad un procedimento disciplinare instaurato nei suoi confronti sulla base di dichiarazioni spontaneamente rese da due detenuti, a controlli psichiatrici volti all’accertamento della propria omosessualità“ (cfr. il “Fatto” della sentenza che qui si commenta, pag. 2). A sostegno del ricorso l’Agente Scelto esponeva che era stato instaurato nei suoi confronti, sulla base delle dichiarazioni rese da due detenuti, un procedimento disciplinare finalizzato all’accertamento di fatti consistiti nell’aver effettuato avances a sfondo sessuale verso i predetti detenuti, che nel corso del procedimento egli era stato sottoposto a domande “ambigue” sul proprio orientamento sessuale ed erano stati disposti accertamenti psichiatrici presso la competente Commissione Medica Ospedaliera volti ad accertare la propria omosessualità, che la C.M.O. non aveva riscontrato elementi da cui desumere l’inidoneità al servizio del ricorrente e che, infine, il procedimento disciplinare era stato archiviato per “mancanza di prova dei fatti contestati“. Dunque, il ricorrente sosteneva che la condotta con cui l’Amministrazione lo aveva “messo alla gogna”, sottoponendolo a “penetranti controlli psichiatrici”, aveva determinato in lui uno stato di sofferenza, anche tenuto conto della diffusione all’interno dell’ambiente di lavoro di informazioni relative alla sua vicenda personale, con conseguente sussistenza dei presupposti per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno non patrimoniale subìto dal ricorrente (pagg. 2-3 della sentenza). La parte resistente, ovvero il Ministero della Giustizia, si costituiva in giudizio e contestava la fondatezza della domanda, affermando la legittimità del suo operato in relazione all’apertura del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, trattandosi di “atto dovuto” a fronte delle dichiarazioni spontaneamente rese dai due detenuti, e rilevando che i controlli psichiatrici disposti nei confronti del ricorrente erano finalizzati ad accertare la sua idoneità al servizio, in ragione dello stato di ansia manifestato dal dipendente a seguito della contestazione dei fatti disciplinarmente rilevanti (pag. 3). Si può aggiungere, anche se non risulta dalla sentenza ma da un commento giornalistico, che l’Agente penitenziario che ha introdotto il ricorso giudiziario è stato seguìto e sostenuto nella sua battaglia dal sindacato di categoria OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria), che avrebbe assistito il collega in sede disciplinare e poi in sede legale dinanzi al T.A.R. tramite il difensore designato [2].

 

2. La decisione del T.A.R. e le sue ragioni giuridiche

Si è già compreso, dalla concisa esposizione del fatto e del contenuto del ricorso, che la vicenda giudiziaria di cui si tratta è davvero particolare e significativa, poiché riguarda i limiti dell’operato della P.A. nei riguardi dei suoi dipendenti nell’ambito di procedimenti disciplinari instaurati nei loro confronti e, correlativamente, la tutela delle situazioni soggettive di questi ultimi. La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Terza, appare corretta e ben motivata sul piano giuridico, in quanto coglie i punti essenziali e dirimenti della vicenda e ne trae le giuste conseguenze giuridiche. In primo luogo, il Tribunale ritiene provato, in punto di fatto, che il ricorrente sia stato sottoposto, nell’ambito del procedimento disciplinare a suo carico e su decisione dei suoi superiori, ad accertamenti psichiatrici finalizzati a “far chiarezza sulla sua personalità”: su questa base il T.A.R. statuisce che “la condotta tenuta dall’amministrazione possa essere qualificata come illecita e foriera, per il ricorrente, di un danno non patrimoniale risarcibile (pag. 4 della sentenza). Infatti, l’evento di danno è integrato, nella specie, dal fatto che “l’amministrazione ha sottoposto il ricorrente ad un colloquio presso il medico competente e, successivamente, ad un accertamento psichiatrico presso la C.M.O. di Milano, al fine di fare chiarezza sulla personalità del dipendente in assenza di elementi concreti che consentissero di ritenere anche solo possibile che il ricorrente fosse affetto da un disturbo della personalità“ (pag. 4). Quindi, la decisione dell’Amministrazione penitenziaria di sottoporre il ricorrente a questo accertamento psichiatrico va considerata “arbitraria e priva di un valido supporto giuridico, oltrechè tecnico-scientifico, atteso che l’amministrazione indebitamente ha operato una sovrapposizione tra l’orientamento sessuale del ricorrente e la necessità di fare chiarezza sulla personalità di quest’ultimo sul versante psichiatrico, operando un’illegittima inferenza tra la presunta omosessualità dell’Agente Scelto … e l’esistenza di un disturbo della personalità“ (pagg. 4-5 della motivazione). Questo pare il punto centrale della motivazione in diritto del TAR: l’avere sottoposto il ricorrente, nell’ambito del procedimento disciplinare aperto nei suoi confronti per presunte avances a sfondo sessuale nei riguardi di due detenuti, ad un accertamento psichiatrico senza che sussistessero concreti elementi indiziari che potessero far ipotizzare, anche solo in termini di possibilità, l’esistenza di un disturbo della personalità, costituisce una condotta illecita, contra ius, dell’Amministrazione, condotta che “è idonea ad arrecare una lesione non patrimoniale, sotto forma di danno c.d. morale …” (pag. 5). Non fa difetto, nel caso di specie, l’elemento soggettivo dell’illecito civile, atteso che - come precisa il T.A.R. Piemonte - “la condotta dell’amministrazione deve ritenersi quantomeno connotata da colpa in quanto posta in violazione di regole cautelari di condotta di diligenza e prudenza che devono ispirare l’amministrazione nella sottoposizione dei propri dipendenti a valutazioni mediche connotate da elevato grado di invasività, quali quelle che attengono alla sfera della personalità e dell’orientamento sessuale“ (pag. 5). Del resto, appare di tutta evidenza la delicatezza della materia, vertendosi in un campo come quello dell’orientamento sessuale di un dipendente della P.A., del quale si sospetta l’omosessualità, che per questo motivo viene sottoposto ad un accertamento psichiatrico per “fare chiarezza sulla sua personalità”. Proprio l’inferenza tra presunta omosessualità del dipendente e disturbo della personalità è censurata dal TAR e qualificata come “Illegittima”, perché in tal modo si veicola “l’idea per cui l’omosessualità (attribuita al ricorrente) potesse essere ritenuta un disturbo della personalità“ (pag. 6 della sentenza): idea errata e definitivamente superata, alla luce delle più recenti acquisizioni della scienza psichiatrica [3].

 

3. Profili di danno non patrimoniale dedotti e concretamente risarcibili

Sotto il profilo delle “conseguenze dannose concretamente risarcibili” la sentenza in esame opera una distinzione metodologicamente corretta e condivisibile, precisando che “Il ricorrente, pur senza operare una formale distinzione tra i due profili di danno, lamenta un duplice ordine di conseguenze pregiudizievoli“: da un lato, chiede “il risarcimento del danno morale derivante dall’essere stato sottoposto, senza valide ragioni, ad accertamenti psichiatrici circa la propria personalità finalizzati a chiarire le cause, in senso psichico, della condotta oggetto dell’incolpazione (presunte avances a sfondo sessuale nei confronti di detenuti) poi rivelatasi infondata“; dall’altro, “lamenta di essere stato deriso ed emarginato dai suoi colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicende personali, e di aver vissuto una forte situazione di stress per il timore che la sua famiglia fosse informata di quello che succedeva“, e “lamenta, inoltre, di essere stato costretto, in ragione di tali circostanze ambientali sfavorevoli, a chiedere il trasferimento a Foggia“ (pagg. 5-6). Il T.A.R., sulla base di tale distinzione tra i due profili di danno dedotti dal ricorrente, ritiene che soltanto il primo, attinente “alla sofferenza interiore derivante dall’indebita sottoposizione ad accertamenti psichiatrici“, sia sussistente e quindi la relativa pretesa sia fondata. Infatti, si evidenzia che “la circostanza di essere stato sottoposto ad accertamenti psichiatrici finalizzati a valutare l’idoneità al servizio in ragione della presunta omosessualità del ricorrente (rilevante, secondo l’amministrazione, sul piano della personalità del dipendente) sia idonea a cagionare un danno non patrimoniale, sotto forma di sofferenza morale, in quanto veniva messa in dubbio l’idoneità del dipendente allo svolgimento delle proprie mansioni in ragione di quello che si presumeva fosse il suo orientamento sessuale…” (pag. 6 della pronuncia). Non rileva, a questi fini, “la circostanza dell’effettivo orientamento sessuale del ricorrente, in quanto ciò a cui si ricollega l’esistenza del danno è la condotta consistita nell’aver attribuito al dipendente uno stato di salute (in tesi, un disturbo della personalità) tale da rendere necessario un accertamento psichiatrico, notoriamente connotato da un grado di invasività non trascurabile, in particolar modo nei casi in cui tale accertamento attenga ad una sfera strettamente personale quale quella dell’orientamento sessuale“ (ibidem). In sostanza, ai fini della decisione in esame non rileva conoscere l’effettivo orientamento sessuale del ricorrente (se omosessuale o meno), poiché l’evento di danno è costituito dall’indebita sottoposizione del soggetto ad un accertamento psichiatrico altamente invasivo, senza che sussistessero elementi indiziari che facessero propendere per l’esistenza di un disturbo della personalità. La risarcibilità del danno non patrimoniale inteso come danno morale, sofferenza interiore, è ormai affermata dalla prevalente giurisprudenza con sufficiente omogeneità, pur dopo molte oscillazioni e incertezze interpretative, e può sinteticamente osservarsi che i pregiudizi non patrimoniali che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati appunto dalla sofferenza interiore, ove correttamente dedotti e adeguatamente provati, devono formare oggetto di separata valutazione e liquidazione rispetto al danno biologico [4]. Dunque, il danno non patrimoniale / sofferenza morale è nella specie riconosciuto e liquidato con ricorso al criterio equitativo, ai sensi dell’art.1226 c.c., “attesa l’impossibilità di fornire mediante gli ordinari mezzi istruttori la prova dell’entità del pregiudizio“: il Tribunale, “alla luce della circostanza per cui il ricorrente è stato autoritativamente sottoposto ad un solo esame psichiatrico presso la C.M.O. (preceduto da visita presso il medico competente)“, reputa equo liquidare il danno nella misura di euro 10.000,00 (pag.6). L’altra voce di danno prospettata dal ricorrente, in relazione alla derisione ed emarginazione subita dai suoi colleghi, alla forte situazione di stress vissuta per il timore che la sua famiglia fosse informata di ciò che succedeva e alla circostanza di essere stato “costretto”, in virtù di tale situazione ambientale sfavorevole, a chiedere il trasferimento in altra sede (Foggia), non è invece ritenuta sussistente dal T.A.R. con consequenziale reiezione della relativa richiesta: ciò in quanto manca una idonea prova del nesso di causalità (c.d. giuridica) tra evento di danno e singole conseguenze pregiudizievoli lamentate, prova necessaria ai sensi dell’art.1223 c.c. (secondo il criterio probatorio del “più probabile che non “). Infatti, rileva il Tar che “non vi sono elementi che possano condurre ad escludere che le conseguenze pregiudizievoli lamentate siano state cagionate da fattori causali alternativi“, come per esempio la “diffusione di informazioni relative al procedimento disciplinare instaurato nei confronti dell’Agente Scelto…” (pag. 7 della sentenza). Correttamente questa seconda pretesa risarcitoria non viene accolta, dal momento che “non vi è prova che il pregiudizio lamentato sia più probabilmente che non derivato dalla condotta dell’amministrazione consistita nel sottoporre il dipendente ad illegittimi accertamenti psichiatrici sulla propria sessualità“ (ibidem). In conclusione, questa sentenza del TAR Piemonte (n.353/2024 del 9 aprile 2024) è sicuramente di interesse giuridico, per la particolare fattispecie esaminata e per i princìpi chiaramente e coerentemente affermati, in un caso in cui la responsabilità della P.A. nei confronti di un suo dipendente emerge in modo nitido dagli atti di causa.



[1] Cfr. l’articolo di F. Rivano Il poliziotto e il test sull’omosessualità - Ministero condannato, La Stampa del 18 aprile 2024, nonché l’articolo di F. Machina Grifeo Risarcito l’agente sottoposto a visita psichiatrica per valutarne l’omosessualità, www.ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com, 18 aprile 2024.

[2] F. Rivano, art. cit. alla nota 1.

[3] Si ricorda che sin dal 1973 l’ American Psychiatric Association (APA) ha definito l’omosessualità come un orientamento sessuale, una variante della sessualità umana priva di alcun elemento patologico; nel 1992 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è giunta alla medesima conclusione.

[4] Cfr., in questo senso, M. Rossetti, Il danno alla salute, Milano, 2021, pag. 814: l’Autore riporta e sintetizza gli orientamenti più recenti al riguardo della giurisprudenza di legittimità.


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