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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/12/2017 Scarica PDF

Idee per la riforma di fusioni, scissioni e trasformazioni nel nuovo concordato preventivo

Pier Giorgio Cecchini, Dottore commercialista in Modena


Sommario: 1. Nell’attesa dei decreti delegati. – 2. L’opposizione societaria. – 3. L’opposizione concorsuale. – 4. Quali le operazioni straordinarie semplificate. – 5. La condizione. – 6. Le operazioni anticipate ed incondizionate. – 7. Altre considerazioni sulle opposizioni. – 8. Fusione fra garante e garantito. – 9. Recesso, esclusione e riscatto di azioni. – 10. Irreversibilità. – 11. Conclusioni.


     

1. Nell’attesa dei decreti delegati

Questo articolo esplora un particolare ambito della riforma della crisi di impresa varata con la Legge 155/2017 (d’ora innanzi “legge delega”)[1]: quello delle operazioni straordinarie poste in essere nel corso di una procedura di concordato preventivo.

 

2. L’opposizione societaria

La legge delega prevede (art. 6) che “in caso di operazioni di fusione, scissione e trasformazione poste in essere in corso di procedura … l’opposizione dei creditori possa essere proposta solo in sede di controllo giudiziale sulla legittimità della domanda di concordato preventivo”.

La norma intende sterilizzare l’opposizione derivante dall’esercizio dei diritti di cui all’art. 2503 del codice civile per la fusione, 2503/2506-ter per la scissione e 2500-novies per la trasformazione eterogenea (d’ora innanzi “opposizione societaria”), assorbendola in quella concorsuale di cui all’attuale art. 180 della legge fallimentare (d’ora innanzi “opposizione concorsuale”).

Nel caso di fusioni e scissioni l’opposizione societaria mira a ottenere “ex lege ed erga omnes effetti sospensivi dell'efficacia della decisione di fusione”, precludendo la stipulazione dell’atto, al fine di “evitare che la garanzia rappresentata dal patrimonio della società debitrice prima della fusione subisca una menomazione[2].

Invece, nel caso della trasformazione eterogenea (sia da società di capitali che in società di capitali, e non anche in altri tipi di trasformazione[3]), lo scopo è quello di tutelare i creditori quando il tipo sociale cui approda l’ente sia contraddistinto da una più attenuata tutela dell’effettività ed integrità patrimoniale[4], come avviene, ad esempio, in caso di trasformazione di una società di capitali in consorzio.

L’opposizione societaria rientra nella più ampia categoria dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740[5].

Parte della dottrina ha ritenuto che, già nel vigore dell’attuale normativa, l’opposizione al concordato ex art. 180 l. fall. assorba l’opposizione dei creditori ex art. 2503[6]; tuttavia questa opinione non è stata condivisa dalla giurisprudenza né da altra dottrina[7], ed a giusta ragione, date le finalità, i modi di esercizio e i giudici competenti dei due rimedi oppositivi.

Beninteso, nella prospettiva della riforma unici creditori a subire la sterilizzazione del diritto di opposizione societaria saranno quelli della società in concordato, restando inalterati i diritti e le prerogative dei creditori di altre società in bonis eventualmente partecipanti all’operazione.

Nulla dice la legge delega in merito all’opposizione dei creditori alla revoca dello stato di liquidazione di cui all’art. 2487-ter c.c.; sarebbe tuttavia opportuno, nel quadro della riforma organica, sacrificare anche questo diritto[8]. In tal modo si favorirebbe il ripristino della completa operatività di società “affrettatamente” poste in liquidazione e che abbiano successivamente deciso di presentare domanda di concordato preventivo in continuità diretta.

In difetto della revoca, queste società possono compiere liberamente atti di gestione (ordinaria) finché si trovano in procedura concordataria, grazie alla portata protettiva dell’art. 182-sexies (anche se il punto non è pacifico[9]). Invece, successivamente all’omologazione, esse sono vincolate ad operare ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale (cfr. art. 2486 e 2489, secondo comma), in aperta contraddizione con la continuità diretta posta a base della proposta approvata dai creditori.

 

3. L’opposizione concorsuale

Una questione definitoria deve essere fin d’ora affrontata.

La legge delega evoca l’opposizione da proporsi in sede di “controllo giudiziale”; controllo che si esplica in tre fasi: ammissione, revoca e omologazione del concordato preventivo. È tuttavia verosimile che soltanto nell’ultima delle tre fasi l’opposizione concorsuale dei creditori possa essere fatta valere; ché, altrimenti, verrebbe ripristinato, nella sostanza, un diritto di opposizione penetrante quale quello che la riforma intende espungere.

L’articolato dovrebbe prevedere che l’opposizione societaria sia preclusa al creditore soltanto per operazioni straordinarie comprese nel piano, di talché un’opposizione all’omologazione vittoriosa comporti non soltanto la caducazione della proposta concordataria ma anche l’arresto dell’operazione medesima. Nel caso opposto di un’operazione avulsa dal piano il creditore dovrebbe invece mantenere una forma di tutela individuale.

Segnalo incidentalmente che, durante fase esecutiva del concordato, manca lo strumento per impedire l’attuazione di operazioni straordinarie non previste a piano[10], salvo ritenere che, nonostante il mancato richiamo dell’art. 185 all’art. 136, terzo comma, permanga anche nel concordato preventivo la possibilità di un intervento giudiziale ufficioso tale da consentire che «il giudice delegato (....) adotti ogni misura idonea per il conseguimento delle finalità del concordato»[11]; e salvo ritenere possibile anche che all’amministratore provvisorio eventualmente nominato, di cui si dirà oltre (cap. 4), spettino i poteri per impedire l’assunzione delle decisioni e la stipulazione degli atti non programmati.

L’opposizione concorsuale presenta finalità diverse rispetto a quella societaria: essa ha lo scopo di contestare la fattibilità giuridica (e, stando alla legge delega, anche quella economica[12]), nonché di sindacare la convenienza da parte dei creditori votanti titolari di crediti “qualificati”.

Vi è allora da chiedersi se il previsto assorbimento dell’opposizione societaria in quella concorsuale comporti la migrazione delle eccezioni proponibili dalla prima alla seconda azione, sicché i creditori, dopo la riforma, possano continuare a contestare, anche in sede concorsuale, la lesione della garanzia patrimoniale determinata dall’operazione straordinaria[13].

Ritengo di no: l’assorbimento non deve comportare l’ampliamento del novero delle azioni esercitabili in sede di omologazione.

In primo luogo, infatti, i creditori godono già di svariati strumenti di tutela in ambito concordatario, anche se fruibili in diversa misura a seconda della natura del credito e dell’epoca di sua formazione: diritto di voto, di opposizione all’omologazione, di attivazione del controllo di convenienza, di prededuzione. Inoltre essi hanno diritto, al pari di chiunque vi abbia interesse, di impugnare le deliberazioni assembleari per nullità, beninteso solo nelle limitate ipotesi previste dalla legge.

In secondo luogo, se si introducesse nel giudizio di omologazione l’eccezione di natura societaria, verrebbe sostanzialmente frustrata la portata innovativa della riforma, che comporta il sacrificio diritti dei creditori, individualmente considerati, al fine dal superiore interesse al loro miglior soddisfacimento collettivo (ribadito dagli artt. 2 e 3 della legge delega), in una continuità ideale con le regole di approvazione del concordato a maggioranza e con il divieto di azioni esecutive individuali di cui all’art. 168[14].

In tal caso anche un solo creditore continuerebbe a detenere il potere di rendere irrealizzabile l’operazione straordinaria, mutilando il piano di cui essa faccia parte.

Al creditore ingiustamente danneggiato è comunque garantita la risarcibilità del danno ai sensi degli artt. 2500-bis e 2504-quater.

Ritengo inoltre che l’opposizione societaria non debba essere preclusa soltanto ai creditori anteriori alla pubblicazione della domanda, come pure sostenuto da autorevole dottrina[15], bensì anche a quelli di cui all’art. 111, secondo comma, ed in particolare a quelli sorti in occasione della procedura[16].

La posizione di questi ultimi non è infatti dissimile da quella dei creditori anteriori privilegiati: entrambi non hanno diritto di voto e, pur potendo opporsi all’omologazione al pari di “qualsiasi interessato”, non possono attivare il controllo di convenienza, essendogli indifferente la sorte del concordato[17]. Inoltre, a differenza dei privilegiati, essi godono della prededuzione ex art. 111 e la loro qualità di creditori di società in concordato è frutto di una scelta consapevole.

Non vedo quindi ragioni per cui l’articolato dovrebbe riconoscere ai creditori per crediti sorti in pendenza di procedura il diritto di esercitare l’opposizione societaria.

L’opposizione societaria dovrà invece essere garantita ai titolari di crediti sorti dopo l’omologazione, poiché essi sono totalmente sprovvisti di diritti alternativi; non votano, non possono opporsi all’omologazione né tantomeno far esercitare il controllo di convenienza, non godono della prededuzione[18] e, in astratto, nel concedere credito, potrebbero non essere neppure pienamente consapevoli della passata crisi o insolvenza[19].

Ciò comporta un rischio di doppio binario, per cui il rimedio societario può essere esercitabile da alcuni creditori e non da altri, ogniqualvolta l’operazione straordinaria venga attuata “a cavallo” dell’omologazione o sia integralmente attuata successivamente ad essa.

 

4. Quali le operazioni straordinarie semplificate

Ragioni di logica militano nel senso di ritenere che l’opposizione societaria degli artt. 2503 e 2500-novies debba essere inibita per fusioni, scissioni e trasformazioni eterogenee aventi effetto a decorrere dall’omologazione[20].

L’efficacia può decorrere dall’omologazione anche per effetto di una condizione sospensiva o di un termine iniziale apposti all’atto di fusione/ scissione precedentemente stipulati o alla decisione di trasformazione eterogenea precedentemente assunta (cap. 5). In tal modo le operazioni acquisiscono efficacia solo ove il concordato abbia ricevuto il placet dei creditori.

Resta inteso che l’efficacia è ex lege ulteriormente subordinata alle formalità pubblicitarie nel registro delle imprese (e delle persone giuridiche) nonché, nel caso della trasformazione eterogenea, al decorso di sessanta giorni da tali formalità.

Le operazioni perfezionate (cioè aventi effetto) successivamente all’omologazione pongono e continueranno a porre alcuni problemi.

In primo luogo la legge delega fa riferimento solo a fusioni, scissioni e trasformazioni poste in essere “in corso di procedura”, la quale, notoriamente, si chiude con l’omologazione. Interpretato letteralmente, questo inciso porterebbe ad una applicazione eccessivamente restrittiva della norma agevolativa. Più verosimilmente, si deve ritenere che la portata della norma sia estesa anche all’attuazione o al completamento di operazioni straordinarie durante fase esecutiva.

In secondo luogo i creditori per titolo sorto successivamente all’omologazione conservano inalterato il diritto di esercitare l’opposizione societaria, poiché non godono di alcuna forma di protezione concorsuale (cap. 3).

Ciò può determinare l’inadempimento della proposta concordataria e il rischio di risoluzione del concordato ogniqualvolta l’operazione straordinaria, di cui sia prevista l’attuazione o il completamento dopo l’omologazione, costituisca elemento inscindibile del piano e quest’ultimo non preveda le risorse necessarie per far fronte alle eventuali opposizioni societarie di tali creditori “tardivi”[21].

A ben vedere il rischio non si pone nel caso di fusioni o scissioni le cui deliberazioni siano iscritte nel registro delle imprese prima dell’omologazione, anche se stipulate successivamente ad essa, poiché il diritto ex art. 2503 compete solo ai creditori esistenti al momento della pubblicazione delle decisioni, tra i quali non potrebbero essere annoverati coloro i cui crediti siano sorti dopo l’omologazione.

In terzo ed ultimo luogo, una ulteriore eventualità di inadempimento della proposta risiede nella inerzia o ostruzionismo, durante la fase esecutiva del concordato, degli organi sociali della debitrice[22] nonché della società terza coinvolta nell’eventuale fusione o scissione.

La necessaria cooperazione dei soggetti coinvolti in operazioni straordinarie può così assurgere ad una indesiderata condizione sospensiva meramente potestativa all’attuazione del piano.

Si tratta, oltretutto, nel caso dei soci e della società terza, di soggetti che attualmente non possono essere chiamati a rispondere di alcun inadempimento[23], e che potranno eventualmente esserlo solo in futuro, una volta recepito nell’ordinamento “il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali … di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 14).

Vero è che la legge delega contempla anche meccanismi sostitutivi delle decisioni degli organi sociali della debitrice, cosicché “in caso di comportamenti dilatori od ostruzionistici, l’attuazione della proposta possa essere affidata ad un amministratore provvisorio, nominato dal tribunale, dotato dei poteri spettanti all’assemblea ovvero del potere di sostituirsi ai soci nell’esercizio del voto in assemblea” (art. 6).

Tuttavia tale forma di tutela reale non metterà verosimilmente al riparo l’esecuzione del piano dall’impugnazione, da parte dei soci espropriati dal diritto di voto, della deliberazione alla quale abbia partecipato l’amministratore provvisorio[24]; inoltre essa non supplirà alla inerzia della società terza, potendo essere esercitata solo sulla debitrice.

Regole di buona pratica consigliano, dunque, di optare anche in futuro per operazioni straordinarie attuate anticipatamente e condizionate all’omologazione (cap. 5). In tali casi una insufficiente cooperazione di organi sociali o terzi potrà essere tempestivamente rilevata e, se non sanata o non sanabile, condurrà alla declaratoria di non fattibilità della proposta, evitando il consolidarsi dell’operazione straordinaria.

 

5. La condizione

L’apposizione di una condizione sospensiva (o, sortendo lo stesso effetto, di un termine iniziale) in atti societari è pacificamente ritenuta ammissibile[25]. Così lo è specificamente per il caso di fusioni e scissioni[26], nonché per le trasformazioni eterogenee, sebbene in quest’ultimo caso si ritenga che il termine iniziale non possa essere superiore a sessanta giorni dalla iscrizione della delibera di trasformazione nel registro delle imprese[27].

Come anticipato, la condizione sospensiva rappresenta uno strumento molto efficace per attribuire effetti definitivi ad un’operazione straordinaria solo quando il piano di cui faccia parte ottenga l’omologazione.

Tuttavia attualmente la condizione sospensiva non può essere apposta quando fusioni o scissioni comportino la costituzione di nuove società, come in caso di fusioni proprie (cioè diverse da quelle per incorporazione; art. 2504-bis, secondo comma) e di scissioni con costituzione, appunto, di nuove società (art. 2506-quater, primo comma).

Il divieto, nei casi esposti, di postdatazione degli effetti di operazioni di fusione e scissione fu introdotto con il D.Lgs. 22/1991, per la difficoltà di concepire l’esistenza di un soggetto giuridico temporaneamente privo di patrimonio[28].

Tuttavia né le direttive a cui tale provvedimento si ispirava, né la recente direttiva n. 2017/1132/UE in materia di fusioni e scissioni, ponevano e pongono vincoli in materia; al contrario, tutte le direttive via via intervenute[29] hanno sempre contenuto la previsione esplicita “Le legislazioni degli Stati membri determinano la data in cui la fusione/scissione ha efficacia”.

Si tratta, dunque, a mio parere, di un divieto di postdatazione non assoluto, che può essere derogato dagli emanandi decreti legislativi quando coinvolga una o più società in concordato preventivo, anche considerato il ristretto ambito temporale della deroga e la contestuale vigilanza dell’autorità giudiziaria[30].

In nessun caso può essere invece apposta una condizione risolutiva all’atto di fusione e scissione e alla deliberazione di trasformazione, poiché dalla disciplina societaria emerge una tendenziale stabilità degli effetti delle operazioni straordinarie che mal si concilia con retroattività dei nuovi assetti che esse determinano[31].

Generalmente, nel caso di atti e deliberazioni condizionate che siano già iscritte nel registro delle imprese, si ritiene che, all’avverarsi della condizione, gli amministratori debbano procedere a iscrivere una ulteriore dichiarazione, in analogia con quanto previsto dall’art. 2444 per l’attestazione dell’avvenuta esecuzione dell’aumento di capitale[32].

Nel caso qui trattato tuttavia tale dichiarazione di avveramento appare superflua quando l’evento dedotto in condizione sia l’omologazione: infatti il relativo provvedimento è già oggetto di autonoma pubblicazione ai sensi dell’art. 180, e dunque il creditore ne ha conoscenza legale senza necessità di ulteriori adempimenti[33].

Che la condizione sospensiva debba risiedere nella definitività o provvisorietà del provvedimento di omologazione è sostanzialmente frutto di una scelta esplicitamente operata dalla debitrice nella proposta concordataria. Qualora nulla sia precisato, ritengo che realizzi l’avveramento della condizione anche un provvedimento assunto in pendenza di opposizioni, in quanto esso è, comunque, provvisoriamente esecutivo.

Come noto la stipulazione dell’atto di fusione o scissione è preceduto dalle decisioni di approvazione dei relativi progetti da parte delle assemblee delle società che vi partecipano[34]. Tali decisioni non generano conseguenze sul piano patrimoniale o organizzativo; quindi possono essere assunte in qualunque tempo, fatti salvi i limiti di matrice societaria[35];  dunque, anche prima del deposito del ricorso, oppure dopo tale data e senza necessità di autorizzazione[36]; e, se del caso, anche dopo l’omologazione.

Non mi pare utile apporre condizioni alle decisioni di fusione e scissione; semmai esse dovranno limitare la legittimazione degli amministratori a stipulare i relativi atti in conformità alle previsioni del piano.

 

6. Le operazioni anticipate ed incondizionate

Occorre ora interrogarsi sulla sorte cui saranno destinate le operazioni aventi effetto in corso di procedura e quindi non subordinate all’omologazione.

In tali casi il diritto di opposizione societario deve essere conservato; altrimenti si destituirebbe di significato la legge delega, così violando il principio di salvaguardia del risultato interpretativo utile, laddove essa prevede che “l’opposizione dei creditori possa essere proposta solo in sede di controllo giudiziale”, poiché una pur vittoriosa opposizione concorsuale non varrebbe ad impedire il perfezionamento dell’operazione straordinaria, che il creditore - impotente - si troverebbe a subire.

Né si può immaginare di condizionare risolutivamente l’efficacia dell’operazione straordinaria all’omologazione, in modo da cancellarne gli effetti in caso di esito sfavorevole della procedura, poiché il sistema normativo non tollera l’apposizione di condizioni risolutive agli atti e delibere societarie (cap. 5).

Neppure mi pare un rimedio sufficiente a legittimare l’esproprio di ogni forma di opposizione del creditore la circostanza che operazioni perfezionate in corso di procedura (quindi non condizionate all’omologazione) siano soggette al regime autorizzativo del tribunale ex artt. 161, settimo comma o dal giudice delegato ex 167[37] nel concordato preventivo.

Infatti tali autorizzazioni vengono concesse sulla base di accertamenti necessariamente sommari, vuoi a causa dell’urgenza, vuoi per dover essere date quando il piano è predisposto soltanto in bozza, vuoi perché non è ancora appurato compiutamente se la proposta è legittima ed il piano fattibile.

Dunque mi pare opportuno che in tali casi ogni creditore possa attivare individualmente, a salvaguardia dei propri diritti, i rimedi degli artt. 2503 e 2500-novies. Fermo restando che, in caso di opposizioni animate da spirito di chicane, il tribunale[38] potrà comunque disporre che l’operazione possa avere corso nonostante l’opposizione in caso di infondato pregiudizio dei creditori (art. 2445 ultimo comma, richiamato da entrambi gli articoli succitati).

Quindi le operazioni straordinarie perfezionate in corso di procedura, non condizionate all’omologazione, saranno doppiamente svantaggiate, in quanto dovranno essere autorizzate dall’autorità giudiziaria e resternno esposte al rischio dell’opposizione societaria.

Un vantaggio tangibile dovrebbe presentare, tuttavia, il caso peculiare di fusione fra più società in concordato preventivo divenuta efficace prima dell’inizio delle votazioni: poiché al momento del voto esiste una sola società, non è necessario tenere distinte le masse attive e passive, le votazioni ed il calcolo delle maggioranze[39], come invece richiesto dall’art. 3 della legge delega nel caso del “concordato di gruppo”.

 

7. Altre considerazioni sulle opposizioni

Nelle ipotesi in cui nessun creditore vanti il diritto di opposizione societario - cioè, perlomeno, quando l’operazione sia attuata prima dell’omologazione e condizionata ad essa – parrebbe superfluo attendere i termini previsti dall’art. 2503; motivi di prudenza tuttavia inducono a rispettare tali termini, dato il rischio di una erronea valutazione circa l’esistenza o meno di creditori titolari del diritto. Rammento qui incidentalmente che è controverso se si applichi o meno all’opposizione societaria la sospensione dei termini feriali[40].

Devono invece essere certamente salvaguardati gli adempimenti pubblicitari che precedono le decisioni di fusione e scissione[41], poiché sono posti nell’esclusivo interesse dei soci[42] e non dei creditori.

Come detto, nel caso di operazioni posposte all’omologazione, potrà darsi il caso di una sorta di doppio binario per cui i creditori anteriori e quelli divenuti tali in pendenza di procedura siano titolari del diritto di opposizione concorsuale mentre quelli sorti dopo l’omologazione siano titolari del diritto di opposizione societario (cap. 3).

Qualora questi ultimi propongano validamente l’opposizione societaria, l’operazione straordinaria deve subire un arresto in attesa della pronuncia giurisdizionale di merito e, prima ancora, dell’eventuale provvedimento anticipatorio di autorizzazione all’operazione ex art. 2445 (se richiesto dalla debitrice). Nel caso che nel frattempo si dia ugualmente corso all’operazione, l’inefficacia dell’atto sarà subito sanata ed essa diventerà irreversibile (cap. 0).

Nel caso opposto di creditori che abbiano proposto l’opposizione societaria senza avervi titolo, non credo che vantino il diritto ad un’ineluttabile pronuncia giurisdizionale. Il caso non è dissimile da quello in cui, ad esempio, la società abbia prestato idonea garanzia fino all’avvenuta estinzione dei crediti; il diritto di opposizione non sorge neppure, e la società può validamente ed efficacemente stipulare immediatamente l’atto di fusione, senza cioè dover attendere la pronunzia del tribunale (il quale, nel giudizio attivato con l’opposizione, dovrà ovviamente respingerla per “non luogo a procedere”)[43].

 

8. Fusione fra garante e garantito

Ed ora un argomento poco esplorato in dottrina.

Recita l’art. 1255 che “Se nella medesima persona si riuniscono le qualità di fideiussore e di debitore principale, la fideiussione resta in vita, purché il creditore vi abbia interesse.”.

Quindi in caso di fusione tra due società, una delle quali abbia garantito il debito dell’altra (come accade frequentemente nei gruppi), si sarebbe portati a ritenere che il creditore chirografario vanti una doppia pretesa, chirografaria o privilegiata verso l’uno o l’altro creditore a seconda delle circostanze (tenendo però a mente che i creditori acquisiti per effetto di fusione con società in bonis in corso di procedura devono essere soddisfatti integralmente[44]).

Così prospettata, questa duplice pretesa falcidiata realizzerebbe un’ipotesi di violazione della par condicio, e meriterebbe un intervento legislativo in occasione della riforma.

Tuttavia risulta dalla relazione al codice civile che l’art. 1255 non può essere interpretata nel senso di consentire una doppia pretesa al creditore, “poiché nessuno può essere garante di sé stesso”. Esso deve invece essere interpretato nel senso che la confusione dei patrimoni determina l’estinzione della garanzia salvo che il creditore abbia interesse a conservarla, e ciò si realizza quando la coesistenza delle due qualità sia possibile perché la fideiussione è suscettibile di determinare effetti giuridici propri; è il caso, ad esempio, del fideiussore che abbia dato una garanzia reale a copertura dei suoi obblighi; la perdurante efficacia della fideiussione sarebbe qui giustificata dall'interesse a conservare la garanzia reale a favore del suddetto creditore[45].

Pertanto nessun intervento legislativo è necessario sul punto.

 

9. Recesso, esclusione e riscatto di azioni

La legge delega prevede che “non spetti ai soci il diritto di recesso in conseguenza di operazioni incidenti sull’organizzazione o sulla struttura finanziaria della società”.

Dispone l’art. 2473 che sono cause di recesso dalla società a responsabilità limitata proprio il cambiamento del tipo sociale, la fusione e la scissione. Invece l’art. 2437 esplicita, quale causa di recesso dalla società per azioni, la sola trasformazione, ma non anche fusione e scissione, le quali tuttavia possono indirettamente causare l’insorgere del diritto quando consentano un cambiamento significativo dell’attività della società.

Evidentemente la legge delega intende disinnescare il rischio che il patrimonio e le risorse finanziarie della società in concordato abbiano ad assottigliarsi per effetto del recesso di soci – e conseguente rimborso delle partecipazioni - occasionato dall’operazione straordinaria.

Tuttavia rendere il socio “prigioniero del titolo”, come accadeva prima della riforma del diritto societario del 2004, mi pare una soluzione sproporzionata al problema.

Si consideri infatti che quello del rimborso è soltanto il rimedio di ultima istanza per liquidare il socio uscente, poiché la legge stabilisce che le sue partecipazioni debbano essere preliminarmente offerte in opzione agli altri soci e, per la parte non acquistata, collocate presso terzi. Solo nel caso che né l’una né l’altra procedura di vendita sortiscano effetti si genera un debito della società verso il socio.

Perché, allora, non consentire al socio di recedere, postergando semplicemente il suo diritto di credito al soddisfacimento degli altri creditori? Ciò salvaguarderebbe l’equilibrio patrimoniale e finanziario della società senza limitare indebitamente la libertà dei soci di recedere.

Il principio della postergazione dovrebbe a mio parere essere esteso a tutti i casi di exit avvenuti nel periodo immediatamente precedente alla procedura concorsuale, nel corso della stessa e nella fase esecutiva, ivi compresi il recesso per qualunque causa legale (ad esempio aumento di capitale con offerta delle quote di nuova emissione a terzi) o statutaria (anche ad nutum, ove consentito), l’esclusione da società a responsabilità limitata (art. 2473-bis) e il riscatto di azioni nelle società per azioni (art. 2437-sexies).

La postergazione dovrebbe ricomprendere i crediti nascenti da recesso, esclusione e riscatto comunicati nell’anno che precede la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino alla completa esecuzione del concordato[46].

E sarebbe opportuno regolamentare in modo simile anche la eventuale distribuzione di utili e riserve, postergando il pagamento di dividendi che risultino non ancora distribuiti alla data della pubblicazione del ricorso nonché quelli di cui si sia deliberata la distribuzione in pendenza di procedura e nella sua fase esecutiva.

In tal modo l’interesse dei soci, che nel conferire capitale hanno accettato il rischio di impresa, risulterebbe giustamente sacrificato rispetto a quello dei creditori, che tale rischio non sono tenuti a condividere.

 

10. Irreversibilità

Per la legge delega occorre prevedere che “gli effetti delle operazioni siano irreversibili, anche in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, salvo il diritto al risarcimento dei soci o dei terzi danneggiati, ai sensi degli articoli 2500-bis e 2504-quater del codice civile”.

È incontroverso che l’invalidità della fusione non possa più esserne pronunciata dopo l’iscrizione del relativo atto nel registro imprese (cosiddetto effetto sanante della pubblicità), in conformità all’art. 2504-quater[47], e così pure per la scissione. Ciò tanto con riferimento all’eventuale violazione delle norme mirate a regolare la struttura dell’operazione quanto di quelle riguardanti il procedimento di approvazione ed esecuzione della stessa[48] e quand’anche l’operazione contrasti con i principi regolatori dell’istituto (pronuncia in tema di scissione reale negativa)[49].

Deve quindi essere risolto in senso negativo il dubbio se si possa invocare la cancellazione d’ufficio ex art. 2191 di un’operazione straordinaria perfezionata in presenza di un vizio del procedimento, ad esempio perché penda l’opposizione societaria di creditori in assenza dell’autorizzazione ex 2445, seppure consti un orientamento giurisprudenziale[50] e dottrinario[51] opposto.

Assolutamente controverso è invece se siano esperibili nei confronti della fusione e scissione l’azione revocatoria ordinaria e fallimentare[52].

Ben venga, dunque, una modifica normativa che sancisca esplicitamente[53] la irretroattività ed efficacia assoluta delle operazioni straordinarie poste legalmente in essere durante un concordato o nella sua fase esecutiva. Ovviamente tale modifica esplicherebbe la sua utilità unicamente in caso di sopravvenuta risoluzione o annullamento del concordato, poiché in pendenza di procedura e nella fase esecutiva dette operazioni trovano copertura nell’art. 67, comma terzo, lettera e).

Resta ferma il diritto dei soci o dei terzi danneggiati al risarcimento da parte della società, ai sensi degli articoli 2500-bis e 2504-quater. E qualora gli amministratori abbiano dato corso alla fusione o alla scissione in pendenza dell’opposizione dei creditori cagionando loro un danno, saranno responsabili penalmente ex art. 2629 nonché civilisticamente ex art. 2394; norma, questa, che la riforma intende estendere alle società a responsabilità limitata.

 

11. Conclusioni

Alla luce della disamina svolta, i decreti legislativi che verranno adottati in attuazione della legge delega per la riforma organica delle procedure concorsuali dovrebbero essere improntati, in materia di operazioni straordinarie effettuate nell’ambito di un concordato preventivo, ai seguenti princìpi:

a) l’assorbimento dell’opposizione societaria in quella concorsuale dovrebbe riguardare soltanto le operazioni straordinarie:

a. comprese nel piano concordatario;

b. aventi effetto a decorrere dalla data di omologazione, anche in conseguenza di condizioni sospensive o termini iniziali apposti ad atti e delibere;

b) l’inibizione all’opposizione societaria dovrebbe riguardare unicamente i creditori anteriori e quelli divenuti tali in corso di procedura;

c) la revoca dello stato di liquidazione (art. 2487-ter) dovrebbe essere assoggettata alla medesima disciplina di cui ai punti a) e b);

d) dovrebbe essere sempre consentita la postdatazione degli effetti delle fusioni e scissioni a decorrere dalla data di omologazione, quand’anche tali operazioni determinino la costituzione di nuove società;

e) dovrebbe essere postergato il credito nascente nei confronti del socio per effetto di recesso, esclusione e riscatto di azioni comunicato nell’anno che precede il concordato e fino al termine per la sua risoluzione.

Per una proposta di articolato si vedano le note 20, 30 e 46.



[1] Legge 19 ottobre 2017, n. 155.

[2] Trib. Roma, 11 luglio 2017 in tema di fusioni, ma il principio vale anche per le scissioni.

[3] L’istituto non è applicabile ad altre ipotesi di trasformazione; così P.P. Ferraro, La tutela dei creditori nella trasformazione eterogenea, Notariato, 5/2011.

[4] P. Bastia e R. Brogi, Operazioni societarie straordinarie e crisi d’impresa, 2016, Wolters Kluver, collana Insolvency diretta da M. Ferro, cap. 6.1.

[5] Trib. Napoli 19 febbraio 2016.

[6] Tra gli altri così M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, CNN, Studio n. 77-2007/I.

[7] In giurisprudenza Trib. Prato, 22 luglio 2014 e Trib. Ravenna, 29 ottobre 2015, commentata da L. Lopez, Opposizione dei creditori e giudizio di autorizzazione alla fusione - il commento, Le Società, 7/2016.; in dottrina D. Galletti, Le fusioni concordatarie ed il matrimonio fra diritto societario e diritto concorsuale: separati in casa?, in ilfallimentarista.it, 14 luglio 2014.

[8] Per un’ampia rassegna dell’impatto dell’art. 2487-ter sulle procedure concorsuali si veda D. Cillo, Le operazioni sul capitale sociale e le operazioni straordinarie a servizio del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, Rivista del Notariato, 4/2017.

[9] La portata protettiva non opera per chi ritiene, con tesi assai rigoristica, che la perdita della continuità aziendale costituisca un caso di sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale; ciò in quanto l’art. 182-sexies richiama unicamente il n. 4 dell’art. 2484 e non anche il n. 2. Criticano l’applicabilità del n. 2 alla perdita di continuità G. Ferri jr e M. Silva, In tema di conseguimento dell’oggetto sociale e scioglimento delle società di capitali, in Studio del Cons. Naz. Notariato del 9 settembre 2014, n. 237-2014/I.

[10] Sull’argomento delle deviazioni dal piano si veda M.A. Maiolino e C. Zambotto, La fase esecutiva del concordato preventivo in continuità, la posizione del debitore concordatario e i poteri degli organi della procedura, in Fallimenti, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, opera diretta da Stefano Ambrosini, Zanichelli, 2017.

[11] In questo senso Cass. 20 giugno 2017, n. 15185, per il quale l’art. 136, terzo comma si applica anche al concordato preventivo.

[12] Art. 6, lett. e; tale estensione della competenza dell’autorità giudiziaria sovverte quanto statuito da Cass., sez. un. civili, 23 gennaio 2013, n. 1521.

[13] Sembra orientato in tal senso P. Pototschnig, Le scissioni (e le fusioni) societarie quali strumenti di attuazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, in ilcaso.it

[14] I. Pagni, Operazioni straordinarie e procedure preventive: profili processuali, Il fallimento, 10/2017.

[15] P. Pototschnig, cit..

[16] Per crediti sorti in occasione della procedura, prededucibili ai sensi dell’art. 111, devono semplicemente intendersi quelli sorti nel corso della stessa; Cass. 5 marzo 2014, n. 5098.

[17] Il principio di indifferenza, che giustifica la carenza di diritto di voto in capo ai creditori anteriori privilegiati, è statuito da Cass. 22 marzo 2010, n. 6901.

[18] Salvo il caso dei finanziamenti in esecuzione ex art. 182-quater, che comunque sono implicitamente richiamati dall’art. 111. Mi pare invece criticabile la posizione di Cass. 9 settembre 2016, n. 17911, che estende la prededuzione anche ai crediti instauratisi successivamente all’omologazione, se derivanti da rapporti giuridici formatisi in conformità al piano. Prededuzione e esonero da revocatoria sono situazioni giuridiche che devono essere tenuti distinte.

[19] Va nel senso di incentivare i terzi a concedere credito commerciale e finanziario ad imprese in risanamento la giurisprudenza secondo la quale la dicitura «in concordato preventivo» che risulta dalla visura camerale della società deve essere cancellata a seguito dell’omologazione del concordato; così Trib. Pistoia, 16 novembre 2017, Trib. Trento, 12 aprile 2017, Trib. Padova, 29 luglio 2015.

[20] Anticipo fin d’ora una ipotesi di testo di legge:

Quando il piano di concordato di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la revoca dello stato di liquidazione oppure operazioni di trasformazione eterogenea, fusione o scissione che abbiano effetto a decorrere dall’omologazione, gli art. 2487-ter, 2500-novies e 2503 del codice civile non si applicano ai creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161 ed a quelli di cui al secondo comma dell’art. 111.”

[21] Trib. Prato, 22 luglio 2014.

[22] I cui adempimenti consistono, per le fusioni e scissioni, nei tre passaggi della redazione del progetto, della sua approvazione e della sottoscrizione dell’atto, e, per la trasformazione eterogenea, nella sola approvazione della deliberazione.

[23] Salvo ritenere che sussista una (improbabile) responsabilità dei soci ex art. 2476, settimo comma e 2497 per non aver deliberato l’operazione; P. Bastia e R. Brogi, cit., cap. 7.2.

[24] A. Rossi, La legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa: una prima lettura, Le Società, 12/2017.

[25] M. Stella Richter, La condizione e il termine nell’atto costitutivo delle società di capitali e nelle deliberazioni modificative, CNN, Studio n. 50-2009/I

[26] Così per fusioni e scissioni: F. Guerrera e M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, CNN, Studio n. 77-2007/I. In giurisprudenza Trib. Ferrara, 8 aprile 2014.

[27] Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Massima n. K.A.10, Apponibilità di un termine iniziale di efficacia alle delibere di trasformazione; il caso trattato è quello di una trasformazione non eterogenea, ma ritengo che il principio sia applicabile anche a quella eterogenea. Pare non porre invece limiti temporali il parere CNN Trasformazione della società incorporante subordinata all’efficacia della fusione per incorporazione di società interamente posseduta, CNN, Studio n. 63-2014/I

[28] Secondo la relazione di accompagnamento al D.Lgs 22/1991: Nella fusione in senso stretto non è invece ammissibile la postdatazione degli effetti: è invero arduo, anche da un punto di vista logico, concepire un soggetto giuridico (la società risultante dalla fusione) esistente (in quanto la fusione è stata regolarmente stipulata e resa pubblica) ma privo di patrimonio (in quanto la fusione non ha ancora prodotto i suoi effetti) e dunque incapace di fungere da centro di imputazione di responsabilità. E per le difficoltà interpretative nell’ammettere la posticipazione degli effetti giuridici e fiscali dell’atto costitutivo rispetto all’iscrizione nel registro delle imprese si veda D. Boggiali, Atto costitutivo di società di capitali sottoposto a termine iniziale di efficacia, CNN, Studio n. 17-2008/I.

[29] Per la precisione si tratta delle direttive n. 78/855/CEE e n. 82/891/CEE, recepite nell’ordinamento italiano dal D.Lgs 22/1991, della direttiva n. 2011/35/UE che le ha abrogate e della recente direttiva n. 2017/1132/UE che ha a sua volta abrogato la precedente.

[30] Quindi l’ipotetico testo dell’articolato di cui alla nota 20 potrebbe così proseguire:

“In tal caso è consentita la postdatazione degli effetti della fusione o scissione anche quando esse determinino la costituzione di società nuove, in deroga all’art. 2504-bis, secondo comma e all’art. 2506-quater, primo comma.”

[31] In tal senso gli stessi documenti richiamati in nota 26 e 27. In giurisprudenza, ma per motivazioni diverse, Trib. Ferrara, 8 aprile 2014.

[32] È questa la forma pubblicitaria suggerita nel caso di deliberazioni condizionate o aventi un termine da M. Stella Richter, cit..

[33] Così per fusioni e scissioni F. Guerrera e M. Maltoni, cit., ma il principio è estendibile anche alle trasformazioni.

[34] O dei consigli di amministrazione nei casi di cui agli artt. 2505 e 2505-bis.

[35] Con la precisazione che non è affatto chiaro quale lasso di tempo massimo possa trascorrere tra l’iscrizione delle decisioni di fusione e la stipulazione dell’atto; si veda Consiglio Nazionale del Notariato, Il termine massimo per la conclusione del procedimento di fusione, Studio n. 154-2007/I.

[36] Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massime 36/2013 e 37/2013.

[37] Cui esse senza dubbio soggiacciono: Per un esempio di fusione autorizzata ex art. 161, comma 7 già durante il concordato con riserva si veda Trib. Modena, 22 luglio 2016.

[38] Tribunale competente dovrebbe essere quello della procedura concorsuale, non il tribunale delle imprese.

[39] Così ha ritenuto il Trib. Modena nel caso di cui alla sentenza del 22 luglio 2016.

[40] A favore dell’applicazione, le comunicazioni dei Conservatori dei Registri delle Imprese di Milano e Roma, datate, rispettivamente, 27 novembre 2012 e 24 luglio 2013; contrarie Trib. Milano, Giudice del Registro, 7 novembre 2004 e Consiglio Notarile di Milano, massima n. 62.

[41] Artt. 2501-ter, 2501-septies per le fusioni e 2506-ter per le scissioni.

[42] Cass. 11 febbraio 2013 n. 3193.

[43] A. Busani, La stipula dell’atto di fusione nonostante l’opposizione dei creditori, Le Società, 11/2015.

[44] Trib. Prato, 22 luglio 2014.

[45] F. Lamanna, Garanzie reali e personali prestate dal socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali e limiti al concorso del creditore garantito, Il Fallimento, 3/1991.

[46] Un’ipotesi di testo di legge potrebbe essere la seguente: “Sono postergati al soddisfacimento dei creditori i rimborsi delle partecipazioni in conseguenza dell’esercizio del diritto di recesso, di esclusione e di riscatto delle azioni comunicati nell’anno precedenti alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161 e fino al termine per la risoluzione del concordato di cui al terzo comma dell’art. 186.”

[47] In dottrina C. Santagata, Le fusioni, in Trattato Colombo Portale, VII, I, UTET, 2004. Per una rassegna delle diverse posizioni si veda L. Ottieri, Riflessioni in tema di postdatazione e cancellazione degli effetti dell'atto di fusione, Giurisprudenza Commerciale, 3/2010.

[48] Cass. 20 dicembre 2005, n. 28242.

[49] Cass. 20 novembre 2013, n. 26043.

[50] Trib. Pisa, 12 febbraio 2008.

[51] G. Capparella, Riflessioni sulla natura dell'opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c., Rivista del Notariato, 6/2006.

[52] Per un’ampia rassegna si veda A. Busani e F. Urbani, Operazioni straordinarie: la scissione. Le Società, 12/2017.

[53] Una indicazione per così dire implicita della stabilità che già caratterizza gli atti compiuti a favore dei creditori è dettata dall’art. 140, comma 3 per il concordato fallimentare; norma ritenuta applicabile anche al concordato preventivo da Cass. 14 gennaio 2016, n. 509.


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